All you never say is that you love me

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3 giugno 2010, Konoha.

Passeggio per le strade di Konoha, spensierata, direi anche felice, la scuola è giunta al termine e l'estate ci attende.
Svolto l'angolo a destra della stazione di polizia per arrivare prima a casa di Naruto.
Davanti la gelateria Kitsume, seduto sulla panchina di pietra, scorgo la testa mora di Sasuke. Sta seduto tutto solo, la testa racchiusa tra le mani in una posa sconsolata.
Non so perché mi fermo, in fin dei conti si è mostrato arrogante e scorbutico con me e Naruto, ma la disperazione che traspare dalla sua solitudine riesce a toccare un angolo remoto del mio cuore, così decido di avvicinarmi.
"Ehi, tutto bene?", gli domando con tono distaccato.
Al sentire la mia voce gli sfugge un piccolo sussulto. Alza quegli immensi occhi scuri come il cielo di mezzanotte, occhi liquidi di lacrime faticosamente trattenute, fino ad incontrare i miei.
"Non è nulla", mi risponde con indifferenza, aumentando il distacco che come chilometri ci separa.
Mi siedo accanto a lui, abbastanza vicina da poter percepire il colore che emana il suo corpo.
"Non si direbbe".
"Sono affari miei", cerca di troncare la conversazione.
"Ti va di prendere un gelato?", gli propongo, io stessa meravigliata per una simile proposta.
"Un gelato? Con te?", mi domanda sospettoso.
Annuisco in silenzio per evitare di compromettere ulteriormente la mia posizione.
"E il tuo ragazzo?".
"Cosa c'entra Naruto? Non ti sto proponendo mica di venire a letto con me, ti sto solo offrendo un gelato per tirarti su il morale".
Un sorriso si affaccia sulle sue labbra, come i primi raggi di un'alba che rischiarano il cielo ad est.
"Perché?"
"è questo quello che fanno gli amici"
"E noi siamo amici? Non sono mai stato gentile nei tuoi confronti", mi fa notare.
"Non te ne ho mai dato un motivo".
"E un gelato lo sarebbe?"
"Se è un gelato di Kitsume ovvio che sì", esclamo.
"D'accordo".
Si alza dalla panchina porgendomi una mano.
Ci avviamo dentro la gelateria, inconsapevoli di tenere ancora intrecciate tra loro le nostre mani.
"Che gusto prendi?", mi chiede.
Osservo con occhio scrupoloso e clinico la vastità di gusti che mi si profila sotto il naso.
"Mmm...scegli prima tu, io sono troppo indecisa"
"Un cono vaniglia e cioccolato", ordina.
Al che distolgo immediatamente gli occhi dai numerosi gusti che potrei scegliere per fulminarlo.
"Ma non puoi scegliere dei gusti così banali", lo rimprovero profondamente delusa.
"E perché?"
"Perché... perché sì. Come fai a scegliere dei gusti che puoi trovare in qualsiasi gelateria, quando puoi scegliere di provare qualcosa di nuovo?"
"Vado sul sicuro"
Sbuffo facendogli sottovoce il verso.
Ma lui mi sente e mi punisce tirandomi un pizzicotto al fianco facendomi contorce per la scarica elettrica che attraversa il mio corpo al contatto col suo.
"Hai deciso?", mi chiede.
"Si. Prendo un cono cannella e caramello", decido infine, per nulla convinta, avendo scorto alla fine il gusto cioccolato fondente.
Dopo aver pagato i gelati, ci dirigiamo automaticamente verso il porticciolo del lago.
"Vuoi assaggiare?", gli domando ingenuamente, senza pensare alle implicazioni di un simile gesto.
Lui osserva con estrema attenzione il mio cono, dibattuto su come rispondere al mio invito.
"è buono", cerco di convincerlo, visto che continuava a scrutare con tanta diffidenza quell'ottimo gelato.
Alla fine, presa la sua decisione, mi afferra per il polso avvicinandosi il gelato alle labbra.
Il contatto delle sue dita sulla mia pelle, e scorgere la sua lingua leccare il gelato, mi manda una scarica lungo tutta la spina dorsale, provocandomi una piacevole e alquanto inaspettata sensazione di torpore.
Rimango imbambolata a godermi lo spettacolo di Sasuke Uchiha- il ragazzo più scorbutico e lunatico che abbia mai conosciuto- arricciare il naso e leccarsi dalle labbra i residui di quel gelato che iniziavo ad invidiare.
"Allora?", gli chiedo curiosa di un suo parere.
"Non saprei"
"Come fai a non sapere se ti piace oppure no?"
"Non ho mai mangiato un gelato in vita mia".
Colpita dritta al cuore. Come cavolo si fa a non aver mai mangiato un gelato?! Incredibile!
Tanto è lo sbalordimento, e la compassione -perché ammettiamolo, che razza di infanzia avrà mai potuto avere uno che non ha mai mangiato un gelato in vita sua? – che il cono mi scivola di mano schiantandosi contro l'asfalto con un sonoro e inquietante SPLAT.
"Ehi! Il tuo cono!".
"è il primo gelato che mangi?!"
"Si. Perché mi guardi con quell'espressione?"
Mi avvicino a quell'alieno, perché deve essere per forza una forma di vita aliena, e gli poggio una mano su un braccio in un gesto di profonda comprensione e compassione.
"Mi dispiace. Per questo sei sempre così scorbutico con gli altri. Chissà che infanzia hai avuto"
Scoppia a ridere, una risata grassa e allegra.
"Mi dispiace contraddirti, ma in realtà odio i dolci. La mia infanzia è stata nella media", mi rivela passandomi il suo gelato.
"Non lo vuoi?"
"con me andrebbe sprecato".
Arriviamo al lago e ci sediamo sulle assi di legno del piccolo porticciolo.
"Se non ti piacciono i dolci, perché hai accettato di prenderne uno con me?", gli chiedo.
"Non lo so", mi risponde arrossendo.
"Sarà stata un'esperienza traumatizzante, il gelato intendo".
"Piuttosto particolare, per nulla come mi aspettavo"
"Ovvero"
"Troppo dolce", mi risponde arricciando nuovamente il naso e osservandomi attentamente.
Presa da chissà quale impulso, allungo una mano fino a toccargli il naso arricciato in quell'espressione così buffa.
"Arricci il naso quando una cosa non ti piace, lo sapevi?"
"Me lo dice sempre mia madre", risponde malinconico. Poi anch'egli allunga una mano, e il mio cuore accelera i battiti, l'adrenalina e l'aspettativa scorrono a gran velocità nelle mie vene, facendomi sentire come un cavo elettrico.
Ma la sua mano non ricambia specularmente il mio gesto, non si poggia sul mio naso, mi sfiora l'angolo destro della bocca raccogliendo uno sbaffo di gelato, facendomi arrossire come una ragazzina alla sua prima cotta.
"Ti sei dovuta accontentare alla fine".
"Di cosa?"
"Di un banale gelato alla vaniglia e cioccolato"
"Ah... vabbè, era comunque buono"
"Ti piacciono i dolci vero?"
"Si, non riesco proprio a farne a meno, ne sono dipendente".
Rimaniamo in silenzio, stranamente non un silenzio pesante, ma amichevole.
Cercando una posizione più comoda su quelle dure assi di legno, sposto la mano fino ad incontrare la sua.
"Scusami", gli dico allontanandola subito, ma lui l'afferra tra le sue, imprigionandola nel suo calore.
"Non fa niente", mi dice con il suo tono di voce calmo e pacato.
"Grazie", continua poi "per avermi fatto provare l'ebrezza del gelato".
Gli sorrido, impossibilitata a rispondergli come una persona normale. Il mio povero cervello è in blackout, esclusivamente concentrato sul calore della sua mano.
"Spero che ce ne saranno altri di questi pomeriggi"
"Quando vuoi", gli assicuro.

