La storia di trombamicizia con Giovanni sfumò così come era iniziata. Non ci fu alcun evento scatenante, semplicemente smettemmo di vederci e di sentirci.
Quello fu il periodo in cui iniziai il volontariato in ospedale (io stavo male, ma probabilmente la mia esistenza poteva servire per far sorridere gli altri), e fu lì che la conobbi.
Lucilla.
Poco più alta di me, con un pantalone strappato e la maglia mimetica. Capelli blu rasati, un piercing finto e un sorriso da togliere il fiato.
Stava giocando con le marionette insieme a Buddy, un piccolo nigeriano che in italiano sapeva dire solo sì, no e ciao, e che era stato ricoverato per un'ustione al braccio.
Si erano accordati per una lingua fatta di gesti e di boccacce, e ridevano. Ah, quanto ridevano.
Buddy teneva il braccino steso e, di tanto in tanto, gli dava un'occhiata furtiva mentre giocava.
Il suo dolore era lì, sotto i suoi occhi, sul suo corpo, e la risata veniva smorzata immediatamente alla sola vista delle escrescenze che lo ricoprivano dalla spalla al polso.Lucilla mi affascinò dal primo istante che la vidi, una nuvoletta azzurra e un abbigliamento casual.
Quando si accorse della mia presenza, si alzò dal letto del bambino e mi fece un cenno col capo.
-Tu devi essere Samira, quella nuova.
Annuii con troppo vigore. Quattro volte. Tam, tam, tam, tam. Okay, quattro.
-Okay, io sono Lucilla, e faccio volontariato da quando avevo otto anni. Un tempo, ero qui al suo posto. Sono stata tanto triste in quel periodo da aver deciso che, se un giorno fossi guarita, avrei reso migliore questo posto. E così è stato. O, perlomeno, ci provo.
Sorrise, toccandomi il braccio a mo' di complicità.
E il mondo attorno a me sparì.
Mi sentivo leggera, mi pareva quasi di volare. Avevo le farfalle nello stomaco, mi sentivo le gambe cedere e il cuore aveva preso a battermi tanto forte da farmi perdere il conto compulsivo.
Poi, tornai sulla terraferma e mi decisi a risponderle.
-Mi sa che ci tocca lavorare insieme, per oggi.
Mi diede una marionetta raffigurante un vecchio con gli occhiali stampati sul naso e mi invitò a giocare con loro.Le ore trascorsero, ed io la ammiravo mentre giocava con tanta passione, interpretando mille personaggi diversi, ognuno con voce e carattere propri. Quanto era bella.
Ogni tanto si toccava il ciuffo azzurro e gettava indietro i capelli, ridendo. Guardai le sue mani rosee e delicate, e mi venne voglia di toccarle.
Sembrava che l'ospedale fosse il luogo più dolce del mondo, semplicemente perché c'era lei.
Alla fine della giornata ci demmo appuntamento al venerdì successivo. Mi fece l'occhiolino, dopo esserci scambiate i rispettivi numeri di telefono. Capii che, probabilmente, ricambiava i miei sentimenti. Ne fui felice.Arrivai a casa e, tempo cinque minuti, mi fiondai al pc: cominciai a seguirla su ogni social network ed il mio cuore palpitava alla vista di ogni singola foto. Con le amiche, tum, tum, con un cocktail in mano, tum, tum, in un locale, tum, tum, in discoteca, tum, tum, a un diciottesimo compleanno, tum, tum, ad una cerimonia, tum, tum, sul letto, tum, tum, a scuola, tum, tum.
Ah, che meraviglia doveva essere la sua vita. Ed anche la mia lo sarebbe diventata, se si fosse concatenata alla sua.
Contai i giorni, le ore e i minuti che mancavano al nostro incontro successivo.
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Diciottenne DOC
أدب المراهقينSamira non ha bisogno di etichette: quelle lasciamole al supermercato, sostiene. Il romanzo segue le vicende della sua vita, partendo dalla sua infanzia con il disturbo ossessivo compulsivo, fino ai suoi venti anni. Un unico filone narrativo che se...