III

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Durante le prime settimane di scuola, scrutavo Angela, velato da una bugiarda indifferenza, la esploravo come una terra promessa quasi raggiunta, fingevo di essere noncurante dei suoi atteggiamenti singolari; l'amavo già, ma di nascosto e da lontano, come si prova amore per la luna, la mia donna era un mistero spettacolare. Ciò che provavo, però, in quel momento non era abbastanza forte e solido da potermi spingere ad esclamare con fermezza ciò che mi suggeriva la psiche. Avevo paura di ciò che potesse accadere nel mentre e dopo la mia dichiarazione, aumentava il battito cardiaco soltanto al pensiero di dovermi allusivamente svestire davanti a lei e davanti al mondo, questa sfera di terra, di vento, di aria e di fuoco che calpesto, che mi tiene legato a sé, che fa finta di non sapere niente, quando effettivamente sa ogni cosa, di tutto e di tutti.
"Quando hai capito che era arrivata l'ora giusta per spingerti oltre con me?" - Angela è di nuovo qui e cerca di farmi buttare fuori tutto ciò che, secondo lei, può ristabilire la mia esistenza, può addolcire i miei occhi che guardano qualsiasi cosa con diffidenza e perplessità ultimamente, che può smussare la mia acidità formatasi come uno strato di grasso liquido sotto ogni millimetro quadro della mia buccia, tutto ciò che può svuotare i miei organi straripanti di olio corroso.
Era un venerdì mattina, un giorno apparentemente sterile come tanti quando dimostrai il mio attaccamento a quella ragazza del primo banco, seduta da sola, accompagnata perennemente da un alone di magnificenza, malinconia e ambiguità. Il mio amico Simone era la tipica prima donna delle situazioni, il primo attore di osceni spettacolini che si ripetevano tutti i santi giorni, il faraone di un impero di zerbini.
Simone, col suo carattere da delinquente di polistirolo, era un attento scrutatore di difetti in qualsiasi componente della classe e non.
Angela, per il suo modo di porsi, di agghindarsi, era carne fresca per i suoi denti da lupo affamato, alla disperata ricerca di vana gloria e frivola popolarità; quelli che lui chiamava difetti, per me erano pezzi di un puzzle affascinante e incantevole, colori inquieti che dipingevano una straordinaria opera d'arte.
Era uso di Simone dare nomignoli insolenti ad ogni suo vittima, la cosa peggiore è che questo ragazzo, spesso e volentieri, riusciva ad indossare alla perfezione gli abiti di un eccelso burattinaio, trascinando decine di persone verso il suo microscopico spazio di pensiero.
Angela era conosciuta da tanti come Lachesi, una dea della morte della mitologia greca, ma Simone conosceva questo nome soltanto perché forse lo aveva sentito distrattamente durante qualche lezione di letteratura o storia; quella mattina Simone esclamò quell'appellativo troppe volte.
Senza alcun tentativo di placare la foga della continua presa in giro tranquillamente, passai direttamente al metodo rude e rozzo dell'urlo: "Smettila, sei ridicolo!"
Il silenzio dimorò in quella stanza per lunghi secondi, interminabili.
Io ero la cosiddetta spalla di quel bulletto da quattro soldi fino a qualche istante prima, quindi il mio sfogo fu un evento sconcertante non solo per Simone, ma anche per tutti gli altri ragazzi-burattini della scuola; quello scontro stava per straripare verso una lurida rissa.
Anni di amicizia crollarono dopo quel giorno, ma è stato meglio così, perché finalmente io mi rivelai per quello che ero realmente: un ragazzo necessitante di beatitudine, contro ogni forma di sottomissione, una persona che non avrebbe mai dovuto avere a che fare con quel tipo di gente, perché chi cerca di deridere le caratteristiche degli altri per innalzare le sue, non vale niente.
Un particolare sottile, ma importante è che quella mattina, la mia Angela mi sorrise per la prima volta.

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