Quello stesso giorno, qualche ora più tardi.
"Sakura-chan, sei pronta?", mi urla Naruto dal salone.
"Arrivo! Dammi cinque minuti", gli rispondo a pieni polmoni.
"è da un'ora che ti do cinque minuti", bofonchia.
"Ti ho sentito!".
"Perché volevo che mi ascoltassi. Non capisco perché devi sprecare così tanto tempo a farti bella se un ragazzo già lo hai".
Finisco di sistemarmi i capelli e scendo velocemente al piano di sotto.
"Eccomi. E per la cronaca, mi faccio bella solo per te", gli rispondo.
"Allora non ne hai bisogno, per me sei bella in ogni momento, anche quando vomiti l'anima nel water dopo aver esagerato con i martini".
Gli tiro un pugno sul braccio.
"Ahi!", esclama massaggiandosi il punto dolente.
"Stai zitto".
"Hai la luna storta?", brontola.
"No, non mi piace passare per un'ubriacona", spiego.
"Ma lo so che non lo sei", cerca di tranquillizzarmi.
"Lo so, scusami, sono nervosa".
"Fa niente, tranquilla"
"Andiamo?", propongo.
"Si".

Arriviamo al Caledonia, un locale gestito da una giovane coppia di scozzesi, dove ci attendono già tutti gli altri.
"Sakura! Finalmente. Scommetto che questa volta la colpa del ritardo è tutta tua", mi abbraccia Ino.
Arrossisco colpevole.
"Che bel vestito!", esclama Hinata.
"Grazie", rispondo.
Mi guardo intorno. Il locale stasera è gremito, si vede che l'estate è appena iniziata. Con la coda dell'occhio scorgo una figura familiare: Sasuke.
Il cuore accelera i battiti al pensiero del pomeriggio trascorso insieme.
Al suo braccio sta appesa una ragazza bruna. Entrambi sorridono. Rimango immobile ad osservare la scena, come una spettatrice che assiste ad un disastro ferroviario.
Infatti, la ragazza si solleva sulle punte delle sue decolté e lo bacia, e qualcosa dentro di me si agita, inizia a bruciare come se avessi ingerito soda caustica.
Un paio di braccia mi circondano attirandomi ad un petto che da anni rappresenta il mio porto sicuro.
"Tutto bene?", mi sussurra all'orecchio Naruto.
"Si", cerco di rassicurarlo, gli occhi sempre fissati sul moro.
Lo osservo con attenzione, nella speranza di vedere il suo naso arricciarsi dal fastidio che gli provoca quel bacio. Ma non lo arriccia, anzi ricambia con grande trasporto e passione. A un certo punto, come se avvertisse il sguardo puntato su di lui, i suoi occhi incrociano i miei.
Trattengo il respiro, aspettando un segno di saluto, o almeno di riconoscimento, ma nulla di tutto ciò accade. È come se fossi trasparente ai suoi occhi, non l'amica con cui ha condiviso un gelato solo poche ore prima.
La delusione mi ribolle nel fondo dello stomaco alimentando un'ira così nera da sconvolgermi.
Mi volto verso Naruto, e vedere i suoi occhi blu mi calma all'istante.
"Andiamo a prendere una birra?", gli propongo trascinandolo al banco.
"Andiamo", mi risponde.
Inutile dire come andò a finire quella sera: io che vomito l'eccesso di alcol con Naruto che mi tieneva i capelli scostati dal viso.


23 agosto, 2010, Konoha

La musica che rimbomba negli altoparlanti sembra pompare al ritmo del mio cuore malandato. Siamo a casa di Kiba, ad approfittare dell'assenza di sua madre per organizzare una piccola festa. Piccola festa che nell'arco di un'ora si è allargata a dismisura.
La fresca brezza, che entra dalle finestre spalancate, mi solletica dolcemente le gambe lasciate scoperte dagli shorts che ho deciso di indossare.
Non so cosa Ino mi abbia versato nel bicchiere, ma è buono, forte e pungente, mi pizzica la gola come l'adrenalina e l'euforia che mi fanno formicolare l'epidermide. Cerco di individuare Naruto in mezzo a tutta quella calca di corpi che si agitano in modo frenetico al ritmo di musica. Lo individuo in un angolo dello spazioso salone, intento a scherzare con Shikamaru e Rock Lee. Decido di raggiungerlo, ma Ino mi trascina a ballare con lei, rischiando di farmi rovesciare il contenuto del mio bicchiere.
"Dai Sakura, scateniamoci?!", urla iniziando a contorcersi come un serpente.
Rimango imbambolata ad osservarla.
"Muoviti!", mi esorta.
Faccio un profondo respiro, come un atleta prima di una dura competizione, butto giù il contenuto del bicchiere, chiudo gli occhi e mi lascio trasportare anch'io da quella musica avvolgente.
Non so per quanto tempo ho continuato a saltare come un'indemoniata, ma ad un certo punto sento un paio di braccia stringersi attorno alla mia vita inducendomi a stare con i piedi per terra.
"Non sapevo che sapessi saltare come un canguro", mi urla Naruto in orecchio per sovrastare il volume della musica.
"Ho mille talenti", gli rispondo girandomi verso di lui.
"sembri una lattina di coca-cola dopo esser stata agitata per bene", mi prende in giro con quel suo magnifico sorriso.
"Ti amo", dico di getto.
"Amo il tuo sorriso, i tuoi occhi così blu da poterci annegare... ma soprattutto ... ti amo perché sei il mio Sole", gli dichiaro tutta d'un fiato.
"Wow!", esclama con gli occhi spalancati come piattini di un servizio da tè.
Ed è in quel momento che un insiste formicolio si spande nel mio petto provocandomi fastidiose fitte. Mi divincolo dalla sua presa per avviarmi verso il bagno senza destare troppi sospetti.
"Sakura...", cerca di acciuffarmi Naruto.
"Devo andare in bagno, mi viene da rimettere", mi giustifico. "Torno subito".
Svincolo con impazienza tra quella calca di corpi sudati e ubriachi alla ricerca del bagno.
Non appena lo individuo afferro la maniglia e cerco di aprire la porta, ma è chiusa.
"Dannazione", impreco sottovoce.
Batto dei colpi per sottolineare la mia urgenza.
"Occupato", risponde ansimante la voce di una ragazza chiaramente impegnata in piacevoli attività.
"è urgente!", urlo lasciando trasparire il dolore che sto provando.
Nell'attesa che quella dannata porta si apra vi poggio sopra la fronte cercando di calmare il battito frenetico del cuore. Ad un certo punto la porta si spalanca facendomi crollare a terra davanti ad un paio di scarpe maschili.
Alzo lo sguardo verso il proprietario di quelle scarpe e il mio povero cuore si disintegra, senza alcun valido motivo, in innumerevoli frammenti. È in questi momenti che desidero che smettesse di battere, che mi lasciasse indifferente a ciò che accade attorno a me.
"Tutto bene, Sakura?", mi chiede Sasuke porgendomi una mano, proprio come su quella volta alla panchina di fronte Kitsume.
I miei occhi osservano i suoi capelli più spettinati del solito, le labbra gonfie di baci, e il succhiotto che fuoriesce dal colletto della t-shirt. Infine osservo la bionda che si affaccia alle sue spalle. Con uno schiaffo scosto la sua mano protesa verso di me, e senza degnarlo di una risposta ritorno al salone, la crisi cardiaca sostituita da un cuore infedele rotto per metà.
Ritornata alla bolgia infernale in cui si è trasformata il salone, cerco freneticamente la testa bionda di Naruto e, una volta individuata, corro ad abbracciarlo.
"Tutto bene?", mi chiede come al solito premuroso.
"Si, però vorrei andare via"
"Di già? Non ti stai divertendo?"
"Si, ma c'è troppa confusione per i miei gusti, vorrei passare quanto più tempo possibile con te, prima di far ritorno a Suna".
"D'accordo", mi asseconda perplesso.
Le sue dita forti avvolgono le mie, il suo sguardo mi esamina il viso, scrutandomi, sondandomi in una maniera che mi provoca piacevoli scariche elettriche. Il salone pulsa rumorosamente nelle mie orecchie. Un bicchiere si rompe vicino a noi, ma lui non pare nemmeno accorgersene. Senza spendere un'altra parola, si volta e mi trascina con sé. Mi meraviglio di come la massa di corpi sembra aprirsi apposta per lui. Non deve nemmeno usare i gomiti. Fende la folla e basta.
"Dove stiamo andando?", urlo alla sua schiena.
"è una sorpresa", mi risponde senza voltarsi verso di me.
L'ultima cosa che vedo prima di uscire da quel salone è il viso di Sasuke, privo di qualunque espressione, non mostra alcun sentimento, alcun pentimento per la scena alla quale ho assistito poco fa. Solo i suoi occhi mi parlano, mi chiedono se sto bene.
Gli rispondo mostrandogli il dito medio.

27 giugno 2014, Konoha.

È l'alba. Il cielo è inondato dai tenui color pastello. Una leggera brezza rende sopportabile l'ondata di afa che ha investito l'intero Paese del Fuoco. Corro per le strade di una Konoha ancora abbarbicata tra le braccia di Morfeo. La musica che fuoriesce dagli auricolari del lettore mp3 è la mia unica compagna.
So perfettamente che non potrei fare alcuno sforzo fisico, il mio cuore è parecchio peggiorato negli ultimi anni, ma correre è l'unica cosa che mi distrae da quel destino che il fato mi ha donato nella sua misericordia. È come se ogni chilometro che calpesto sotto le suole delle mie scarpe da ginnastica calpestassi quell'ingiustizia inaccettabile. Con la corsa potevo almeno figurativamente scappare da quella fine prestabilita nei tempi e nei modi, visto che una via fuga accettabile non c'era.
Proprio quando inizio ad intravedere il luccichio del lago, il cuore mi viene percorso da una dolora fitta; la sensazione che fosse accartocciato come un vecchio giornale. Mi si mozza il fiato, le ginocchia iniziano a tremarmi incontrollabili. Mi appoggio alla corteccia di un albero con la grazia di una gazzella zoppa. Il petto scosso da affannosi singulti.
"Sakura! Tutto bene?", mi chiede una voce che sembra provenire de un altro continente.
Cerco di rispondere, ma la lingua sembra pesare troppo per poter formulare una parola di senso compiuto. Una mano si poggia sulla mia spalla, inizialmente leggera come un alito di vento, poi sempre più pressante nel cercare di ottenere la mi attenzione.
"C...cuo...r...e", riesco ad ansimare.
"Ti fa male il cuore?", mi chiede la voce lasciando trapelare l'ansia che sconvolge il suo proprietario.
Con un movimento spasmodico la mia mano si stringe proprio dove quel maledetto cerca di battere a ritmo sostenuto per apportare ossigeno al mio organismo.
La figura si accovaccia di fronte a me. Non riesco a distinguerne i lineamenti, l'unica cosa che riconosco, in mezzo alla nebbia che mi sta sempre più avvolgendo fittamente nel suo oblio, sono un paio di occhi scuri come la liquirizia che amo mangiare.
"S...a...s...u...k...e", sillabo con grande sforzo, prima di svenire.

