Animale In Gabbia

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Le giornate di sole d'inverno erano la cosa che Jovan amava più al mondo, dopo la čorba, tipica minestra di carne serba, Aleksandar e sua madre.

Gli ricordavano la fredda Serbia, le giornate di primavera trascorse col suo migliore amico davanti a un fiume a lanciare pietre, in gare di lancio, che duravano ore.

Quel ricordo lo fece sorridere, mentre si avvicinava a casa di Aleksandar, calciando un sassolino e con le mani nelle tasche dei jeans, per scusarsi di come lo aveva trattato la sera prima.

Di solito, tra loro due non c'erano mai scuse o offese, volavano sempre parole aspre, a volte litigi brutti, fino a prendersi a pugni ma mai nessuno feriva l'altro e vedere per la prima volta gli occhi verdi di Aleksandar tingersi di un sentimento che somigliava molto alla delusione, aveva destabilizzato Jovan, facendolo sentire uno stronzo.

Sospirò, creando una nuvola di vapore nel cielo limpido e pensò a cosa dire e come scusarsi nel giusto modo, sperando che l'altro lo perdonasse subito senza altri drammi.

Giunse finalmente davanti al palazzo dove viveva Alek e si inumidì le labbra, bloccandosi dall'attraversare la strada. Vide il portone del palazzo aprirsi e una bionda uscire dall'interno, poi un'altra bionda e una terza ragazza dallo stesso colore di capelli.
Infine, come più che prevedibile, Aleksandar, vestito a metà, che le aveva cortesemente accompagnate fino al portone.

Salutò le tre con il solito sorriso per cui tutte sospiravano e fu un continuo starnazzare finché non si allontanarono sul marciapiede.

Gli occhi verdi di Alek vennero catturati come calamite dal metallo blu di cui erano fatte le iridi di Jovan e la sua espressione divenne seria, frustrata e affatto allegra.
Aspettò che attraversasse la strada, non distogliendo lo sguardo dalla figura alta e possente ed ebbe la dolorosa conferma che una notte di follia con tre donne dai suoi stessi lati somatici, non era servita a nulla se non a soddisfare qualche sua voglia.

"Ti sei divertito" ammiccò Jovan con un cenno del capo, salendo i pochi gradini che conducevano al portone.

"Non mi andava di pensare" fu la semplice risposta, fredda, che gli concesse prima di togliersi dalla porta e rientrare, seguito dal migliore amico.

Salirono in silenzio le rampe di scale, cullati solo dai rumori dei loro passi, quelli trascinati di Jovan e quelli quasi muti di Alek, rimasto a piedi nudi.

Una volta dentro all'appartamento, nessuno seppe cosa dire, Aleksandar pensò a liberare il salotto dalle birre e dalla vodka che avevano fatto da cornice la sera prima e Jovan si spogliò del giaccone, nonostante quasi tutte le finestre fossero aperte.

"Sei ancora incazzato con me?" chiese l'ospite, inclinando il viso di lato, osservando i suoi movimenti, dettati da semplice abitudine.

Aleksandar scosse la testa senza neanche guardarlo e solo quel gesto bastò a innervosire Jovan, che annullò la distanza tra loro con un passo e lo afferrò per un polso, obbligandolo a fissarlo dritto negli occhi.
"Dici di no, ma neanche mi guardi in faccia!" sbraitò, stringendo le dita attorno alla pelle fredda di Aleksandar. Aveva solo dei pantaloni della tuta addosso, nulla di più, l'aria fredda lo colpiva in ogni dove e a lui piaceva così, sentire il freddo addosso.

Anche se trovava molto piacevole il calore che la mano di Jovan disperdeva.
"Mi dispiace per ieri, sono stato uno stronzo ma non puoi avercela con me per sempre! Che cazzo faccio senza di te?"

Aleksandar strattonò via il proprio polso, tornando a fare ciò di cui si stava occupando minuti prima, ignorando in un primo momento la presenza dell'altro.
"Sono incazzato. Non puoi concedermi il mio tempo e basta?"

"No! Quale tempo? Devi fare pace con me subito!" esclamò Jovan, allargando le braccia richiamando gli occhi verdi di Alek su di sé.

Si fissarono per interi attimi per poi scoppiare a ridere per il tono e le parole che aveva usato Jovan.

"Che femminuccia!" lo prese in giro il padrone di casa, ottenendo un dito medio ben alzato.

