VII

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Una storia d'amore è come un pacco regalo, giorno dopo giorno, strappo dopo strappo, si arriva nel cuore del rapporto, si raggiunge il dono. A volte può sorprendere e a volte può deludere, ma ancor più importante è il valore che si assegna a ciò che si scopre, a ciò che si riceve.
Angela è il mio dono speciale, è stata un miracolo, una benedizione, lei mi ha visto sbagliare, mi ha visto esagerare e cadere. Lei si è lasciata scoprire da me come non aveva mai lasciato fare a nessuno, le ho tolto delicatamente tutti i veli dal corpo, le ho scucito tutte le maschere, le ho smontato tutti i pezzi dell'armatura; ci è voluto tempo e forza, è stato un percorso estenuante, asfissiante, ma allo stesso tempo spettacolare e candido. Se Angela non fosse stata Angela avrei abbandonato questo mio desiderio, ma proprio perché Angela non è un'altra, lei non rimase soltanto banalmente e futilmente un desiderio, questa ragazza mi spinse oltre.
Ho fatto cose che credevo di non essere in grado di fare, ho pronunciato parole così sincere quasi al punto di far male. Qualcosa di immenso mi ha trasformato; io ero un bruco, quella ragazza paradisiaca è stata il mio bozzolo, l'amore le mie ali.
Capì di aver terminato il mio lavoro di svestizione con Angela quando decise di togliersi da sola davanti ai miei occhi l'ultimo strato, l'ultimo livello di segreti che la teneva ancora lontana dalla libertà di essere accettata, dalla convinzione di poter essere abbracciata senza paure da chi non aveva timore di sporcarsi la pelle con il suo passato.
Il suo passato, proprio così, era più nero di quei jeans stracciati sulle ginocchia che amava indossare. Quel passato era ancora una ferita aperta, una ferita con ancora lunghe spade infilate dentro fino al manico, una ferita che perdeva ancora sangue; le possibilità di ricucirla erano inesistenti, poiché il dolore non svanisce mai col passare del tempo, il tempo insegna soltanto a convivere col dolore.
"Ti sei mai chiesto perché io vivo sola con mia madre?" - Angela mi pose questa domanda una domenica pomeriggio sulla nostra solita panchina nel parco dell'Annunciazione.
"Si, ma non ho mai voluto chiedertelo."
"Allora ora te lo dico io; non ho mai conosciuto mio padre." - non era facile continuare una conversazione di quel tipo, ma io provai a interrompere quel breve silenzio con un semplice e discreto: "Mi dispiace."
"Non dispiacerti, era un bastardo. Non so nemmeno il suo nome. Tieniti pronto, non ti ho ancora raccontato nulla."
"Se te la senti di parlare, continua pure."
"Mia madre trovò dopo poco tempo un uomo di nome Pietro che la voleva bene, la amava, un uomo che amava anche me."
"Ah, bene!"
"No, non è mai andato niente bene."
"Cosa ti ha fatto star male? Forse volevi tua madre tutta per te?"
"No, il problema era un altro." - gli occhi di Angela divennero colmi di acqua e sale nel giro di qualche attimo, io mi ritrovai inchiodato con le spalle sulla panchina e con gli occhi volti verso il pavimento, cercando di evitare il suo sguardo. Avevo troppa ansia e inquietudine perché ero sicuro di non essere all'altezza di quella situazione e di quello che stava per essermi detto.
"Angela, tranquilla, non sei costretta a dirmelo. Con me devi sentirti libera."
"Isa, tu sei l'unica persona che mi è sembrata in grado di starmi accanto. Ormai con me è come se stessi all'inferno, l'unico modo per uscirne insieme è affrontare le fiamme, non ti vorrai mica tirare indietro ora?"
"No Angela, no." - l'aria si fece leggermente meno pesante, ma il peggio non era stato ancora detto.
"Allora Angela, qual era il problema?"
"Pietro amava di più me."

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