Quando riapro gli occhi capisco subito dove mi trovo: in ospedale.
Mi scosto la mascherina dell'ossigeno e mi guardo intorno per vedere se si è trattato solo della mia immaginazione, o se lui era realmente lì.
Lo trovo seduto in angolo intento a fissarmi.
Sono passati quattro anni dall'ultima volta che ci siamo rivolti la parola, io troppo offesa per il suo comportamento nei miei confronti, e lui troppo impegnato a portarsi a letto tutte le ragazze disponibili che incontrava.
"Non era necessario che rimanessi", gli dico.
"Non potevo lasciarti sola, non avevi con te né il telefono, né il portafoglio"
Razionale come sempre.
Mi volto dandogli le spalle, sfuggendo alla sua vista e tagliandolo fuori dalla mia.
"Non devi dirlo a nessuno, capito?".
"Da quanto ne soffri?"
"Da quando ho dodici anni"
"E Naruto non lo sa?"
"No"
"Perché?"
"Non sono affari tuoi", gli rispondo a malo modo.
"Tieni", e mi poggia in grembo un sacchetto.
"Cos'è?", gli chiedo sospettosa.
"Apri". E lo faccio. All'interno c'è una coppetta di gelata infilato in un bicchiere pieno di cubetti di ghiaccio, in modo da farlo durare il più a lungo possibile.
"Cioccolato e vaniglia?", gli chiedo storcendo il naso.
"Quello che in realtà preferisci", mi risponde.
"Si?"
"Si. Ti ho osservato parecchio in quest'anni di college, visto che non mi rivolgevi nemmeno la parola".
"Non ne sentivo la necessità"
"Ah, capisco.... È così che tratti i tuoi amici?"
"Gli amici si salutano quando si incontrano per caso!", sbotto tossendo.
Aggrotta la fronte, come se stesse cercando di comprendere qualcosa di estremamente difficile.
"Non ti ho salutato solo quando eri con il tuo fidanzato. Visto che tra di noi non c'è un buon rapporto non volevo di certo metterti in una posizione scomoda e imbarazzante".
Lo ammetto, la sua risposta mi spiazza, soffia via la rabbia e lo sdegno covato per tutti quegli anni.
"Non dovevi caricarti di problemi che non ti riguardano", gli rispondo comunque acida.
"Lo terrò in mente"
Vederlo sconsolato e rassegnato, stati d'animo che traspaiono dalla sua postura curva su quella sedia di plastica, mi fa stringere il cuore riempiendomi lo stomaco di farfalle.
"Scusami", gli dico allungandogli una mano in segno di riappacificazione. Mano che afferra tra le sue.
"ti conviene mangiarlo quello", e indica il gelato per metà sciolto.
"Allora, perché vaniglia e cioccolato sarebbero i miei gusti preferiti?"
"Perché ami le cose conosciute e confortevoli, non ami rischiare"
"Non è vero! Ho sperimentato quasi tutte le tipologie di gelato esistenti".
"Nella tua gelateria di fiducia, ma se dovessi prendere un gelato in un posto sconosciuto, disperso chissà dove, che gusto sceglieresti?".
Fregata.
Il mio broncio risponde alla sua domanda facendolo sorridere.
"Te l'ho detto, ti ho osservato parecchio in quest'anni"
"Perché dovresti osservarmi quando sei fin troppo occupato ad incidere tacche sulla tastiera del tuo letto?"
"Attenta, potrei pensare che tu sia gelosa"
"Uhm"
"Non pensi che il tuo ragazzo dovrebbe sapere del tuo problema al cuore?"
"Non sono cose che ti riguardano"
"Ma..."
"Per favore vattene", gli ordino perentoria voltandogli nuovamente le spalle.
Solo quando sento la porta chiudersi mi permetto di piangere.

