28 marzo 2000, Konoha.
Sono seduta in cucina a fare colazione con mia madre. Oggi è il giorno del mio compleanno, compio nove anni, quindi non sono più una bambina, dovrei capirle determinate cose, ma a quanto pare non è così, visto il senso di delusione che mi opprime il petto.
Anche questa volta mio padre non è presente per festeggiare il mio compleanno.
"Mamma, dov'è papà", le domando cercando una spiegazione a quell'assenza.
"è in Sud Africa per scrivere un articolo molto importante", lo giustifica.
"Ma è il mio compleanno! Anche questo giorno è importante!", esclamo offesa, come ogni qualvolta messa da parte per il lavoro.
"Certo che lo è, infatti stamattina mi sono alzata presto per prepararti questa fantastica colazione", cerca di consolarmi, ma il sorriso che mi offre ha una piega amara.
La sento, ogni notte, piangere e singhiozzare in quell'enorme e vuoto letto. Anche a lei manca mio padre.
Ma allora perché non tornava a prendersi cura di noi?
"Lo so mamma, grazie", cerco di consolarla.
"Non avere fretta di crescere Sakura, perché poi non si può più tornare indietro", mi dice.
Se solo avessi tenuto in mente quell'ammonimento.
La nostra colazione venne interrotta da colpi decisi e frenetici alla porta.
"Arrivo!", dice mia madre con voce sostenuta per farsi udire da quel visitatore insistente.
"Oh, ciao Naruto!", la sento salutare.
Nemmeno un minuto dopo vedo entrare in cucina quella testa piena di folti capelli biondi. Il suo volto è nascosto da un'enorme mazzo di margherite, papaveri e viole.
"Auguri Sakura-chan!", esclama.
"Questi li ho raccolti per te!", mi dice porgendomi il variopinto bouquet.
"Grazie", e rispondo al suo enorme sorriso, fino ad ora nascosto dai fiori.
"Dove li hai raccolti tutti questi fiori, Naruto?", gli chiede mia madre.
"Bè... io...", balbetta spostando avanti e indietro un piede, le mani strette dietro la schiena e le gote leggermente arrossate.
"Mentre venivo qui sono passato davanti al giardino della signora Yamanaka, e... erano così belli che ho subito pensato di regalarli a Sakura", confessa tutto di un fiato.
"Oh mamma, ma almeno qualcuno lo hai lasciato?", domanda mia madre portandosi una mano sulla fronte con fare sconsolato.
"Ma cosa se ne fanno quelli lì di tutti questi fiori?!", ribatte il biondino convinto dalla giustezza delle sue azioni.
"Lasciamo stare", si arrende infine mia madre.
"Ora sbrigatevi, sennò farete tardi a scuola".
Mentre camminavamo verso la scuola Naruto mi tiene la mano per tutto il tragitto.
"Sakura-chan, sei contenta oggi?", mi domanda.
"Come tutti gli altri giorni", gli rispondo.
"Ma come?! Oggi è un giorno speciale: è il tuo compleanno. Non dovresti essere super felice?".
"E perché dovrei? È un giorno normale, uguale a tutti gli altri. Infatti mio padre non si è neppure scomodato a tornare a casa", bofonchio.
"Ma ci sono io, tua mamma, Ino, mia mamma, Hinata, e tutti gli altri!"
"Ma lui non c'è!", esclamo alzando la voce.
Proseguiamo nel più assoluto silenzio, le nostre mani intrecciate da un'amicizia che non si sarebbe mai dissolta.
Entriamo in aula, ognuno immerso nei propri pensieri.
"TANTI AUGURI SAKURA!", esclama un coro di voci.
Tutti i miei amici e compagni sono lì, dietro la cattedra, con un'enorme torta sormontata da candeline.
Spalanco gli occhi di fronte quel gesto dolce e inaspettato.
Naruto stringe un po' più forte la mia mano. Mi volto verso di lui e gli do un bacio su una guancia.
"Grazie", gli dico arrossendo.
"Te l'ho detto che oggi è un giorno speciale", mi risponde.
