Capitolo 7

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CANZONE DEL CAPITOLO:
Certain Things - James Arthur

"cause certain things hurt
you're my only virtue."
(perché certe cose fanno male,
tu sei il mio unico pregio).

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Stiamo festeggiando per il nostro fidanzamento ufficiale e tutti sono veramente felici. Non sarei potuta essere più felice, tant'è che vado in giro e mostro il mio anello di fidanzamento agli invitati, i quali sono altrettanto felici per noi. Tutti coloro che avevamo invitato sono venuti, tutti, tranne mia mamma. Lei era veramente estasiata all'idea del nostro fidanzamento, per questo ci siamo sorpresi della sua assenza.

Un numero anonimo spunta sullo schermo del telefono, allora esco e rispondo alla chiamata.

«Pronto?»

«E' lei la signorina Vivian?»

«Sì? Posso chiederle chi è?»

«Chiamo dall'ospedale policlinico di Oslo, sua madre è stata coinvolta in un incidente stradale piuttosto grave. Fortunatamente siamo riusciti ad identificarla e lei è tra i suoi contatti di emergenza.»

«Sta bene? Quando è successo?»

«È attaccata ad un supporto vitale, abbiamo bisogno che lei venga, compili i fogli e compia una decisione importante.»

«Vengo subito, grazie.»

Attacco il telefono, singhiozzando per la notizia e corro dentro per informare Chris.
«Mia mamma ha avuto un incidente, dobbiamo andare.» Dico, piangendo.
Tutti cercando di consolarmi e, poco dopo, ci lasciano.

Chris accende la macchina e si dirige verso l'ospedale.
Prendo respiri profondi ed entriamo.
«Sono qui per vedere mia mamma. Sacha Vivian.» dico all'infermiera, con le lacrime agli occhi, ma cerco di trattenerle.
«É un famgliare?» Mi chiede tristemente, guardando i suoi file.
«Sì, sono la figlia.» Rispondo con la voca che si spezza.
«Si trova nel blocco IC, prosegua questo corridoio. Stanza 238.» Io annuisco velocemente, per poi raggiungere la camera. Vedo subito mia mamma attraverso il vetro, ha dei fili attaccati a tutto il corpo. 

Non sembra neanche più mia madre, è, più che altro una versione di lei disintegrata, disidratata e rotta. I tubi che l'aiutano a respirare coprono il punto in cui lei prima sfoggiava il sorriso. Le palpebre scure coprono la luce che le sue iridi una volta trasmettevano.
Entro nella camera e mi siedo accanto a lei, prendendole la mano e appoggiandola sul mio cuore.
«Ho bisogno di te, mamma. Hai affrontato molto di peggio. Puoi farcela anche stavolta.» Piango.
«Per favore, dammi un segno, muovi un dito o fai qualcosa.» Prego.
Al contrario, non ricevo nessun segno vitale che da conferma alle mie domande più tristi. Singhiozzo e continuo a piangere.

Questa situazione mi ricorda ciò ch'è successo circa dieci anni fa con mio padre. Un giorno, quando avevo tredici anni, mentre ridevo stupidamente con il mio sorriso di metallo (per l'apparecchio, s'intende) e giocavo ad hockey all'aperto con mio papà, lui non riusciva a respirare ed è caduto per terra, non respirando né muovendosi. Mia mamma aveva chiamato il 911, ma io sapevo che era troppo tardi, sapevo che non sarebbe più tornato da me. Lo sapevo, perché avevo visto una versione di lui all'ospedale che non avevo mai visto, la sua versione rotta.

Mia mamma ha cercato, per tre mesi, di tenerlo in vita con il supporto vitale. Ma se n'era già andato da tempo. E solo il giorno in cui finalmente l'ha lasciato andare, ho notato le borse sotto i suoi occhi. Ho visto il sollievo del suo spirito, ma ho anche visto il suo dolore al funerale.

Dopo qualche minuto, entra il dottore per farmi compilare vari documenti.
Avendo finito, il dottore si trattiene per parlare con me.
«Il cervello di sua madre ha smesso di funzionare. E' completamente morto. Se sceglie di staccarla dal supporto vitale, i suoi organi sono completamenti sani, quindi-» Lo fermo.
«Non voglio che lei porti via spazio all'ospedale per i prossimi anni, quando non può più vivere. Sono pronta a staccarla dal supporto vitale.» Concludo con le lacrime che scorrono sulle mie guance.

Saluto mia mamma per l'ultima volta. Non riesco a credere a ciò che sta succedendo.

«Ciao mamma. E' tempo che tu vada. E' molto più presto di quello che ci aspettavamo, ma è arrivato quel momento. Sono stata davvero fortunata ad essere tua figlia. Mi ricordo quelle innumerevoli notti in cui tu m'insegnavi cos'era davvero la vita oppure come si cucina e tutto ciò lo facevi dopo dieci ore di lavoro, stanca morta. Sei la donna migliore che io abbia mai conosciuto e non vedo l'ora di raccontare ai miei futuri figli com'era la loro nonna. Vorrei davvero che tu potessi accompagnarmi all'altare, il giorno del mio matrimonio, ma so che, anche se non fisicamente, ci sei e ci sarai sempre nel mio cuore. Ti amo tanto, mamma. E so che tu mi ami. Riposa in pace con il papà, va bene? Voi due ve lo meritate.» Le lascio un bacio sulla fronte, poi esco fuori e cado tra le braccia di Chris.

«E' andata. Per sempre.» Singhiozzo amaramente contro il suo petto.
«Ti amo tanto.» Chris mi dice, baciandomi la testa.
Ma io non sento niente. Come se fossi senza emozioni.

HOLA CICC,
non ammazzatemi, non ho deciso ciò che è successo in questo capitolo, scusatemi (((((:
Scusate anche per il ritardo, ho dimenticato che avevo già tradotto questo capitolo AHAHAHAH non aspettatevi il successivo entro breve, I'm sorry. Però, finchè ci sono capitoli da tradurre, io ritornerò!

Roses » Chris SchistadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora