𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝟗

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Canzone del capitolo: Poison (Rita Ora)

Entro nella lussuosa villa dei Miller, mio momentaneo rifugio dalla quella vecchia massa di popolarità di cui ero stata preda in passato. Ripeto la parola "passato" nella mente con più enfasi. È il mio passato e non il mio presente. Me lo devo mettere in testa.

Rimpiango amaramente di aver ceduto all'invito di Kara. Certo, le chiacchiere con la signora Gilbert e sua figlia sono state così piacevoli che per un attimo mi hanno reso la serata godibile.

Do un'occhiata intorno. Tutto sommato la casa è rimasta immutata, a parte l'aggiunta di qualche quadro e la tappezzeria diversa. Il mio senso dell'orientamento, come per la strada di prima, non mi ha abbandonata e trovo con facilità la cucina.

«Sembra così spoglio» mugugna Mrs. Gilbert quando entro. È girata di spalle, la testa china assieme alla schiena, la punta del tacco che picchietta contro il pavimento in marmo.

«Caroline, qualcosa non va?» le chiedo facendola voltare di scatto verso di me, insieme ad altre cinque teste.

Risponde alla mia domanda con un'altra domanda. «Haily, cosa ci fai qui?»

Agito il calice. «Sono venuta a posare questo», mento.

Un abile cameriere si appresta a portarmelo via dalle mani.

Dopo la sorpresa iniziale, il cipiglio sulla fronte le si ripresenta e io mi avvicino per sapere cosa sta guardando e perché è tanto preoccupata. «Questi piatti hanno qualcosa che non va» commenta a braccia conserte, studiando tutte e sei le portate.

«Hanno un bell'aspetto invece, e sembrano molto buoni» ribatto con l'acquolina in bocca. «Se non sei convinta delle decorazioni, perché non provi con la buccia di un pomodoro a crearci una rosellina da metterci sopra?». Mia madre lo ha sempre fatto quando invitava gente a casa, che si trattasse di parenti o colleghi, e venivano sempre molto apprezzate.

«Roselline fatte con la buccia di pomodoro?» ripete pensosa.

Dopo aver chiesto il permesso a un cuoco di prestarmi il coltello, inizio la mia piccola opera e rimango molto soddisfatta quando l'appoggio sopra il risotto. Mi è sempre piaciuto aiutare mia madre in cucina e guardarla fare queste piccole magie, come le chiamavo da bambina, ma mi è anche servito per quando mi sono dovuta trasferire. «Cosa ne dici?»

«Lo trovo davvero carino. È perfetto», batte le mani, sorridendomi. «Li voglio pure nelle altre portate» dice poi, assegnando il compito ai due cuochi che con un cenno del capo si danno subito da fare.

«Signorina, le andrebbe di aiutarci con le decorazioni?» si fa avanti il cuoco più giovane, ignorando l'occhiata meravigliata dei suoi colleghi e quella seccata della padrona di casa.

«Sebastian, la ragazza è un ospite, non di certo un aiuto cuoco», lo mette in riga lei e lui abbassa la testa, scusandosi.

Se lei ha potuto vedere la cosa come un oltraggio, io l'ho vista come un mezzo per non dover tornare fuori se non per la cena. Ed è per questo che accetto volentieri di aiutarli, anche se penso siano in grado di fare tutto da soli e anche in poco tempo.

«Sicura, Haily? Non voglio che te ne stai chiusa qui quando fuori ci sono i tuoi amici.»

Amici non è il termine che meglio descrive Ian, Cora e Anita. La rassereno dicendole che non impiegherò molto, e la fronte ampia le si distende.

«Tra una ventina di minuti diamo inizio alla cena. Vorrei dare un'ultima revisione alla sala e vi chiedo di togliere per maggiore comodità i vasi di gardenie dai tavoli», informa i tre camerieri che escono con lei dalla cucina, dirigendosi in giardino.

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