Capitolo 1

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Ore 7.00
Il trillo della sveglia del cellulare posto sul comodino alla sua sinistra, invase la camera fino a quel momento
buia, silenziosa e pacifica, con i suoni acuti e famosi di campane e campanelli, che dal 1973 segnano
l'inconfondibile inizio di Time dei Pink Floyd. Jan si sveglio di soprassalto e, dopo un paio di tentativi andati
a vuoto, riuscì a premere il tasto di spegnimento. Erano le sette del mattino, di una domenica di giugno,
un'anonima domenica di giugno. Jan, al secolo Giovanni, si alzò stirandosi e stropicciandosi gli occhi, che
suo padre definiva bruni come le foglie del faggio in autunno.
" Mio padre " pensò, " che amava il bosco più di ogni altra cosa, e non mi ci poteva portare mai... " scacciò subito quel
pensiero dalla testa e andò in cucina a prepararsi un caffè. Attribuì un colpo di mano ai suoi folti capelli
bruni e scostò la tenda wow, giornata splendida disse a se stesso notando il cielo terso. La sua casetta, presa in
affitto l'anno precedente, dava sulla strada principale che attraversa il paese di Colleborghino Vistalago. Un
solo piano, era costituita da quattro stanze, ma a lui ne sarebbe bastata soltanto una: la stanza del PC.
Appassionato d'informatica, aveva seguito un sacco di corsi del genere e da cinque anni lavorava per la più
grande azienda del settore, nella vicina città di Firenze. Patito per i videogiochi, giochi di ruolo e quant'altro,
proprio per questo da un pezzo si era dato uno pseudonimo, in fondo lo facevano tutto l’utente online.
La moka che era sul gas iniziò a borbottare, gli sbuffi di vapore segnalavano l'imminente salita del caffè. Jan
lo versò nella tazza raffigurante Jimi Hendrix dai capelli crespi intento a suonare la sua Fender, quindi si
diresse al suo computer: schermo LCD da venti pollici con scheda video da un giga dedicato, case All Black,
processore che lui stesso chiamava Superman, poiché era più veloce della luce. Sedici giga di ram,
alimentatore da seicento watt e hard disk da un terabyte.
Jan accese la sua belva, inserì la password e lo schermo gli mostrò l'immagine di un bosco, su cui sostava
un numero cospicuo d’icone. La tazza posata vicino al mouse cercava attenzione inviando nell'aria l'aroma
fumante e intenso del liquido scuro in essa contenuto, ma le dita frementi dell'uomo, al momento, erano
concentrate sui tasti consumati della tastiera. Fuori si cominciavano a udire le prime voci del mattino, una
donna che richiamava il suo cane, un bambino che piangeva in una casa vicina, un’auto di passaggio. Tra
un sorso e l'altro, Jan terminò finalmente di conversare con il suo PC, fuori la campana della chiesetta
suonava le sette e mezzo, " devo sbrigarmi " disse fra sé accigliandosi, " i funghi mi aspettano. "
Il trentacinquenne si vestì di tutto punto per un'uscita nel bosco. Paniere alla mano e bracciale portafortuna
con l’effige dei Dream Theater. Mise poi la tazza nel lavandino (avrebbe lavato le stoviglie la sera, come
sempre) e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
'' Buongiorno Giovanni, che ci fai alzato così presto? '' gli disse la donna sulla sessantina che abitava
sull'altro lato della strada, con un sorriso a trentadue denti e occhi pieni di curiosità femminile.
'' Buondì, vado a cercare funghi, signora Leda, se ne dovessi trovare tanti, non scorderò di fargliene avere
un po'. ''
'' Ah, mi farebbe molto piacere. Sai, mio marito ha smesso di andarli a cercare da quando quella vipera non
l'ha quasi mandato all'altro mondo... " fece lei, tirando a sé il carlino dal muso schiacciato e pieno di rughe
che teneva al guinzaglio.
'' Menomale che avevano il siero, signora. '' Jan si voltò per proseguire ma lei non lo lasciò andare.
'' Ah Giovanni, scusa se insisto... ma è un anno che abiti qui, beh... lo sai, io sono una che si fa i fatti
propri... ma ti volevo chiedere, cioè... perché non... un uomo bello e colto come te, nel fiore della maturità...
non hai una fidanzata? '' il sorriso continuava ad imperversare sulla sua faccia.
Signora, io... beh, non so. '' farfugliò lui con timidezza.
'' No, perché sai, ci sarebbe in paese quella bella ragazza... Stella si chiama. Insomma, a me sembra che gli
piaci, poi siete coetanei... ''
Jan non la fece nemmeno terminare, si voltò salutandola frettolosamente e senza alcun garbo e si diresse
verso il bosco.
'' Che tipo. '' borbottò la signora Leda, smettendo di sorridere e tirando il cane dal passo dondolante e la
stazza di un pugile, nel giardino. Dopodiché, aprendo la porta di casa, si girò di nuovo a guardarlo
camminare curvo e solitario.
'' E poi chissà perché si fa chiamare Jan... '' il piccolo carlino ebbe il tempo di grugnire un paio di volte,
forse all'uomo che se ne stava andando, forse solo per protesta contro la padrona.
Erano le sette e quaranta quando Jan imboccò la via del bosco.

Il paese fantasma Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora