Fissandolo sbigottito, non aggiungesti nient'altro. Ti sembrava di rivivere quella conversazione una seconda volta.
Potesti sentire diverse emozioni dentro di te: rabbia, frustrazione, perfino paura. Timore. La soffocante sensazione di essere in gabbia e non avere la chiave per uscire da quell'incubo che sembrava eterno.
Potesti inoltre vedere come il corpo dell'orrendo pagliaccio stava lentamente diventando polvere, proprio come l'intero corridoio. E tu non potevi fare nulla, solo rimanere lì completamente paralizzato... incapace di agire. Incapace di fermare quella follia.
Perché tu eri in gabbia.
«Che cosa sta succedendo, adesso?!»
Ti chiedesti mentalmente, mentre quel clown ti guardava. Non faceva che guardarti, e rideva. Rideva mentre i granellini di polvere riempivano il pavimento emettendo un suono debole e monotono.
Rideva come aveva sempre fatto, e soprattutto rideva di te e della tua sciocca e debole mente.
Rideva mentre ogni cosa veniva resa polvere... tranne te.
«Pe... perché...?» Sussurasti flebilmente.
«Perché il tempo passa così in fretta quando ci si diverte.» Ribatté dolcemente, come quando una madre parla al proprio bambino.
E poi... scomparve. Per sempre.
A sostituire la sua figura fu una scatola: un po' di colore era sbavato e incrostrato, ma per il resto era in buone condizioni; la manovella di metallo posta su un lato della scatolina era arrugginita e c'era affissa una semplice frase: aprimi.
Non sembravi nemmeno tu ad agire: prendesti il giocattolo colorato con due mani e girasti lentamente la manovella, che emise un rumore cacofonico a causa della ruggine. Comunque, aggrottasti semplicemente la fronte.
Dalla scatola trillò una musichetta stranamente orecchiabile e molto probabilmente datata e scritta apposta per un pubblico infantile, che durò circa trenta secondi... fin quando il coperchio della scatola non si aprì di scatto.
A causa di ciò, sobbalzasti dallo spavento e la scatola ti scivolò dalle mani, cadendo proprio con il coperchio aperto rivolto verso il pavimento.
Da quest'ultimo accadde qualcosa: sul pavimento iniziò ad apparire una stanza. Ciò che prima quelle chiazze rivelavano a malapena.
Quella stanza... la riconoscevi.
E riconoscevi altre due persone.
Una la conoscevi bene, non è vero?. . .
Unica tua amica era la rabbia, la sola a darti quell'adrenalina che comandava i tuoi muscoli.
«Vuole solo curarmi, eh?! È da più di un anno che mi sta dicendo la stessa fottutissima cosa!»
«La prego di calmarsi, Reggie.»
Il tuo psichiatra era un uomo sulle trentina d'anni. Era un tipo un po' strambo, diffidente e misterioso; amava i colori scuri e si vestiva sempre di bianco, nero o grigio. Eri certo che non avresti mai scoperto che cosa gli passasse esattamente per il capo.
E adesso ti stava guardando, calmo come sempre, e non per niente sorpreso della tua aggressività: sembrava abituato, dopotutto; guardasti attraverso le lenti quadrate dei suoi occhiali, quei grandi occhi grigi che ti rammentavano il colore bigio del cielo quand'è nuvoloso, triste e cupo.
Era strano. Quell'uomo non era triste e cupo, ma quegli occhi così particolari e unici e quello sguardo freddo ti ricordavano una deprimente pioggia d'autunno, oppure una folata di vento gelido che ti faceva tremare il corpo.
Poi quello sguardo non era affatto nuovo per te: quelle pupille chiare sembravano gli occhi vetrosi di una bambola, privi di vita. Come in un morto.
E li avevi già visti.
Nonostante tutto, lui non era triste e cupo. Forse un po' serio. E prendeva con grande professionalità, il suo lavoro. Ma al di fuori di tutto ciò, aveva un discreto carattere mite che dimostrava soprattutto con i bambini: li adorava, considerando quelli dell'orfanotrofio della tua città "i suoi bambini"; e si vestiva da clown per farli divertire: uno strambo, diffidente e misterioso pagliaccio in bianco e nero. Lo etichettavi così.
«Lei è un bugiardo.»
«Sto cercando di aiutarla.» Ti rispose. «È da alcuni mesi che sto cercando di curarla, sì. Ma pensa che la terapia funzioni così all'improvviso?»
Silenzio.
Solo il silenzio aveva riempito ora lo studio, redendo ancor più tesa la situazione.
«Non ho bisogno di essere curato, e io non so che cosa lei voglia da me né perché lei semplicemente non me lo dice. Non mi dice mai nient-...!»
«Non ho bisogno di dirglielo.» Ti interruppe. «Le risposte stanno nella sua testa, ma sembra proprio che lei non sia intenzionato a ricordare nulla. Beh, il trauma che ha subito deve averle inferto un'amnesia piuttosto grave...»
«Lei mi sta mentendo. Mi state mentendo tutti! Perché non mi fate tornare a casa? Perché?!»
«Perché lei, Reggie, una casa non ce l'ha più.»Ehilà! Allora, chiedo scusa per il ritardo: solitamente aggiorno ogni 3/4 giorni o anche di meno, ma adesso non posso più cazzeggiare come facevo durante l'estate e devo adempiere al mio triste destino: quello di andare a scuola.
Vabbé, vabbé. Su con la vita, che tra tre mesi è Dicembre (sisi so contare) e tutti (forse) sanno che a Dicembre è Natale! :D
Ma forse sono l'unica persona al mondo che parla già di Natale...
Me ne farò una ragione.
Ah, poi volevo chiedere anche un'opinione: stavo pensando di fare un'altra storia sul Signore delle Caramelle e sì insomma Laughing Jack. Eh boh volevo sentire qualcuno, che già non so se questa sta piacendo o no, se poi ne faccio un'altra che fa più pena non è molto carino ;-;
Quindi, se vi va, potreste dirmelo?
Fatelo per il sommo e saggio e santo Laughing Jack. Amen.
E niente, al prossimo capitolo e grazie in anticipo se qualche persona di buona volontà mi risponderà :')
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Puzzle| Laughing Jack
Fanfic"È stato così facile dimenticare chi ti è stato accanto quando accanto a te non c'era nessuno?"