"Sakura auguri!", mi urla Ino abbracciandomi e strappandomi da Naruto.
"Grazie Ino, e grazie anche a voi ragazzi", esclamo ringrando gli altri.
L'unico che non partecipa al clima festoso è un ragazzo moro, appartato in un angolo dell'aula, intento a fissare il giardino sottostante dalla finestra: è Sasuke Uchiha.
"Tieni Sakura", mi dice Kiba porgendomi una fetta di torta.
"Grazie".
Appena infilo la prima cucchiaiata in bocca, le mie papille gustative vanno in estasi: cioccolato e lamponi.
Che bontà!
"Buona!", esclamo ingoiando quella prelibatezza.
"L'ha fatta mia mamma", mi dice Naruto.
Guardo la torta, e l'aspetto estetico è a dir poco tremendo. Questa squisitezza, infatti, è ricoperta da uno strato di glassa gialla, tutta storta e piena di crepe.
"L'ha fatta tutta tua mamma, o l'hai aiutata anche tu?", gli domando sospettosa, gli occhi socchiusi a fessure.
Arrossisce imbarazzato.
"L'ho decorata io", ammette.
"Perché l'hai ricoperta con della glassa gialla?", gli domando curiosa.
"Perché sono il tuo Sole, quindi sarò sempre con te", mi spiega.
4 gennaio 2015, Konoha. Ore 19:28.
Un bip insistente mi costringe ad aprire gli occhi.
La prima cosa che vedo sono degli occhi scuri sormontati da una montagna di capelli argentei.
"Cos...", mi schiarisco la voce e riprendo. "Cos'è successo?", domando allo sconosciuto che è seduto al mio capezzale.
"Ha avuto una crisi cardiaca. È sotto osservazione", mi risponde.
Mi alzo a sedere, incurante di tutti i tubi che entrano ed escono dal mio corpo.
"Lei chi è?".
"Sono Kakashi Hatake, il superiore di Naruto Uzumaki", si presenta scrutandomi attentamente.
Naruto.
Gli occhi mi riempiono di lacrime.
"è già stato dato il via per l'espianto degli organi?", gli chiedo.
"Non ancora, hanno deciso di aspettare un altro giorno prima di procedere. Intoppi burocratici. A quanto pare un paziente sulla lista per il trapianto di cuore è sensibilmente peggiorato...", lascia la frase in sospeso.
Devo andare via da qui. Devo ritornare a Suna, mettere quanta più distanza possibile da quest'enorme dolore.
Mi strappo la flebo e tutti gli altri fili, che come radici si attorcigliano lungo il mio corpo.
"Cosa stai facendo?", mi domanda con voce calma, e passando al tu, lo sconosciuto.
"Vado via", gli rispondo senza guardarlo.
"Senti Sakura, so che vuoi stare sola con il tuo dolore, ma ho una cosa da darti".
Mi alzo in piedi e mi dirigo verso l'uscita ignorandolo.
"Non puoi andare via così. Hai avuto un arresto cardiaco, dev...".
"Non mi interessa", ribatto liberandomi dalla sua presa sul mio braccio.
"Puoi morire".
"Tanto meglio", risponda secca.
Immediatamente mi lascia andare.
"Naruto non faceva altro che parlare di te, di quanto fossi forte, tenace e orgogliosa. Forse nemmeno lui ti conosceva, perché ciò che vedo io è egoismo e miseria", mi dice superandomi e uscendo per il corridoio.
5 gennaio, Suna, ore 1:13.
Sono sdraiata nel letto del mio alloggio universitario. Fisso il soffitto nella speranza di riuscire a dormire, ma non riesco. Nella mia mente spunta inesorabile il volto di mia madre contorto dal dolore. Dolore non solo dovuto alla perdita di quello che considerava un figlio, ma anche per la mia labile sorte.
Era stata informata della mia crisi cardiaca, sapeva che il mio tempo era ormai agli sgoccioli.
Purtroppo non sapevo come consolarla senza apparire un'ingrata ipocrita, in fin dei conti le toglievo il peso di doversi preoccupare per me. Sapeva che presto mi sarei riunita a Naruto, che sarei ritornata ad essere felice.
La suoneria del mio cellulare mi distoglie da queste stupide e alquanto spropositate riflessioni.
È l'una passata, chi può telefonare a quest'ora?
Il mio povero cuore accelera i battiti sotto il timore di una nuova possibile disgrazia.
Afferro il telefono, e con mano tremante accetto la chiamata in arrivo.
"Signorina Haruno? Parlo con Sakura Haruno?".
No, vorrei rispondere.
"S...sì", balbetto con voce rotta dall'angoscia.
"La chiamo dal centro trapianti di Konoha. Abbiamo ottenuto il suo referto medico questa sera. Per via delle sempre più frequenti crisi che l'assillano, lei è salita in cima nella lista trapianti".
"Co...me?".
"Le abbiamo trovato un cuore".
"Chi è il donatore?".
"Mi dispiace signorina Haruno, ma queste non sono informazioni che posso rivelarle".
"Ma... senta, io devo sapere, il mio ragazzo è stato dichiarato cerebralmente morto ieri... voglio solo sapere se il cuore è il suo", insisto.
Il sospiro che sfugge all'interlocutore all'altro lato della linea mi lascia sperare in una risposta.
"Qual è il nome?", mi chiede impersonale.
Alla mia capacità d'analisi linguistica non sfugge come è stata strutturata la frase. Il tizio ha accuratamente evitato qualsiasi costruzione verbale che possa riflettersi o avere un soggetto.
Qual è il nome?
C'è il massimo distacco possibile in questa frase, minima quanto diretta.
"Uzumaki Naruto", scandisco tremula.
Il silenzio mi assorda.
Stacco il cellulare dall'orecchio per controllare se la linea sia caduta, ma il display mostra lo scorrere dei secondi, che a breve diverranno minuti.
Perché il tempo scorre inesorabile.
Brutto bastardo.
"Allora?", domando nervosa.
"Senta, ha sei ore di tempo per rifletterci, poi dovrà comunicare una risposta".
"è lui, vero?", sussurro.
"Si".
Chiudo la chiamata, lo sguardo fisso sul soffitto.
Ore 5:34
Quel Kakashi è di nuovo di fronte a me. Questa volta non proferisce parola, mi tende solo una lettera.
"Cos'è", sussurro.
Ma non risponde, rimane immobile sotto la pioggia che violentemente inonda l'intera città.
Cerco di allontanarmi, di fare un passo indietro, ma lui mi segue facendone uno in avanti.
"Fermo lì...non la voglio quella!", esclamo in un singulto indicando la missiva stropicciata.
Ma, come un automa, mi obbliga a prenderla, abbandonandomi ancora una volta a me stessa.
Dopo essermi obbligata a leggere le ultime parole e volontà di Naruto, prendo il telefono e confermo il trapianto.
Per la prima volta non penso a ciò che voglio io, ma al bene di chi mi sta attorno e di chi mi vuole bene.
Ore 12:39
Sono sdraiata su un tavolo operatorio. Presto il mio cuore cesserà di battere. Presto il mio petto sarà aperto e privato di ciò che mi ha tenuto in vita. Non mi meraviglierei se i medici scoprissero che in realtà il mio cuore ha cessato di battere da giorni ormai.
Presto avrò un nuovo cuore.
Il suo.
Non sono pronta a quest'intervento, non sono pronta ad accogliere ciò che rimane di lui dentro di me.
Una parte di me lo vuole, custodirei il suo cuore, lo manterrei in vita, porterei per sempre un pezzo di lui con me.
Ma un'altra parte, quella più vigliacca, mi ripete che non ne sono degna. Ed ha ragione.
Come potrei esserlo? Io sono la fidanzata che gli ha spezzato il cuore, come posso rubare il suo per continuare a condurre quest'esistenza vuota e piatta?
Un'infermiera compare nel mio campo visivo, in mano tiene una mascherina per l'anestesia.
A quella vista, consapevole di quanto sta per accadere, il mio cuore si sforza di battere all'impazzata. Le mie labbra si muovono per gridare un no, ma nessuno legge il panico che mi sgrana gli occhi. O forse, semplicemente lo ignorano.
10 ottobre 2003, Konoha, al lago.
Oggi è un giorno speciale: è il compleanno di Naruto! Abbiamo deciso di festeggiare al lago con i nostri amici. Sono terribilmente elettrizzata, non solo per scoprire se a Naruto piacerà il mio regalo, ma perché Kiba mi ha chiesto di uscire insieme a lui. La giornata è afosa, perfetta per tentare di cercare refrigerio nelle placide acque del lago. Sembra che il caldo estivo non voglia lasciare spazio alle prime brezze autunnali.
Con ancora addosso il mio prendisole mi guardo intorno per cercare il festeggiato, e lo scorgo qualche metro più avanti a me, i piedi scalzi ammollo, e la sua mano stretta in quella di Hinata. Osservo il suo profilo illuminarsi in un sorriso per qualcosa che gli ha detto la ragazza, e un senso di acidità mi risale lungo lo stomaco.
"Ciao Sakura!", mi saluta Kiba catturando la mia attenzione.
"Ciao Kiba", rispondo come un automa.
"Facciamo il bagno?", mi propone indicandomi il lago con un cenno del capo.
"Certo. Tu inizia pure ad andare avanti", gli propongo. "Io, devo sistemare le ultime cose per la sorpresa per Naruto".
"D'accordo".
Rimango lì, ad osservare il mio migliore amico mentre scosta con delicatezza una ciocca dei capelli di Hinata. Involontariamente stringo un pugno.
Lui è mio.
Faccio un passo in avanti, e un altro, e un altro ancora, fino a quando non mi ritrovo in mezzo a loro.
"Scusatemi se vi interrompo piccioncini", esclamo falsamente entusiasta.
"Naruto sono costretta a rubarti un secondo Hinata, ma prometto che te la restituisco immediatamente".
E senza attendere una risposta trascino via quella che è appena diventata una nemica per il mio cuore.
"Ti piace Naruto, Hinata?", le domando.
"Bè...io...ehm...", balbetta la poveretta.
"Si o no? Non mi pare una domanda così complessa, visto come gli stavi appiccicata", continuo, manco fossi un membro della Santa Inquisizione.
"Io volevo solo dargli il mio regalo", sussurra.
"Non potevi aspettare di darglielo insieme agli altri?".
"Io...".
"Sakura! Vieni a fere il bagno?", mi grida Kiba.
"Si! Arrivo!", gli rispondo voltandomi verso lui.
Ma non sono gli occhi color cioccolato di Kiba quelli che incrocio, no, sono occhi tempestosi come il mare nei giorni di tempesta. Sono gli occhi di Naruto quelli che incrocio e che mi rimescolano strane emozioni.
Che sia dannato!
A testa alta, immaginando di essere una modella, mi sfilo con nonchalance il copri costume e marcio verso la riva, dimenticandomi di Hinata.
Sospettosa di trovare l'acqua del lago troppo fredda per poter fare il bagno, vi infilo l'alluce.
Nemmeno il tempo di dare al mio povero cervello il tempo di elaborare la temperatura dell'acqua che quel baka di Naruto si tuffa spiccando un balzo per poi raccogliere al petto le gambe.
L'impatto provoca un'enorme quantità di schizzi che mi bagna da capo a piedi.
"Naruto!", lo rimprovero.
"Mi hai bagnata tutta!", proseguo lamentosa.
"E allora? Non volevi fare anche tu il bagno?", mi domanda.
"Si, ma...urgh! Quando fai così sei insopportabile".
"Dai Sakura-chan, vieni! L'acqua è bellissima".
"Lo hai fatto di proposito!", esclamo incredula.
"Tanto lo avrebbe fatto Kiba", mugugna.
"E allora?".
"Preferivi essere bagnata da Kiba? Nemmeno lo conosci".
"Nemmeno lo conosco?! Ma se ci conosciamo dai tempi dell'asilo!".