"A proposito di femmine!" si ricordò l'altro, accantonando del tutto la 'questione litigio' ormai ben risolta. Raggiunse Aleksandar dietro il bancone della cucina e tirò fuori il telefono dalla tasca dei jeans, armeggiando un po' prima di trovare la foto che stava cercando.
"Guarda! È nata ieri!" esclamò, facendo voltare Alek dietro di sé, il quale sbirciò oltre la sua spalla e sul suo telefono, vedendo la foto di una neonata.

"Era ora! Tua cugina sarà contenta! Come l'hanno chiamata?" sorrise partecipe della felicità di Jovan, divenuto zio di quella dolce bimba nata la sera prima in Serbia.

"Natalya!" esclamò entusiasta iniziando a raccontare nei dettagli l'accaduto ma gli occhi di Aleksandar erano scivolati sul collo candido a pochi centimetri dal suo viso, intriso del profumo del suo migliore amico.
Allungò un braccio andando ad afferrare una mensola oltre di loro, stringendola tra le dita per darsi un po' di contengo ma mentre Jovan continuava a parlare, lui veniva attratto sempre più dal suo corpo caldo, sognando di affondare labbra e denti nel collo e strappargli via i vestiti per ribaltare l'intera casa.

Si leccò le labbra, aumentando la presa delle dita attorno alla superficie di legno, il basso ventre in fiamme e la voglia alle stelle.
Jovan si voltò al termine del suo monologo per sorridergli a trentadue denti, con gli occhi blu che brillavano intensamente e Aleksandar ebbe un tremito che percorse il corpo e il braccio teso, fino alla punta delle dita su cui inconsciamente mise tutta la propria forza, strattonando via la mensola che inevitabilmente cadde, portando con sé ogni piatto o bicchiere presente sopra.

"Cazzo! Brat, stai bene?" gli domandò Jovan, dopo aver sobbalzato dallo spavento.

Aleksandar, quasi in shock, osservò il disastro che aveva combinato e capì che per frenare la voglia di Jovan, sarebbe finito col spaccare ogni cosa davanti al suo cammino.



**



Silver e Bryant si stavano scambiando un dolce bacio quando la porta del locale si spalancò, un ragazzo di quasi due metri, biondo, bello e serbo, che non si faceva vedere da un bel po' di tempo, giunse da loro con un'espressione decisa.

"Devo parlarvi!" esclamò, con gli occhi fuori dalle orbite, facendo la figura del pazzo psicopatico.

I due proprietari si lanciarono un'occhiata d'intesa, dopodiché Bryant lo invitò a seguirlo nel proprio ufficio dove Jake e Oscar stavano amoreggiando ad un passo dal togliersi i pantaloni.

Ah bene, qui scopano allegramente tutti tranne me! Pensò ironicamente Aleksandar mentre quello che ricordava si chiamasse Bryant sgridava i due, visibilmente scocciati di essere stati interrotti sul più bello.

Invitato dal barista, che scoprì si chiamasse Silver, prese posto nella sedia davanti alla scrivania mentre gli altri quattro lo guardavano incuriositi.

D'un tratto, il giovane serbo sbatté entrambi i palmi delle mani sul tavolo di legno ed esclamò.
"Sono innamorato del mio migliore amico!"

E fu una liberazione confessarlo per la prima volta a qualcuno. Silver avrebbe voluto salire sulla scrivania e improvvisare un ballo della vittoria da rinfacciare ad Oscar ma si diede un contegno e ascoltò cos'altro aveva da dire il ragazzo.

"Voi dovete aiutarmi, spiegarmi come posso togliermelo dalla testa perché non penso ad altro se non a come mettergli le mani addosso. Stamattina ho rotto una mensola solo perché gli volevo saltare alla gola come un animale! Insomma mi fa letteralmente scoppiare il cazzo nei pantaloni!" sbottò d'un fiato, non lasciando nulla ma proprio nulla all'immaginazione.

"Mi sta simpatico" mormorò Jake, ridacchiando mentre riceveva una gomitata dal proprio ragazzo.

"Perché ha la tua stessa boccaccia" osservò Oscar, infastidito del fatto che Silver ci avesse visto giusto.

Sia Bryant che Silver aprirono bocca per dire qualcosa di logico e sensato, venendo però fermati dalla boccaccia di Jake.
"C'è un unico modo amico, scopatelo!"

Silver's CoffeeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora