Sette anni

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Quella maledetta estate in cui compii sette anni fu maledetta.
O, forse, fu solo il primo assaggio di ciò che avrei dovuto sopportare, in maniera triplicata, negli anni a venire.
Dopo la storia della corda, che magicamente parve scomparire dalla mia mente poche settimane dopo la catastrofe sventata, comparvero altri problemi.
D'improvviso, mangiare era diventato un incubo.
Io, una bambina con tanto appetito e fame perenne, ingorda di patatine fritte, pizza e gelati di ogni tipo, mi ritrovai apatica, inappetente, nauseata.
Accadde, per la prima volta, una mattina, in hotel.
La ricca colazione con cornetti alla crema e latte col cacao a cui tanto pensavo dal momento in cui, al mattino, mi svegliavo, d'un tratto divenne nauseabonda.
Alla vista di tutto quel cibo, ebbi un conato di vomito.
E, nelle ore a seguire, anche il solo pensiero della pizza, perfino della mozzarella filante che da sempre mi provocava l'acquolina in bocca, improvvisamente sembrava disgustoso.
Non riuscivo a capacitarmene, e mia madre pensò che dovesse trattarsi di un virus intestinale.
Passerà, Samì, passerà nel giro di pochi giorni.
Così non fu.
Perfino bere era un enorme sacrificio, e dovevo costantemente fare a botte con una nausea che pareva non abbandonarmi mai.
Ero tanto spaventata da non riuscire neanche più a deglutire, ma a nulla servì portarmi d'urgenza da ogni sorta di medico.
La bambina sta bene, fa solo i capricci per mangiare, ne sono certo.
Questa piccolina non ha nulla allo stomaco, stia tranquilla, signora. Ogni tanto succede a tutti, no?
No.
No che non succede.
A nessuno.
Però, se il parere dei medici era sempre lo stesso, dovevamo fidarci.
Tornai nella mia amata città, e nel giro di qualche giorno il mio appetito parve ritornare.
Ripresi quel forte studio con metodo universitario, con le lavate di capo ogni qualvolta non riuscivo ad assimilare i concetti, con pianti, urla e, qualche volta, rassegnazione.
Era questo il mio destino?
Studiare, studiare, studiare? Anche d'estate, mentre i miei amichetti si attaccavano al citofono, intimandomi di scendere in cortile a giocare?
Dal salotto bianco e sterile, pieno di libri fino ad esplodere, una sagoma minacciosa mi intimava di studiare. Urlava formule e concetti, accompagnati inevitabilmente da insulti e offese nei miei confronti, una somara schifosa, malata, che non capisce mai un cazzo.
Intanto, io cercavo di risolvere i problemi geometrici e, nei rari momenti di silenzio, mentre quell'ombra dietro di me spiava tutto ciò che scrivevo sul quaderno, sentivo urla e schiamazzi provenire dal cortile. I bambini continuavano a rincorrersi, a schizzarsi tra loro l'acqua delle fontanelle, a giocare a nascondino, a pallavolo. A quel punto, il mio sguardo si perdeva nel vuoto, ad immaginare i loro buffi giochi, ed era lì che giungeva una sberla. Improvvisa, inaspettata. O forse no.
E un insulto.
Perditempo, non dormire come al solito! Risolvi questo problema!

Diciottenne DOCDove le storie prendono vita. Scoprilo ora