Ethan si era sempre chiesto come mai i genitori diventassero tanto sentimentali il primo di settembre.
Ovunque guardasse, c'erano genitori – a volte nonni, perfino zii – che abbracciavano calorosamente i loro figli, li baciavano, ripetevano loro le raccomandazioni per l'ennesima volta e si facevano promettere di ricevere gufi almeno una volta alla settimana.
Era stupido, pensava Ethan, non stavano mica andando in guerra.
E allora perché tanto scalpore? Volevano forse dimostrare agli altri genitori quanto tenessero ai propri figli? Probabile. La gente era maledettamente attenta all'impressione che dava sugli altri.
Fortuna che Ethan non doveva preoccuparsi di questo.
I suoi genitori avevano troppe questioni da sbrigare per pensare a lui.In fondo, quella era la sesta volta volta che partiva. Sapeva cosa fare.
E così, era lì, che avanzava con aria di indifferenza – quasi con noia – per la stazione, trascinando il baule con una mano e tenendo l'altra in tasca.
Era come avvolto da un mantello di mistero, di enigma; il che, se si teneva in conto anche quel suo sguardo impenetrabile, indecifrabile, faceva di lui un ragazzo quasi – e qui si avrà l'ardire di usare una parola impegnativa – inaccessibile.
Era alto; certo, Mark e Steven lo erano di più, ma era comunque abbastanza alto da poter prendere gli ingredienti delle pozioni dallo scaffale più elevato senza aver bisogno di alzarsi sulle punte.
Aveva capelli lisci e corvini, sempre tagliati secondo gli ultimi dettami della moda, e tratti del volto orientali.
Indossava spesso un giubbotto di jeans nero e degli anfibi.
Aveva tentato cambiare look, ogni tanto; ma non c'era nient'altro che gli stesse bene come quel celebre giubbotto e quegli adorati anfibi.
Il primo, era utile per conservare una scatola di sigarette (quelle magiche, dalla durata maggiore); i secondi gli conferivano quell'aspetto punk che non guastava.
Scrutò ancora tra la folla e individuò finalmente il suo gruppo di amici, allungò leggermente il passo e si unì a loro dopo pochi secondi.
*
«Bene, Ty. Allora ci vediamo a Natale» stava dicendo la signora Hogan, qualche metro più in là.
Il diretto interessato, suo figlio Tyler, annuì sorridendo.
Fremeva dalla voglia di risalire su quel treno, e sua madre lo aveva trattenuto anche più del dovuto.«Comportati bene» fece ancora la donna, scrutandolo.
«Mamma, lo faccio sempre» rispose Tyler, «E se mai dovessero dirti il contrario, ricordati che tuo figlio è semplicemente incompreso da questa autorità borghese che ci circonda.»
La donna alzò gli occhi al cielo, a metà tra il divertito e l'esasperato.
«Lascialo andare, tesoro» s'intromise il signor Hogan, «Il ragazzo non vede l'ora di rivedere i suoi amici» e fece l'occhiolino a Tyler.
«Certo, sì» annuì la moglie, sbrigativa.
Tyler allargò il sorriso, afferrò il baule e, dopo un ultimo abbraccio ai genitori, salì sul treno.
Fu fortunato a trovare uno scompartimento abbastanza in fretta, così non ci volle molto prima che aprisse il finestrino e tirasse fuori la testa, sicuro che sua madre avesse ancora qualcosa da dirgli – o, per meglio dire, ripetergli.

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❝Lonely Hearts Club❞
FanficAmbientato ad Hogwarts, ma con un contesto e dei personaggi da me inventati. Storia nata una mattina di settembre ❁ Tyler Hogan, sedici anni, Tassorosso. Michelle Anderson, sedici anni, Grifondoro. Ethan Carr, sedici anni, Serpeverde. Shyla Dal...