𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝟐

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Canzone del capitolo: My dilemma is you (Selena Gomez)

"Non ho voglia di mettermi una gonna", avevo detto.

Eccomi qua. Sono di fronte la Miller Enterprise, l'azienda che si occuperà di me per i prossimi sei mesi, e se farò colpo –come sottolineato dal mio professore di economia – è possibile che possano pensare a me come una futura impiegata.

Ammiro affascinata la struttura, come Jack nel fagiolo magico contemplava la pianta di fagioli, sollevando la testa per vederla sino in cima. Wow.

Grandi vetrate oscurate si ergono lungo l'edificio che in tutto ha ventitré piani. Due enormi porte scorrevoli, in vetro trasparente e ornate con il logo e il nome dell'azienda, mi invitano a farmi avanti.

Sarebbe un sogno lavorare per un posto di cotanta importanza. Papà ne sarebbe fiero.

Per questo ho finito per dare retta ad Arden, che ieri sera mi ha stressata per indossare una gonna a tubino.

«Che differenza fa?» le ho chiesto, e lei mi ha risposto di fidarmi e basta. Ho deciso che non sarebbe cambiato nulla se avessi indossato una gonna e così ho fatto.

Mi do un'ultima sistemata lisciandomi i capelli dietro le spalle, passando una mano sulla camicetta bianca per controllare di aver chiuso tutti i bottoni, e infine silenziando il cellulare.

Riempio i polmoni d'aria, mi stringo la borsa al petto ed entro. I tacchi battono contro al marmo, echeggiando nella hall, facendo scattare la testa a una signorina con i capelli biondi perfettamente trattenuti in uno chignon, seduta dietro un bancone. È la segretaria.

Si alza per accogliermi e vedo che ha indosso un completo simile al mio. Quando sono sul punto di raggiungerla, un uomo mi supera da dietro e la chiama a gran voce. Il suo nome è Katie. Lei alza l'indice e sorride per chiedermi di aspettare. Li osservo mentre si scambiano dei documenti e la ragazza, che potrebbe avere la mia età, annuisce a ogni frase imperativa dell'uomo.

«Lei è la signorina Haily Anderson?», si accerta quando arriva finalmente il mio turno, controllando una serie di documenti che dovrebbero avere a che fare con me.

Annuisco, spostando il peso da un piede all'altro.

«Si accomodi pure in una di quelle poltrone laggiù», mi indica un'elegante sala di attesa proprio al centro della stanza. «Ho già informato Mr. Miller del suo arrivo. A breve arriverà per guidarla in un tour dell'azienda» mi spiega con il sorriso.

«Non so molto bene come funziona, ma al college mi è stato accennato che non devo aspettarmi la visita del capo dell'azienda al mio primo giorno» balbetto a disagio per l'incontro immediato con il fondatore dell'azienda. La prima impressione è tutto in posti del genere.

«È corretto. Solitamente rientra nei miei compiti informare gli stagisti di come si lavora qui, ma Mr. Miller ha dichiarato di volerla accompagnare lui stesso alla scrivania che occuperà per metà anno», fa chiarezza.

Sebbene la cosa non mi metta meno ansia, decido di non tartassarla con altri turbamenti, finendo per accomodarmi su una delle morbide poltrone.

Mi porto i capelli dietro le orecchie ed esploro con gli occhi la sala. Il design è moderno; non c'è traccia di esorbitante o esagerato in questo posto. Tutto sembra al posto giusto.

La punta della décolleté batte sul pavimento con fare nervoso.

La voce della segretaria rimbomba nell'ingresso quando mi avvisa dell'arrivo del signor Miller. Non riesco a scrollarmi di dosso questa strana sensazione di familiarità con tutto ciò che mi attornia, benché io non sia mai stata qui.

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