IV

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"Era un venerdì sera quando io e te ci incontrammo di nascosto."
Angela mi aiuta a rievocare episodi che sono impossibili da dimenticare per me.
Mi feci tanto coraggio e gonfiai il petto come un tenore prima di un acuto quando la invitai a trascorrere una serata insieme, o qualche ora in compagnia, o magari pochi minuti per un caffè; non mi piace il caffè, ma mi piace lei.
La campanella era suonata da meno di un minuto e ci stavamo avvicinando al cancello di scuola per uscire. Con uno scatto di virilità, anche molto ridicolo, la fermai e la proposi di uscire insieme.
La guardai negli occhi per un centesimo di secondo, un tempo minuscolo, impercettibile, bastò così poco per farmi mancare il fiato, per farmi aumentare il battito cardiaco.
Non finii nemmeno di recitare la mia battuta, tra l'altro con balbettata compresa, che ricevetti la sua risposta: "mh, va bene."
A momenti svenivo, i miei occhi quasi strariparono dalle orbite, le mie mani sudarono peggio di un igloo sotto il sole di agosto in spiaggia.
Angela mi sorrise ancora una volta dopo aver deciso il luogo e l'orario del nostro incontro. Io non interferii con le sue scelte: per quella ragazza magica avrei trovato un modo anche per calpestare la luna se l'appuntamento fosse stato stabilito lassù.
Angela decise di incontrarmi quella sera stessa alle 22, nel parco dell'Annunciazione: un parco carino, tranquillo, poco frequentato, sfruttato principalmente per portare i cani a fare i bisogni. Angela viveva in quel parco, ma questo lo scoprii successivamente.
Quella sera arrivai in quella piazzetta alle 21:40, avevo troppa paura di farmi aspettare.
È giusto che sia l'uomo ad aspettare la donna, penso sia una cosa naturale, è istinto umano. È inconcepibile il fatto che potrebbe accadere il contrario, come se la pecora sbranasse il leone, come se il sole ruotasse intorno alla terra.
Angela arrivò con appena due minuti di ritardo, la vidi da lontano e cominciai nuovamente a palpitare.
Ci salutammo con diffidenza, eravamo entrambi molto agitati, ci temevamo a vicenda; sia io che lei attendavamo una domanda, una parola o un gesto dall'altro. Angela era ancora chiusa in se stessa, nascosta da molti pregiudizi e coperta da mille stati d'animo, come fossero mille lucchetti da sbloccare prima di arrivare davanti alla porta più vera e sincera. Angela era molto tesa, si guardava continuamente intorno, con sospetto.
Era riuscita ad uscire di casa con la scusa di andare a comprare le sigarette al padre.
"Visto? A volte il fumo può far bene."
Cercai di rompere il ghiaccio con questa battuta squallidissima e indecente; Angela rise sguaiatamente per il mio essere timido e incapace nel relazionarmi col sesso opposto.
Per tutta la serata parlammo prevalentemente della scuola, di ciò che dovevamo studiare, di professori a cui augurammo le peggiori disgrazie e della puzza di erba che impestava i bagni del nostro piano. Ogni nostra esclamazione era intervallata da un'occhiata a destra e a sinistra di Angela, come se temesse di essere vista da qualcuno, si sentiva spiata.
Prima di andarmene nacque in me il desiderio di baciarle la mano, così come si fa con le grandi donne, quelle che hanno l'anima luminosa, gli occhi colmi di cielo e il cuore pieno di battiti.
Lei arrossì appena, mi baciò la guancia destra e si diresse verso casa.
Dopo quell'ora o poco più trascorsa insieme, quella ragazza restò comunque un mistero, ma quella sera mi resi conto che in lei era accesissima la voglia di essere scoperta, era stanca; Angela era un segreto alla ricerca della persona capace di svelarlo, con cautela, passione, caparbietà e, soprattutto, in segno di pace.

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