"Ma non lo conosci come lo conosco io. Sei una femmina":
"Ma ti ascolti quando parli?", esclamo esasperata alzando gli occhi al cielo.
"Cosa succede Naruto?".
"Niente. Ho saputo che Kiba ti ha chiesto di uscire".
"Si"
"E hai accettato?".
"Non dovevo?".
Non mi risponde, si limita a fissarmi con quegli occhi che hanno il potere di leggermi dentro. Poi distoglie lo sguardo piantandolo all'orizzonte.
"Ti ha dato fastidio vedermi vicino ad Hinata, prima?", mi interroga.
"Ma che domande fai?", ribatto con un'altra domanda, troppo spiazzata per poter elaborare una valida risposta.
"Domande che devono essere fatte", sentenzia.
"Umm...".
"Finalmente ti sei decisa ad entrare in acqua", mi raggiunge Kiba.
"Naruto, come ti senti con un anno in più?", gli domanda.
"Più vecchio", borbotta dandoci le spalle e avviandosi verso la riva.
Non parlammo per tutta la mattinata. Ho passato quattro ore a mangiarmi il fegato osservandolo flirtare con Hinata, e non riesco a capire perché dovrebbe darmi fastidio.
"Sakura, che hai?", mi domanda Ino sedendosi accanto a me.
"Non lo so, mi sento strana", gli confido ingenuamente.
Lei segue il mio sguardo, fisso su Naruto e Hinata, e capisce.
"Non ne avete ancora parlato?", mi domanda, gli occhi pieni di tacita e solidale comprensione.
"Di cosa?"
"Di voi due sciocchina. È chiaro a tutti che vi siete innamorati ma che avete paura a confidarvi i vostri sentimenti".
"Io non sono innamorata di Naruto!", esclamo.
"Come no. E io non sono innamorata di Shikamaru".
"E perché non glielo dici?", le domando, confusa da una tale timidezza da parte sua.
"Per il tuo stesso motivo: sono una vigliacca", sospira.
Rimaniamo così, sedute a fissare le coppiette che sfilano davanti a noi, amareggiate dalla nostra codardia.
È l'ora del tramonto, il cielo si tinge di colori contrasti, il vibrante arancione si mescola con le più tenui tonalità del rosa. Il sole scompare lentamente, inghiottito dalle acque dolciastre che ne spengono il calore riflettendone gli ultimi raggi.
Le cicale iniziano il loro chiacchiericcio.
Adoro il tramonto, è sempre stato qualcosa di magico, di mistico. Rappresenta la fine, ma una fine che possiede la certezza di una rinascita, perché domani il sole sorgerà nuovamente.
"Ti imbamboli sempre quando guardi un tramonto".
Naruto prende posto accanto a me. La sua mano è talmente vicina alla mia che ne avverto il calore. Mi basterebbe allungare di un centimetro il mignolo per sfiorare le sue dita.
"Come è andato questo dodicesimo compleanno?", gli domando, lo sguardo fisso sul sole.
"Poteva andare meglio", mi risponde.
Mi volto di scatto a quella risposta.
"Come? Perché?", gli chiedo confusa.
"Perché, zuccona, mi sei stata lontana per tutta la giornata, appartata in qualche angolino a lanciarmi occhiatacce", mi risponde poggiandomi un dito in mezzo agli occhi, dove lo stupore mi aveva fatto corrucciare la fronte.
"Posso almeno sapere se ho fatto qualcosa di male?", mi chiede.
Non rispondo, troppo imbarazzata per ammettere la mia gelosia.
"Ehi, guardami", e mi alza il mento con due dita.
"Sai perché questo compleanno non è stato perfetto? No?", domanda quando mi vede fare un cenno di diniego col capo. "Perché per tutta la giornata non facevo altro che pensare a te che presto uscirai con Kiba, e ... non lo sopporto Sakura. Una parte del mio cervello pensa a te come qualcosa di mio: tu sei la mia Sakura-chan, ma.... Ma un'altra parte mi fa pensare alla nostra amicizia, e allora non so cosa fare", mi sussurra.
"Di sicuro non tenere Hinata per mano", sbotto arrossendo.
I suoi occhi si illuminano e un sorriso gli sboccia in volto.
"Allora anche tu sei gelosa!", esclama sollevato.
"Così pare...".
"Posso avere il mio regalo, Sakura-chan?".
"Certo. Aspetta che vado a prenderlo", gli rispondo cercando di alzarmi, ma lui mi tiene giù, le sue mani sulle mie spalle.
"Tranquilla, quello che voglio come regalo lo hai qui", mi dice prima di poggiare le sue calde labbra sulle mie.
Il mio primo bacio.
Ho dato il mio primo bacio a Naruto Uzumaki, il mio migliore amico!
Il cuore mi cavalca in petto. Lo stomaco è in subbuglio. Tutto il corpo mi formicola, ognuno dei miei sensi è amplificato. Posso sentire la morbidezza e la pienezza delle sue labbra, il suo profumo di sole e nuvole, posso udire i battiti possenti del suo cuore, che come il mio batte all'impazzata.
"Ora si che è il compleanno perfetto" sospira beato, come se fosse sopravvissuto ad un'ardua battaglia.
5 gennaio. Konoha, ore 21:54.
Per la seconda volta in due giorni vengo svegliata dal fastidioso rumore dei macchinari ospedalieri.
Apro lentamente gli occhi. L'aria satura del lezzo della malattia e della morte mi fa arricciare il naso.
Volto la testa alla mia destra e scorgo mia madre dormire su una scomoda sedia di plastica. Rimango a fissarla, a scrutare i cambiamenti che in questi quattro anni l'hanno fatta appassire, tramutandola in una vecchia. Scruto ogni ruga che le sfregia il volto. Rughe scavate dalla preoccupazione, dal timore di perdere da un momento all'altro la propria figlia.
E invece eccomi qui. È stato Naruto ad andarsene senza alcun preavviso.
Ed ora, il cuore che mi batte in petto è il suo.
Il solo pensarci mi fa entrare nel pallone.
I macchinari attaccati al mio corpo iniziano a trillare, ma non mi importa. Ciò che conta è uscire da qui, scappare da questo luogo infernale.
Con una torsione del polso afferro tutti quei dannati fili e con uno strattone li stacco dalla presa elettrica. Il silenzio più assoluto ritorna a regnare. Lancio un'occhiata a mia madre, ancore dorme.
Sfilo ad uno ad uno ogni ago che tira la pelle, poi mi avvicino alla finestra. Mi trovo al secondo piano dell'edificio. Guardo alle mie spalle il corridoio gremito di infermieri e dottori che lo attraversano.
È impossibile uscire da lì senza essere notata. Noto un vecchio albero di cipresso davanti alla finestra, circa un metro a sinistra. Lentamente apro la finestra. Il vento gelido invernale mi investe. Con attenzione poggio i piedi sul basamento della finestra, accostando il più possibile le ante alle mie spalle. Mi alzo in piedi e guardo il suolo. Se dovessi cadere da quest'altezza, nelle mie condizioni, ci rimetterei la vita. Prendo un profondo respiro, la pioggia mi sferza il viso. Mi lancio in avanti. L'unico suono che sento è il battito dal mio cuore, del suo cuore.
Atterro maldestramente su un albero, le braccia strettamente arpionate al tronco centrale.
Una fitta mi scuote il petto, sono le suture che tirano.
Lentamente mi lascio scivolare lungo il tronco, il camice di carta che sfrigola contro la ruvidità della corteccia.
Le gambe mi tremano quando i miei piedi nudi entrano in contatto con il terreno fangoso.
Sorrido.
Un lampo illumina il cielo plumbeo come asfalto, seguito poco dopo dal tronare di un tuono.
Ne avverto le vibrazioni solleticarmi le dita dei piedi, incitandomi nella mia pazza corsa.
31 gennaio 2002. Konoha, ore 23:57
"Cosa desideri per l'anno nuovo", mi chiede Naruto.
