Libri, libri, libri.
Era tutto ciò che desideravo.
La lettura faceva parte di me praticamente da sempre. Avevo imparato a leggere prima di compiere cinque anni, e da quel momento mi sentii completa.
Iniziai con i libri per bambini, poi chiesi l'accesso alla biblioteca per ragazzi.
Trascorsi le mattine d'estate seduta su quei divanetti, a divorare romanzi come fossero pizze.
Me ne nutrivo, e stavo bene. Mi facevano sentire carica, in forma, più del cibo.
Quei romanzi mi facevano entrare a contatto con tempi e spazi diversi, mi facevano viaggiare con la mente, ed erano droga per me.
La cultura era droga per me.
Mi avvicinai al mondo della psicologia e della filosofia, imparai a conoscere i maggiori movimenti di ribellione alla società e ne rimasi affascinata.
Scoprii il sesso, e mi accorsi di quanto l'uomo sia ancorato a vecchie tradizioni, usi e credenze. Di quanto consideri il sesso un tabù, mentre altre cose ben più gravi come la violenza, vengono sottovalutate. Talvolta aizzate.
La mia mente da bambina serena e ottimista, ben predisposta nei confronti del mondo, faceva emergere tutta la merda di cui la mia società era intrisa.
Al rogo prostitute, dark, gay, musulmani, neri, laici.
Insomma, gente che non arreca danno ad alcuno, ma viene comunque perseguitata, odiata, talvolta uccisa.
E scoprii che la mia società pullulava di tanto, tanto, tanto finto perbenismo.
Mi drogavo con ogni sorta di lettura e provai ad immedesimarmi nella vita di ogni personaggio, puntualmente perseguitato da tutti perché considerato diverso rispetto ai "normali".
È in quel periodo che iniziai ad odiare quella che chiamano normalità, e capii che occorreva rimodellare le menti retrograde per farle aprire.
Avrei fatto questo nella mia vita, insieme alla scrittrice.
Sì, mi piacevano questi progetti di vita!
L'unica pecca della lettura era che non faceva altro che scatenare nella mia testa malata ogni sorta di compulsione.
Se il libro cominciava con "c'era una volta, in un luogo lontano, una bambina", il mio cervello partiva con il classico
"In- un- luo-go- lon-ta-no -una- bam-bi-na: undici sillabe, sette da due lettere, quattro da tre", e così via per gran parte del romanzo.
Stavo diventando sempre più schiava del mio cervello, bevevo otto sorsi d'acqua anche se al quinto stavo per esplodere, solo perché la testa mi imponeva di farlo. Prima di dormire schiacciavo l'interruttore quattro volte, altrimenti non trovavo pace. Quando attraversavo la strada, guai a non saltellare solo sulla parte bianca delle strisce pedonali!, e quando ero sui marciapiedi, avevo l'assoluto divieto di toccare le linee delle mattonelle.
Iniziavo a stancarmi, dovevo ribellarmi.
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Diciottenne DOC
Teen FictionSamira non ha bisogno di etichette: quelle lasciamole al supermercato, sostiene. Il romanzo segue le vicende della sua vita, partendo dalla sua infanzia con il disturbo ossessivo compulsivo, fino ai suoi venti anni. Un unico filone narrativo che se...