Capitolo 5

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Ore 10.05
Angelo aveva aperto il suo bar alle sette di quel mattino, come faceva ogni giorno, ad eccezione del lunedì.
La sua clientela era costituita da persone di passaggio, anziani che chiacchieravano del tempo, dello sport o
di politica e due o tre giovani del paese che lasciavano i loro risparmi alla macchinetta del videopoker.
Erano appena passate le dieci del mattino e finora non si era visto quasi nessuno. Angelo se ne stava appollaiato sulla soglia, con la sua brava e antica sedia di vimini, ad osservare i passanti.
'' Barman, vieni dentro, c'è bisogno di te. '' disse uno dei due anziani che giocavano a carte ad un tavolo
della saletta interna. Angelo si alzò di malavoglia, la sua pancia prominente fece un movimento sussultorio
sotto il grembiule bianco, sporco di fondi di caffè e chissà cos'altro. Entrò nel bar, passò davanti al
bancone e ad un ragazzotto che si divertiva alla macchinetta mangiasoldi, cercando di segnare un tris, un
full o, perché no, una scala reale.
'' Continua bimbo, che alla fine la fortuna gira... '' gli disse dandogli una pacca sulla spalla.
'' Smettila barman e portami una coca, che ho sete... '' gli rispose malamente il ragazzo, cambiando tre carte
sullo sfondo colorato del videopoker.
'' Sai dov'è, prenditela da solo! '' disse Angelo arrivando dagli altri due unici avventori del mattino.
'' Maledetta te! '' gridò il bimbo grassottello all'avvenente signora del gioco, che gli aveva passato tre carte
inutili.
'' Uffa… che cosa c'è? '' disse annoiato il barista, pulendosi le mani al grembiule. Era un gesto che ripeteva
spesso, una specie di tic.
'' Qui abbiamo una seria disputa e tu ci devi far da giudice. '' attaccò Sirio, un tipo smilzo, pelato e con la
barba mal rasata.
'' E chi sono io per giudicare? ''
'' Il più grande giocatore di briscola e scopa di Colleborghino. '' fece l'altro, che rispondeva al nome di
Valeriano e portava un paio di occhiali spessi come fondi di bottiglia sul naso aquilino.
'' Beh, diciamo pure che ho avuto le mie soddisfazioni... '' Angelo si sistemò il bavero con il classico
movimento di chi si sente orgoglioso.
'' Senti qui, '' spiegò il pelato, '' siamo all'ultima mano della scopa, una carta ciascuno... ''
'' Certo, sì, l'ultima carta da giocare. '' disse Angelo per dimostrare che aveva capito.
'' Ok, sul tavolo c'è un cinque di picche, tocca a questo truffatore... '' indicò Valeriano, che gli rispose
prontamente.
'' Bada a come parli! ''
'' Calma, calma. Su, va' avanti Sirio. '' disse Angelo accomodante.
'' Dicevo, sta a lui giocare, tira un bel due di quadri ed io, paaam! Gli sbatto lì un bel sette, con cui faccio
primiera e scopa. Arrivo a undici punti e vinco la partita! '' smilzo pelato, terminò finalmente di spiegare la
situazione e si aggiustò trionfante sulla sedia.
'' No, no e poi no, bello mio! La primiera te la concedo, ma il punto della scopa scordatelo. Non è valida la
scopa fatta nell'ultima giocata. Hai solo dieci punti, io ne ho nove e la partita continua! '' disse risoluto
Valeriano. Il primo allora si alzò di scatto un po' malfermo sulle gambe e con il pugno chiuso minacciò il
naso aquilino dell'amico nemico.
'' Fermi, oh! Fermi. '' Angelo fece rimettere a sedere lo smilzo attaccabrighe e, a pace ristabilita, parlò con
fare autorevole.
'' Ora vi svelerò chi ha ragione. Secondo il manuale internazionale di gioco della scopa, cito espressamente
il paragrafo sedici, comma numero due. La regola in vigore per quanto riguarda l'ultima carta... ''
'' Ehi barman, è entrato un cliente... '' gridò il ragazzotto ancora impegnato nel poker contro la ragazza del
video.
'' Arrivooo... '' urlò il barista di rimando.
'' Dicevo, la scopa fatta con l'ultima carta... cari miei... non è valida! ''
'' Porca boia! '' fu il disperato commento di smilzo pelato.
'' Ah, ah! La partita non è ancora finita! Dammi il mazzo che lo mescolo, ah ah! Razza di furfante... ''
dichiarò trionfante Valeriano. E mentre i due si rimettevano a giocare, Angelo raggiunse il nuovo cliente
appena entrato.
'' Buona domenica, come posso servirla? '' disse andando dietro al bancone.
'' Cornetto e cappuccino, grazie. '' chiese il tipo molto educatamente.
'' Ecco la sua pasta, fresca fresca di mattinata, così fresca che è calda! '' usava spesso questa battuta, che non
faceva ridere nessuno. Il cliente iniziò a mangiarla mentre si dirigeva ad un tavolino, su cui era aperta
un'accattivante Gazzetta tutta da sfogliare.
'' Settebello a me! '' gridò Valeriano dall'altra stanza. Il cliente leggeva la rosea con molto interesse e gustava
il cornetto. L'adolescente rischiava di cambiare una sola carta per ottenere un'improbabile scala.
Accadde tutto molto in fretta.
Angelo stava sapientemente versando la schiuma di latte nella tazza, già impreziosita di caffè, non si
accorse che il nemico gli arrivava alle spalle più silenzioso di una piuma che cade sull'erba, più affamato di
un leone che avvista la sua preda dopo mesi di carestia, più nero del carbone che un bimbo riceve come
regalo per essere stato cattivo, più efficiente di uno squalo nella sua rapida e perfetta manovra omicida.
'' Accidenti a te! '' sbraitava il ragazzotto quando perse per l'ennesima volta contro Miss Poker.
'' Scopa! Questa è valida. '' urlava Sirio a tutto volume.
'' Mm, bella vittoria. Come lui non c'è nessuno... '' pensava estasiato il cliente leggendo l'articolo a pagina
tredici, corredato da una foto in primo piano.
Il nostro talentuoso barista, discreto giocatore di carte e amante della buona cucina, non accusò alcun
dolore, né paura. L'ombra avanzò non vista e lo inglobò nel suo mondo sconosciuto e orrendo. Il suo
ultimo pensiero lo dedicò al cacao amaro con cui adornava da sempre la schiuma del cappuccino e che
adesso, in quella tazza bianca destinata a soddisfare il palato di uno sconosciuto, aveva spolverato in modo
tale da formare volutamente la lettera A... A come Angelo, A come Amalia, la moglie morta da un anno. Il
cliente si girò, tornò al bancone, prese la tazza.
'' A... '' disse piano, riflettendo su cosa volesse significare. Bevve il cappuccino. Era buono.
'' Ehi... '' provò a chiamare, ma il barista era scomparso, '' sarà al bagno '' pensò. Lasciò due monete sul
bancone e uscì.
Gli anziani continuavano a giocare, una carta dietro l'altra, uno sberleffo dietro l'altro. Il ragazzo si ruppe le
scatole, dette un pugno alla splendida e spietata Miss Poker e mise fine alla sua partita solitaria. Si avviò
verso l'uscita, notò l'assenza del barman, dette un'occhiata agli anziani giocatori che avevano occhi solo per
donne, fanti e re; si tirò su i pantaloni, rubò un paio di pacchetti di patatine e, già che c'era, anche i soldi del
cliente. Dopodiché se ne andò soddisfatto.
Tre minuti dopo, Sirio credette di avere un infarto nell'attimo in cui, alzando lo sguardo, vide il mostro
ergersi come un gigante nero alle spalle di Valeriano che, alzando lo sguardo a sua volta, notò la stessa
impressionante presenza alle spalle di Sirio. Entrambi scomparvero un secondo dopo aver pensato che un
asso di picche, immenso e fatto di tenebra, fosse salito dall'inferno per compiere giustizia.
L'atmosfera era tranquilla. Jan e Vincenzo camminavano assieme per i freschi sentieri del bosco. Il paniere
che Jan teneva orgogliosamente stretto nella mano destra, conteneva galletti, pinaroli e due porcini; bottino
buono, cui avevano contribuito entrambi, con un mix di occhio clinico ed esperienza.
'' Puoi tenerli tutti tu, Jan. La mia mamma, tanto, non li sa cucinare... eh eh. '' disse Vincenzo in un
momento in cui si erano fermati a riposare.
'' Ma no, dai. Vince, voglio che ne prendi la metà. Da buoni amici, si divide tutto. '' insistette Jan sedendosi
su un grande sasso. Vincenzo lo imitò sedendosi accanto a lui. Ci fu una pausa in cui Jan scrutava il cielo e
l'amico giocherellava con le formiche.
'' E' stato tuo padre a trasmetterti la passione per il bosco? '' riprese Vincenzo, guardandolo con affettuoso
interesse.
" Sì, è merito suo. Spesso me ne parlava, però... '' i suoi occhi si spostarono sul paniere colmo, posato per
terra.
'' Però? ''
'' Non mi ci poteva portare, era troppo impegnato con il lavoro, spesso anche nel week end. ''
'' E dove lavorava? '' Jan alzò lo sguardo, un cartello inchiodato al tronco di un faggio recava la scritta
Divieto di caccia.