Io e mia madre abbiamo deciso di passarlo insieme a Kushina e Naruto. Mio padre come al solito è troppo preso dal lavoro, o chissà, dalla nuova amante.
Dopo una deliziosa cena, frutto di una formidabile cooperazione culinaria delle nostre madri, siamo seduti davanti al camino del salotto ad ascoltare la radio.
"Nulla", gli rispondo sorridendo.
"Sicura", mi domanda baciandomi la punta del naso.
Dopo il giorno del suo compleanno siamo diventati ancor più inseparabili.
Che sciocchi a pensare di poter rovinare la nostra amicizia. Era più naturale che io e lui formassimo questo noi. L'alternativa a ciò sarebbe stata la pazzia per gelosia, una malattia lenta, inarrestabile, perché non si può andare contro la propria natura, non si può remare contro il proprio destino, no?
"Ho già tutto quello che voglio", gli rispondo accoccolandomi ancor di più nel suo abbraccio.
"Tu?", gli chiedo alzo il viso verso il suo.
Lancia uno sguardo alle nostre madri, intente a scherzare spensierate tra loro.
"Vorrei che entrambe avessero una seconda chance, che possano trovare quello che abbiamo noi".
Con questa frase mi fa prendere realmente coscienza dell'amore che provo per lui. Come un piccolo germoglio cresce sempre più, dotato di possenti radici, inarrestabile dai pregiudizi e dagli schemi che questa società ci impone di seguire. Siamo come pirati, liberi di navigare le nostre vite senza riconoscere alcun padrone tranne l'amore che nutriamo l'uno nei confronti dell'altro.
"Auguri Sakura-chan", mi sussurra all'orecchio poco prima di baciarmi. Un bacio casto come il nostro amore, ma non per questo meno passionale.
"Auguri Sole".
"Sakura, Naruto, auguri di buon anno!", esclamano le nostre madri.
Ore 1:21.
Siamo sempre sdraiati sul divano, i nostri corpi abbracciati, alla ricerca del calore dell'altro, troppo pigri per uscire con il resto dei nostri amici.
A un certo punto la mittente radiofonica sulla quale eravamo sintonizzati trasmette uno struggente brano inglese.
Naruto mi fa alzare costringendomi a ballarla con lui. Il mio corpo stretto tra le sue braccia, la testa piegata sulla sua spalla.
"But no one, no nobody, can give you the power, to rise over love, and over hate, through this iron sky, that's fast becoming our minds", canticchia con un pessimo accento.
"Cosa dice?", gli domando.
Abbassa lo sguardo su di me, un sorriso sghembo gli allunga le labbra.
"Siamo individui fieri che vivono per la città, ma le fiamme non possono arrivare più in alto, troviamo un Dio e delle religioni che ci tormentano con la storia della salvezza ma nessuno, no, nessuno può darti il potere di sollevarti al di sopra dell'amore al di sopra dell'odio attraverso questo cielo di ferro che ben presto diventerà la nostra mente che sovrasterà la paura e ci darà la libertà. Oh, questa è la vita che sta sgocciolando giù dai muri di un sogno che non può respirare.... Da qui in poi non ricordo la traduzione del testo", conclude imbarazzato.
"è bellissima. Qual è il titolo?".
"Iron Sky, di Paolo Nutini".
"Mi piace, sembra parlare di noi", affermo con convinzione.
5 gennaio 2015, Konoha, ora imprecisata.
Non so da quanto tempo sto correndo, ma i miei piedi implorano pietà. Sono avvolta dal buio più pesto, nemmeno le stelle mi aiutano nella mia fuga, troppo timide per sfidare il cielo di ferro che avvolge Konoha.
Cielo di ferro, Iron Sky.
Inciampo in una radice e ruzzolo sull'asfalto. mi volto di schiena, il viso escoriato rivolto alla cortina di ferro che impedisce alle stelle di brillare.