2 settembre 2014, Suna

Sono riiniziate le lezioni, lezioni che chiudono definitivamente il capitolo della spensieratezza estiva. Dopo aver salutato Naruto mi sono infilata in macchina e ho guidato fino a Suna con un crescente malessere alla bocca dello stomaco. L'aria settembrina, ancora afosa, è elettrostatica, come se qualcosa dovesse irrimediabilmente e incontrovertibilmente cambiare.
Dopo aver fatto arieggiare la mia nuova stanza, e aver disposto i vestiti nei cassetti di un alquanto malandato armadio, mi avvio verso la lezione di politica economica.
Entro in aula, e scopro che lezione è già iniziata. Più velocemente che posso mi affretto ad infilarmi nel primo posto libero per evitare di causare interferenze nella spiegazione del professore.
Appena mi siedo tiro un sospiro di sollievo ed estraggo un vecchio quaderno per gli appunti.
"Non pensavo che fossi interessata a politica economica", mi chiede il mio compagno di banco.
Con estrema lentezza, nella speranza che si trattasse di un'illusione, mi volto verso il mio vicino.
"Cosa ci fai qui?", gli sussurro inferocita.
Sasuke mi rivolge il suo tipico sorriso di scherno.
"Seguo la lezione", mi risponde con ovvietà.
"Uh", sbuffo cercando di ignorare la sua presenza.
Un'impresa titanica!
Per tutta l'ora di lezione il mio sguardo scivolava su di lui raccogliendo quanti più dettagli possibili.
Ad esempio, quando si concentrava su qualcosa che non riusciva a comprendere bene aggrottava le sopracciglia affilando ancora di più lo sguardo. Oppure, quando prendeva gli appunti ragionava su come disporli al meglio sulla pagina. È un tipo metodico, preciso fino all'esasperazione: il contrario di me. Abbasso lo sguardo sul mio quaderno pasticciato da una scrittura terribilmente disordinata. Poco prima che lezione avesse termine si alza e abbandona l'aula, senza rivolgermi una parola, né un cenno di saluto. Sono ritornata ad essere invisibile ai suoi occhi, e la cosa mi fa entrare in depressione.
Quando la lezione termina, qualche minuto dopo, ripongo nella tracolla il quaderno e la cocente delusione per l'atteggiamento di Sasuke, e sconfortata esco dall'aula.
Non appena i caldi raggi solari mi sfiorano il viso, facendomi stringere gli occhi al repentino cambiamento di luce, lo scorgo appoggiato a lato della porta dell'aula con le braccia incrociate e lo sguardo abbassato sulla punta delle scarpe.
Silenziosamente, con tutta la dignità che riesco a racimolare, gli passo accanto ignorandolo deliberatamente.
Ma lui non mi ignora come prima a lezione, anzi, inizia a camminare al mio fianco.
"Cosa vuoi Uchiha?"
"Ora mi chiami anche per cognome?"
Mi fermo voltandomi verso di lui per incrociare il suo sguardo.
"Cosa vuoi Sasuke?"
"Andiamo a prendere un gelato?", mi propone con un sorriso appena tratteggiato sulle labbra.
"Un gelato?! Ma se non ti piacciono i dolci!"
"Vero, ma sembravi così sconfortata poco fa, che pensavo di risollevarti il morale con un gelato"
"Ma..."
"Lo so, non sarà il gelato di Kitsume, ma vale la pena provare, no? Al massimo potrai sempre prendere vaniglia e cioccolato"
Lo scruto attentamente, alla ricerca di qualche possibile fraintendimento, ma i suoi occhi sono limpidi, liberi da qualsiasi malizia, o intento sospetto.
"D'accordo"
"Perfetto"
Camminiamo avvolti nel più assoluto silenzio, un silenzio che mi mette a disagio.
"Quanti esami ti mancano per terminare?", gli chiedo per rompere quell'imbarazzante atmosfera.
"Le ultime tre materie. Tu invece?"
"Me ne mancano di più. L'anno scorso ho rallentato un po' il ritmo"
"Per via del cuore?", mi chiede preoccupato
"Anche"
Ripiombiamo nel silenzio, ognuno impegnato a mettere ordine tra i propri pensieri.
Arriviamo al chioschetto del campus che dà sulla pista di atletica.
Leggo con attenzione il cartello che elenca i vari gusti: ci sono solo cinque gusti tra cui scegliere!
"Allora? Hai scelto? O anche questa volta devo scegliere io?"
"So scegliere da sola", gli rispondo raddrizzando la schiena, come un soldato che si prepara ad affrontare un'orda di barbari.
"Un cono zuppa inglese e nocciola", chiedo al giovane addetto.
"Tu?", chiedo a Sasuke.
"Un cono fragola e cioccolato", chiede pagando entrambi i gelati.
"Non è necessario che mi paghi il gelato"
"Quattro anni fa lo hai offerto tu a me, questa volta è il mio turno", mi risponde zittendomi.
Ci sediamo sugli spalti del campo ad osservare alcuni studenti cimentarsi nel salto in alto.
"Continui a correre?", mi domanda di punto in bianco
"Qualche volta"
"Non è troppo pericoloso, date le tue condizioni?"
"Tutto ormai è troppo pericoloso per me", ammetto con franchezza.
"è così critica la condizione?"
"Si"
Stiamo in silenzio. Di nuovo. Un silenzio amichevole, che conforta e lenisce con delicatezza e discrezione.
"Quindi cosa pensi di fare?"
"Cosa posso fare? Niente. Aspetto, cos'altro posso fare?"
"Lottare. Caspita Sakura, hai solo ventitré anni! Non puoi rassegnarti in questo modo. Non ci pensi a Naruto, a quanto soffrirà quando scoprirà questa storia? Perché prima o poi lo scoprirà, questo è certo".
"Cosa vuoi che faccia Sasuke? Secondo te, in tutti quest'anni, non ho valutato tutte le opzioni? Sai quanto ho pregato di ricevere una telefonata dal centro trapianti? Sai quante notti non sono riuscita a dormire, troppo impaurita di non svegliarmi l'indomani? Posso solo imparare a convivere con l'angoscia che un banale saluto possa diventare un addio, di non poter più abbracciare mia madre, di lasciare da solo Naruto e tutti gli altri. Ma questa è la mia vita, e non l'ho scelta io!".
Inaspettatamente mi abbraccia, il suo mento poggiato sulla mia testa. Ed è allora, tra quelle braccia che mi confortano silenziosamente, che la disperazione accumulata e repressa per anni torna a galla per uscire fuori impetuosa dai miei dotti lacrimali.
"Shshsh", mi sussurra cullandomi dolcemente come se fossi una fragile bambola di porcellana.
"Calma, vedrai che tutto andrà bene", prosegue.
"Non è vero. Non mentirmi anche tu, bastano le mie di bugie. Non andrà bene. Hai ragione", singhiozzo
"Su cosa?"
"Sono una fifona, vado sempre sul sicuro. Io...io non voglio morire Sasuke", sussurro più calma.
In risposta a questa confessione mi stringe più forte a sé, e il suo profumo di ginepro, mi fa sentire al sicuro.
"Però ...non so come vivere appieno questo vita. So che posso morire da un momento all'altro, ma so anche di perdermi qualcosa di fondamentale. Non voglio avere rimpianti".
"Allora cerca di non averne. Stasera usciamo, d'accordo? Una cena tra amici"
"Solo tra amici?", gli chiedo, lo sguardo fisso sulla sua maglietta nera.
"Quello che vuoi tu Sakura", mi dice alzandomi il viso verso il suo.
"Va bene tra amici", sussurro arrossendo immaginandomi le sue labbra sulle mie.
Quella sera
"Dove stiamo andando?"
"Fidati", cerca di rassicurarmi senza riuscirci del tutto, fissandomi con intensità.
"D'accordo", annuisco.
Salgo sulla sua auto ed usciamo fuori dal campus.
"Accenderesti la radio, per favore?", mi chiede.
Dopo aver pigiato tutti i possibili pulsanti, finalmente riesco ad accenderla, e le note malinconiche di Promise di Ben Howard invadono l'abitacolo.
"Usciamo fuori da Suna?", domando notando le case scorrere davanti ai miei occhi.
"Si, ma solo di pochi chilometri. Tranquilla, rimaniamo nelle vicinanze"
"Pensavo che avremo passato una serata in qualche locale, non noi due da soli, cioè...in mezzo ad altra gente", riesco a concludere agitando le mani come una forsennata nel tentare di spiegarmi meglio.
"Hai paura di me? Oppure non ti fidi di te stessa?", mi chiede distogliendo per un secondo lo sguardo dalla strada per lanciarmi un'occhiata carica di aspettativa.
"non lo so", rispondo sinceramente con un filo di voce.
"Vaniglia e cioccolato"
"Vaniglia e cioccolato?"
"Hai di nuovo paura di fare nuove esperienze".
"Non ti facevo così"
"Così come?"
"Rompipalle", sbuffo cercando di trattenere una risata.
"Non sono un rompipalle", borbotta indignato.
"Oh sì, eccome! Sei sempre pronto a punzecchiare e a precisare: un rompipalle".
"Tsk"
"Vabbè... non potevi mica essere perfetto"
"Mi consideri perfetto?", mi domanda con sorriso da centomila watt.
"E rompipalle" preciso, facendo scoppiare entrambi in una fragorosa risata.
Arresta la macchina al di fuori delle porte di Suna, vicino ad un piccolo canneto.
"Siamo arrivati?"
"Si"
Scendiamo dall'auto. Sasuke prende un plaid e delle birre dal bagagliaio dell'auto.
"Si accomodi signorina Haruno", mi fa il gesto di prendere posto sulla coperta.
"Grazie".
Il cielo sopra di noi è semplicemente spettacolare. Ogni singola stella risplende come una candela.
"Wow", esclamo.
"Bellissimo, vero?"
"Si. Come hai scoperto questo posto?"
"Così, per caso"
"è un posto per pensare questo"
"Si. Vengo qui ogni qual volta che sono irrequieto"
"succede spesso?"
"A volte", mi risponde stappando una birra e passandomela.
"Grazie"
"Se potessi fare una pazzia, cosa decideresti di fare?"
"Una pazzia? Mah, credo che vorrei fare un viaggio on the road, vivere alla giornata, visitare posti sconosciuti".
"Perché non lo hai mai fatto?"
"Naruto ha iniziato a lavorare al dipartimento di polizia subito dopo il diploma, quindi..."
"Capisco..."
"Guarda, una stella cadente!", la indico ridacchiando.
"Cosa c'è di divertente?"
"Niente...è solo che da piccola pensavo che quelle povere stelle dovessero soffrire parecchio, cioè cadere dal cielo solo per far esprimere a noi un desiderio, è una bella fregatura per loro, no?"
Il suo sorriso fende la notte più dell'astro cadente.
"Sei una sentimentale"
"Ma che dici! Odio le storie d'amore!"
"Vaniglia e cioccolato"
"Vaniglia e cioccolato un corno, e smettila di ripeterlo come una parola d'ordine"
"Ti preoccupavi per dei meteoriti, dimmi un po' tu se non è da sentimentali"
"Ero piccola!"
"Si? Quanti anni avevi?"
Rimango in silenzio.
"Come sospettavo"
"Non s...", rispondo voltami verso di lui per poi bloccarmi.
I suoi occhi neri sono inchiodati alla mia faccia. Le dita mi stringono, marchiandomi a fuoco attraverso la manica della camicetta che indosso.

