DADDY'S LITTLE GIRL
PROLOGO
-Mi chiamo Serena Brooks e ho 26 anni.
Vivo con mia zia Jessica a Georgetown, nel Maryland.
Non sono mai stata molto brava con le presentazioni, per questo ho sempre odiato i temi nel primo giorno di scuola. A mio parere, non c'è presentazione migliore di una bella stretta di mano e un viso pulito. Mi reputo una ragazza come tante, non troppo bella non troppo brutta, con degli hobby e la passione di uscire con gli amici. Sfortunatamente, questo è durato fino alla fine delle scuole dell'obbligo, dopo di che sono stata completamente assorbita da quello che avevo sempre desiderato: quello che sarebbe diventato il mio futuro.
Frequento l'ultimo anno di specializzazione dell'accademia, al termine di questo semestre sarò un profiler a tutti gli effetti. Per chi non lo sapesse, i profiler sono degli agenti dell'FBI che per risolvere i loro casi non si limitano alla scena del crimine e alle prove concrete, ma analizzano i comportamenti dell'S.I., ovvero il Soggetto Ignoto. Tutto quello che l'S.I. fa e non fa, il motivo per cui l'abbia fatto, quale sarà la sua prossima mossa, i profiler lo analizzano, cercano di capirne il comportamento, il carattere e la mentalità al fine di prevedere la sua prossima mossa, anticiparlo e poi arrestarlo.
Mi ha sempre affascinato la psiche umana, perché facciamo quel che facciamo. Un nostro banalissimo gesto può far capire ad un profiler molte più cose di noi di quello che immaginiamo. Ovviamente, quando riveli ai tuoi amici che da grande vuoi fare il poliziotto e tu sei una ragazza non riscuoti molto successo, piuttosto scaturiscono molte risate. Se poi aggiungi che vuoi diventare un profiler, iniziano gli sguardi scettici , come se fossi appena uscito da un manicomio; nulla di strano, molte persone non sanno nemmeno l'esistenza della branca del profiling. Quando in seguito vieni accettato all'accademia e ammesso col massimo dei voti, diventi ufficialmente un alieno. I miei amici lo dissero ai loro genitori, i quali a loro volta lo dissero ai loro amici. Non contenti, sommateci il fatto che io viva con mia zia e dei miei genitori non si sa che fine abbiano fatto, beh...si fa presto a diventare quella "strana", un'emarginata.
Me la sono cavata, ho imparato a non dar troppo peso alle chiacchiere. Le persone ti osservano, ma poi impari che quelli "strani" sono loro, che dietro a quegli sguardi nascondono segreti ben più grossi del tuo. Forse, se la gente sapesse la verità sarebbe tutto diverso, o forse no; la gente non ama le brutte verità. E io non amo il mio passato. Anche se, curiosamente, questo continui a rincorrermi e ad accompagnarmi nel mio presente e si appresti a diventare il mio futuro.
Un utente di Twitter una volta ha scritto: "Ho sempre desiderato vestirmi da eroe. Ma i vestiti di mio padre mi vanno larghi.", quanto aveva ragione.
Perché ve lo dico? Perché questo è quello che ho sempre pensato di mio padre. Il vero problema è che se mi trovo in questa situazione la colpa è soltanto sua. Mio padre, mia madre, mio fratello e io vivevamo in Virginia una volta. Mio padre era un profiler, uno in gamba. Era a capo della migliore squadra di profiler di tutta l'America. Quindi, per me, di tutto il mondo. Girava da un paese all'altro, mamma si arrabbiava, ma io e Jack non capivamo, per noi l'importante era che tornasse a casa e lo faceva sempre. Quando nostra madre venne uccisa da uno dei delinquenti a cui stavano dando la caccia, Jack aveva cinque anni, mentre io ne avevo quattro. Eppure l'unica cosa che riuscivo a ripetermi era che papà era lì e che quindi avrebbe sistemato tutto, lui sistemava sempre tutto; dopotutto è questo che fanno gli eroi, no? Quando però cinque anni dopo mio fratello fu ucciso le cose cambiarono drasticamente. Ormai avevo capito che le cose non sarebbero tornate a posto, semplicemente perché certe cose non possono tornare come prima, possono essere rattoppate, come una giacca rotta; ma gli spifferi passano sempre. Mi trasferii definitivamente da mia zia, cambiai cognome e le visite di mio padre durante l'anno divennero dei veri e propri avvenimenti. Ogni tanto sopperiva a questa mancanza mandandomi delle lettere. Tutto per il seguente motivo: "Lo faccio per proteggerti." Diceva lui. E mi sono fidata. Poi, col tempo, ho capito che la persona da cui mio padre voleva proteggermi era sé stesso. Le telefonate diventarono vietate e le visite quasi del tutto inesistenti, quando poi iniziai gli studi non sapevo nemmeno se gli era capitato qualcosa. Giunsi dopo non molto tempo alla conclusione, i fatti parlavano chiaro: mio padre aveva scelto la sua "famiglia".
Le uniche cose che ancora ci legano sono il DNA e la passione per il profiling. Curioso quanto il destino sia crudele certe volte. Grazie a questo non potrò mai liberarmi del mio passato, sarà sempre acquattato dietro un angolo o nascosto all'interno di un'ombra. Ma forse potrà anche insegnarmi qualcosa; ad esempio, come non voglio diventare.
Chi era mio padre? L'Agente Speciale Supervisore Aaron Hotchner.-
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Hotch invisible to his Daughter
Fiksi Penggemar"Quando hai accettato la tua vita e sei pronta ad affrontare il tuo futuro. Quando ti senti abbastanza forte, credendo che il passato non potrà mai tornare a farti del male. ...E poi arriva uno psicopatico a smontare il tutto." *** Mi chiamo Serena...