брат ~Fratello~

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Un lampo squarciò il cielo e subito dopo la corrente saltò nell'appartamento di Aleksander, oscurando la partita che stava guardando in tv.

Si lasciò sfuggire un'imprecazione e aiutandosi con la torcia del telefono, si avvicinò al mobile, staccando tutte le spine dalle prese al muro.

Si rialzò da terra e il suo telefono iniziò a lampeggiare, indicando la batteria scarica.
"Fantastico" borbottò ironicamente, decidendo che sarebbe andato a letto.

Ma qualcuno, dietro la porta del suo appartamento, non era dello stesso avviso.
Pensò si trattasse di qualche anziano del pianerottolo, in panico per il temporale e la corrente saltata ma quando aprì la porta e un corpo zuppo d'acqua lo travolse, stringendosi a lui, tremante e non a causa del freddo, indurì la mascella e imprecò mentalmente.

Fece scivolare il telefono nella tasca della sua tuta, chiuse la porta dietro le spalle di Jovan e strinse l'amico a sé.

"Di nuovo?" sussurrò, sentendo il suo cuore battere a un ritmo dettato dalla paura.

Jovan annuì sulla spalla del suo migliore amico e a nessuno dei due importò dell'acqua che bagnava i vestiti di entrambi e del freddo che si andava a espandere sulla pelle come un velo.

"Non ce la facevo a rimanere lì" confessò Jovan, ancora tremante e fu un altro sussulto da parte sua a risvegliare Aleksandar.

Si staccò leggermente dall'amico, passandogli una mano tra i capelli biondi e bagnati.
"Spogliati, ti porto qualcosa per asciugarti" gli disse prima di azionare di nuovo la torcia del telefono ormai sul punto di spegnersi e andare in bagno per recuperare qualche asciugamano e in camera per dei vestiti puliti.

Jovan nel frattempo, si liberò degli indumenti bagnati, riponendoli con cura su una sedia, un altro lampo illuminò il soggiorno proprio quando Aleksandar ritornò.

Porse i vestiti all'amico e andò alla ricerca di una delle candele profumate, che sua mamma gli aveva regalato prima che partisse.

Jovan trattenne un sorriso nel vedere l'amico accendere la candela, sapendo quanto le odiasse. Ogni volta che ritornavano in Serbia, a casa di Aleksandar, l'odore di quelle candele li colpiva dritti al naso, creando forti mal di testa.

Ciò nonostante, Alek non le avrebbe mai buttate via e nelle giornate più difficili, nascondendosi da tutti, ne accendeva una per qualche minuto, giusto per gustarsi l'odore di casa e famiglia di cui a volte sentiva la mancanza.

Jovan, a differenza sua, aveva tutta la famiglia accanto. Dai genitori, agli zii più lontani, tutti testimoni degli orrori che capitavano tra le mura di casa sua.

Cinque minuti dopo, seduti sul tappeto, con l'odore di quella candela a coprire il profumo di Aleksandar impresso nei vestiti di entrambi, i due amici si ritrovavano a smezzarsi una canna, cullati dal dolce senso di rilassamento.

"Tua madre dov'è?" spezzò il silenzio Alek, fissando la fiamma della candela con lo sguardo spento e la testa altrove.

"Da mia zia, sono rimasto a casa solo con lui. Ma appena incrociava il mio sguardo, iniziava a insultarla. Non ce l'ho fatta più ad un certo punto" rispose Jovan, lasciando andare la testa contro il divano su cui erano poggiati di schiena.

"È tutto una merda, brat" sospirò prima di afferrare la canna che gli stava passando Aleksandar.

"Dovresti venire a stare qui"

"E chi si occuperebbe di mamma?" ribatté con macabra ironia, rivedendo il volto della persona che lo aveva messo al mondo, sentiva di doverle qualcosa.
"La famiglia è tutto per noi, così ci hanno educato" aggiunse, allungando una mano per spegnere la canna nel posacenere.

"Puoi davvero considerarla una famiglia, la tua?" sputò con acidità e forse più cattiveria di ciò che voleva trasmettere ma era sempre così quando Jovan stava male.