Poi quegli occhi si abbassano sulle mie labbra.

Ohdio-ohdio-ohdio-ohdio. Sta per baciarmi, penso.
Si avvicina. Il cuore mi scoppia come un tamburo nel petto. Abbassa la testa e a quel punto ogni idea su cosa dovessi fare fugge dalla mia mente. Nessun pensiero. Nessuna logica calcolata. Solo sensazione pura.
Il sangue mi ruggisce nelle orecchie quando elimina l'ultimo brandello di spazio rimasto tra noi. Non fa in fretta. Non come nei film. Niente testa slanciata in avanti. Guardo il suo volto avvicinarsi. Il suo sguardo si sposta più volte dalla mia bocca ai miei occhi, esaminandomi, osservando la mia reazione. La sua mano mi tocca il viso accarezzandomi una guancia.
Sussulto quando finalmente la sua bocca si appoggia alla mia. Come se quel contatto avesse provocato una scossa elettrica o qualcosa del genere. Si scosta e mi guarda. Per un attimo penso che fosse finita, che ne avesse avuto abbastanza solo con quello sfioramento delle labbra.
Poi ripete quel movimento, e lo fa senza nessuna esitazione. Un bacio sicuro di sé, imperioso. Pura delizia. Una mano ancora mi tiene il viso, l'altra si sposta sulla curva della mia schiena, attirandomi più vicino. Le sue labbra assaporarono le mie, inclinandosi prima da una parte, poi dall'altra. Come se volesse testare ogni direzione possibile. La sua lingua traccia il punto in cui si uniscono e io rabbrividisco e lo lascio entrare nella mia bocca. Mi aggrappo alle sue spalle, le dita affondate nel cotone morbido, godendo della solidità calda sotto la stoffa.
Poi termina. Troppo presto.
Che cosa ho fatto?