Siamo individui fieri
che vivono per la città
ma le fiamme non possono arrivare più in alto
troviamo un Dio e delle religioni che
ci tormentano con la storia della salvezza
Non c'è alcun Dio che mi tormenta con qualche concetto di salvezza, perché in questo mondo non c'è salvezza per noi misere creature che ci nutriamo di emozioni come sanguisughe. Siamo costretti a morire di ingordigia, di overdose di emozioni, disperati e agonizzanti, come tossici che si vendono per la dose giornaliera.
"Non c'è pace in questo mondo! Mi hai sentito? Parlo con te che stai seduto sul tuo trono, lassù da qualche parte, su qualche graziosa nuvoletta. Non mi freghi, non un'altra volta. Non amerò mai più nessuno! Nessuno! Non ne vale la pena.... Quindi tieni per te la salvezza, perché io non voglio essere salvata, né da Te, né da nessun'altro!", sussurro irabonda.
Un fascio di luce mi illumina il volto. Una macchina si ferma a circa cinque centimetri dal mio corpo esausto.
Uno sportelo si apre, sento il rumore di passi che sguazzano nelle vaste pozzanghere. Non alzo il capo, rimango sdraiata in mezzo ai fiumiciattoli di acqua piovana, bagnata e infangata fino al midollo, immobile come un condannato a morte.
Una figura si accovaccia alla mia destra.
"Sai, speravo che avessi compreso le parole che ti aveva scritto Naruto, ma a quanto pare sei dura di comprendonio".
Volto la testa verso quell'odioso uomo: Kakashi.
"Ho fatto quello che mi ha chiesto. Ho il suo cuore che mi batte in petto. Un passo alla volta", gli rispondo a muso duro facendo sfoggio della mia arroganza.
Spalanca gli occhi per poi posarli sul mio petto, lì dove le suture mi hanno strappato l'anima. Solo in quel momento nota il camice di carta dell'ospedale.
"Sei scappata dopo un trapianto di cuore? Ma Sei impazzita?", mi assale perdendo per la prima volta il suo aplomb.
"SI...sono impazzita. Ogni battito mi rimbomba in tutto il corpo, in testa, scandendo ogni secondo della sua assenza, ricordandomi che non c'è più, quando lui sarebbe dovuto essere qui. Sono io quella che doveva morie, non lui, io, solo io...", mi sfogo.
Silenzio, puro, innocente, ingenuo silenzio, privo di alcun giudizio, saturo di comprensione.
"Lo so che mi ritieni pazza, ma non so come affrontare tutto ciò", gli confido.
"Lo immagino. Andiamo, ti riporto in ospedale. Lo so che sei confusa e spaesata, ma questa è diventata la tua vita, e dovresti accettarla e affrontarla. È così che fanno le persone adulte, ed è così che dovresti fare tu. Che senso ha avuto accettare il trapianto quando, subito dopo l'operazione, scappi nel bel mezzo di una tempesta correndo per due ore senza alcuna meta? Hai fatto mobilitare un'intera stazione di polizia, quando il nostro aiuto sarebbe potuto servire realmente per qualcosa di più importante. Perché hai deciso di prendere quel cuore se poi vuoi morire, quado avrebbe potuto salvare la vita di qualcuno che disperatamente si aggrappa alla vita?".
"Chiudi quella fogna di bocca", sussurro violentemente.
"Tu non sai nulla. Nulla. E anche se fosse, questo non ti mette nella posizione di potermi giudicare, di spararmi addosso quella merda da adulti".
Sono esausta, la testa inizia a girarmi vorticosamente, e un senso di nausea mi sconquassa lo stomaco.
Mi volto di lato e rigetto, non so cosa, forse l'anestesia.
"Ti porto in ospedale".
Gli rispondo solo con un cenno della mano, troppo impegnata a rimettere l'anima.
Forse non è stata una buona idea lasciare l'ospedale.
STAI LEGGENDO
Heart
FanfictionSakura Haruno è una normale ragazza di Konoha, allegra, vivace , spensierata e bella. Una ragazza innamorata e fidanzata sin dai tempi dei banchi di scuola. Ma la vita non sempre procede come vorremo, e l'amore della giovane viene messo alla prova d...