"Tu sei la mia famiglia ma non posso abbandonare mia madre, contro di lui"

Aleksandar annuì semplicemente, non aggiungendo nulla, si passò una mano tra i capelli biondi e sentì la testa di Jovan posarsi dolcemente contro la propria spalla.

"Vorrei essere come te e non avere paura di niente" affermò con ammirazione Jovan, pensando a quanto il suo migliore amico fosse coraggioso e forte, senza nessun timore.

Ma la verità era un'altra, perché qualcosa che spaventava a morte Aleksandar c'era ed era proprio lui..

Lui e i sentimenti che lo mandavano in confusione da qualche tempo, togliendogli il respiro e a volte la voglia di vivere.

Quando quel viso era diventato così bello, quando quel corpo così irresistibile e quando il bisogno di averlo accanto così morboso?

Aleksandar unì le mani tra loro, intrecciando le dita, stringendole con forza fino a sbiancare le nocche e impose al proprio viso di non voltarsi per osservare Jovan a pochi centimetri da lui.

Se lo avesse fatto, avrebbe sentito ogni cellula del suo corpo, incendiarsi di desiderio.

Stava pian piano impazzendo per le immagini che aveva di fronte, per quei pensieri, a tratti perversi, che andavano contro tutto ciò che gli avevano insegnato e tutto ciò in cui Jovan credeva.

Sentiva di essere in bilico tra perdere la persona più importante della sua vita e morire soffocato dai suoi stessi desideri.

Rilasciò un sospiro e poco dopo, sentì Jovan sbadigliare e proporre di andare a dormire, come spesso faceva dopo una brutta giornata con i suoi.

Aleksandar spense la candela e nel buio del suo appartamento, seguì i passi di Jovan, intravedendo solo la sagoma del suo corpo.

Un corpo alto quanto quello di Aleksandar, dai muscoli ben definiti, sprizzante di virilità, esattamente come quello del suo migliore amico.

Non c'era nulla in Jovan che potesse essere lontanamente femminile e questo pensiero tormentava ancora di più Alek, che da sempre amava le donne.

Eppure era bastata una sola notte con il proprio migliore amico, a condividere una donna, che quest'ultima per lui era divenuta ad un certo punto superflua e quasi fastidiosa quando aveva sentito la sua voce coprire i gemiti di Jovan.

Da allora, nessun corpo femminile era riuscito a soddisfarlo nel profondo, non più da quando rivedeva Jovan nudo nella sua mente.

Serrò la mascella, liberandosi dei vestiti così come l'altro, prima di infilarsi sotto le coperte, ognuno in un diverso lato.

Jovan, stanco e provato per la giornata, si addormentò quasi subito, cullato dalla pioggia che batteva ininterrottamente contro il vetro della finestra.

Aleksandar piegò un braccio sotto la testa e fissò il soffitto buio, talvolta schiarito da qualche lampo, imponendosi ancora di non voltarsi verso l'angelo dagli occhi azzurri che giaceva al suo fianco.

Ma alla fine cedette all'impulso che lo logorava, non dandogli pace. Si girò su un fianco e schiuse le labbra, ammirando il viso che conosceva da quando erano bambini, lo stesso viso che aveva considerato amico, fratello.

Perché ora era diverso?

Allungò l'indice, poggiandolo con delicatezza sulla pelle bianca della guancia, ne seguì i contorni fino al mento e su, alle labbra dischiuse, le accarezzò e risalì dalla punta del naso fino alla fronte, in sottofondo la pioggia e il suo cuore impazzito.

"Non odiarmi" gli sfuggì in un sussurro, affondando le dita nei capelli ancora umidi.

Jovan mugolò qualcosa nel sonno, muovendosi improvvisamente, finendo spalmato contro il migliore amico.

Aleksandar si ritrovò con il suo fiato caldo contro il collo e una coscia tra le sue gambe, che premeva fastidiosamente e deliziosamente contro il suo sesso già provato.

Imprecò per la millesima volta quella sera e rilasciò un sospiro, abbassando lo sguardo al suo migliore amico, profondamente addormentato e ignaro di tutto.
"Dolcezza, così non mi aiuti affatto" sussurrò senza poter essere sentito e aggiunse un'altra imprecazione in serbo, sperando che il sole sorgesse al più presto.

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