Marzo 2015, Suna.
Dovevo prevedere che mi avrebbe portato in quello che è divenuto il nostro posto: il piccolo canneto alle porte di Suna. Sasuke Uchiha è un abile stratega, come ho fatto a dimenticarmene?
Siamo seduti su quella vecchia coperta che porta sempre con sé. Lui tiene in mano una di quelle scatolette bianche del fornaio nell'ala ovest del campo.
"Cos'è?", la indico.
"Un cupcake".
Inarco un sopracciglio, tattica imparata proprio da lui.
"Che gusto?", indago, già pregustando la prelibatezza nascosta in quella delicata scatoletta.
"Red velvet". Oh mio dio. Mi porta ancora i dolci!
Mi porge la scatola. Accetto il pacchetto facendogli dono del mio primo vero e spontaneo sorriso.
Mi acciambello meglio che posso, alla ricerca della posizione più comoda per poter scartare con la dovuta tranquillità quella piccola opera d'arte. Sollevo il coperchio. Sbirciando dentro, sento l'acquolina in bocca alla vista della glassa al formaggio cremoso.
"Sembra ottimo". Prendo il cupcake, scosto il pirottino e do un morso mugolando.
"È così buono?", mi domanda scrutandomi intensamente, i suoi che mostrano una fame incontenibile.
"Ne vuoi un po'?", gli chiedo allungando il braccio posizionandogli il cupcake sotto il naso.
"No. Sto bene così", risponde arricciando il naso, e strappandomi un'altra risata.
Inclino la testa. "Davvero? È grosso come un melone. Mangiamolo insieme", insisto agitandoglielo all'altezza della bocca.
Con un mezzo sorriso, mi si avvicina.
Pensando che l'avrebbe preso dalle mie mani, invece, lo morde con i forti denti bianchi.
"Lo hai dimezzato".

Mastica lentamente, raccoglie un po' di glassa dal labbro e la lecca.
"Mi hai chiesto tu di dividerlo. Sono un maschio, non posso farci niente se ho la bocca grande. Il resto è tuo".
"Mmh". Lo guardo con finto rimprovero e do un altro morso, delicato a paragone del suo.
"Non ti facevo anche maschilista, oltre che rompipalle"
"Non lo sono, infatti. È un dato di fatto"
Continuo a mangiare e alzo le spalle, masticando, imbarazzata dall'intensità del suo sguardo fisso.
"Sei una ragazza dolce, Sakura".
A quella lode la mia faccia si scalda imporporandosi e lo stomaco va in subbuglio. Ingoio l'ultimo pezzetto di cupcake e sussulto quando con il pollice mi pulisce l'angolo della bocca da una goccia di glassa, che si porta poi alle labbra. Lo guardo, rapita.
"Quando un ragazzo, che odia le cose dolci, ti dà della "dolce" non è come un due di picche?".
Mi guarda. Un momento che dura un'eternità, prima che risponde: "No, se sei così dolce che riesco solo a pensare a spogliarti e assaggiare di nuovo ogni centimetro del tuo corpo".

Mi scappa un sospiro tremante. Respiro a fondo, mi sollevo sulle ginocchia e gli salgo a cavalcioni, poggiando le mani sulle sue spalle sentendo la carne solida, tesa e gonfia dei tendini sotto la maglietta. Le sue mi si appoggiano ai fianchi in una presa leggera. Ci guardiamo negli occhi. Mi mette una mano dietro al collo e mi fa abbassare la testa fino a farmi incontrare la sua bocca con la mia.
Sento il sapore di cupcake in questo bacio lento e profondo, pacato. Continua all'infinito, languido e delizioso. Poi Sasuke si scosta e si toglie la maglietta. Subito dopo le sue mani afferrano l'orlo della mia. Sollevo le braccia per aiutarlo a sfilarmela. La stessa sorte tocca anche al reggiseno. Mi spinge sulla coperta e, senza toccarmi, mi osserva da capo a piedi nella fievole luce delle stelle, come se mi stesse memorizzando. Sento che mi scaldo al pensiero di tutte le imperfezioni che vede. Con un gemito, cerco di scansarlo e alzarmi, imbarazzata da quell'intimità, travolta da sensazioni troppo forti che mi scorrono nelle vene.

"Aspetta". Una mano sulla mia pancia mi rispinge giù scivolando lungo il mio corpo. Ho il cuore che batte a un ritmo doloroso. Tremo e mi agito in attesa della sua mossa. Lo sbircio di sottecchi e noto che mi scruta dal basso, il mento che sfiora la mia pancia, le mani grandi e forti che mi marchiano a fuoco le anche e lo sguardo profondo che mi attira, mi trascina a fondo.
Ma, se il mio corpo lo reclama, come un disperato che troppo a lungo soffre la fame, il mio cuore mi intima alla cautela. È ancora troppo presto.
Allungo una mano per scompigliargli quei capelli setosi, scuri come il cielo che ci avvolge.
"è troppo presto, vero?", mi chiede pacato.
"Si...".
Si tira a sedere allontanandosi da me, lasciandomi uno spazio che non voglio. Di slancio lo abbraccio da dietro, il mio petto nudo a contatto con la sua schiena.
"Dormi con me stasera... solo dormire", lo supplico.
Si volta per scrutare la mia sincerità.
"Sicura?".
Annuisco. "Non voglio mettere distanza tra di noi... voglio... solo andare piano".
"D'accordo", mi accontenta con un sorriso. "Ma non rubare le coperte come fai sempre", mi rimprovera bonariamente.
"Promesso"  

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