'' Da Tommaso, giù nell'azienda di legna. '' disse con un sospiro.
" Eh eh, forte... ma dove abitavate? Scusa se ti faccio domanda invadente, eh... '' Vincenzo arrossì un
pochino.
'' No, non preoccuparti. Abitavamo a Volterra, distante abbastanza da non permettergli di tornare qui solo
per me. Poi dovevo frequentare la scuola... '' il suo sguardo incontrò un ciglio, dove le nude radici dei faggi
sprofondavano nel suolo come dita grigie di legno e linfa.
'' Ah già, la scuola è importante, eh. '' Vincenzo sorrise controvoglia.
'' E poi, mia madre... '' il luccichìo di una lacrima durò un attimo ma Vincenzo lo colse perfettamente.
'' Morì quando avevo tre anni. Mio padre lavorava duro per mantenermi, quassù non c'erano scuole…
paese sperduto. Di certo non potevamo abitare qui... mi hanno cresciuto i nonni materni. '' uno scricciolo si
posò sul sasso di fianco a loro, prese qualcosa nel becco e subito lo lasciò andare, dopodiché volo via
indisturbato.
'' E' morto quassù, mentre lavorava, un albero l’ha travolto. Avevo quindici anni... ''
'' Mi... mi... dispiace, tanto. Eh. '' Vincenzo trovò almeno la forza di pronunciare queste parole, dopodiché
si chiuse in un imbarazzato silenzio. Jan rimase pensieroso per un po'.
'' Vince, vuoi bere? '' gli chiese poi, tirando fuori una bottiglia d'acqua dallo zaino.
'' Sì... posso? ''
'' Te l'ho chiesto io, no? '' Jan sorrise, era un po' che non lo faceva.
'' Beh, allora, grazie grazie, amico, eh eh... ''
'' Di niente. Oh, lasciamene un po'. '' concluse Jan sempre più sorridente.
'' Sei il mio amico amicissimo, eh. '' disse Vincenzo dopo avergli passato la bottiglia mezza vuota e
terminato la sua bevuta con un rutto sonoro.
Erano quasi le undici quando i nostri solitari fungaioli, che stranamente non avevano ancora incontrato
nessuno (la bella giornata invitava di più a dirigersi al lago) ripresero a camminare. Vincenzo aveva trovato
un ramo di carpino spezzato e lo stava usando come bastone, non che gli servisse a molto, più che altro lo
aveva preso per imitare Jan.
Scorci del paese s’intravedevano ogniqualvolta la vegetazione era meno fitta. I due non immaginavano che
strani nemici, definiti ombre, mostri neri e perfino Barbapapà, stessero mietendo parecchie vittime laggiù.
'' Se ti confido un segreto, eh eh, prometti di non rivelarlo a nessuno? " disse ad un tratto Vincenzo, come se ci avesse a lungo pensato prima di aprire bocca.
'' Beh, senz'altro, fidati. '' rispose Jan soffermandosi.
'' Sai, in virtù della nostra amicizia... ''
'' Stai tranquillo, spara. ''
'' Bene. Io sono inna... cioè, a me mi... eh eh, voglio dire che a me piace lei... '' stava sudando freddo.
'' Chi è la fortunata? ''
'' E'... cioè, sarebbe... eh eh... Stella. '' soffiò come se si fosse tolto un peso dallo stomaco.
'' Chi, la nipote di Tommaso? Dai... ''
'' E' così bella, eh eh, simpatica e bella! ''
'' Mah, se lo dici tu... io la trovo carina, ma non è il mio tipo. Mio padre ogni tanto mi parlava di una
bambina che veniva a trovare lo zio, in azienda; ma io la conosco solo da quando mi sono trasferito a
Colleborghino. '' disse Jan riprendendo a camminare.
'' Siete amici? '' volle sapere Vincenzo, che aveva ripreso a seguirlo.
'' Diciamo conoscenti, non ci scambiamo una parola... ''
'' Ah... nemmeno io le parlo, eh eh, ma la saluto sempre se la incontro... a volte al bar di Angelo, o in
chiesa... e lei mi risaluta, eh eh eh! '' disse orgoglioso.
'' Allora prova ad invitarla, magari giù al lago, o in città... ''
'' Sono timidoooo, eh eh... e non possiedo la macchina, brum brum... '' disse Vincenzo un po' imbronciato.
'' Amico mio, fatti avanti e dichiarati, a volte è la cosa migliore. '' Jan terminò il discorso e, per incoraggiarlo,
gli dette due o tre pacche sulla spalla, poi allungò il passo. Vincenzo lo seguì, pensando, prima di tutto, che
si era fatto un amico; quindi a cosa avrebbe detto alla sua innamorata la prossima volta che si fossero per
caso incontrati. Il giallo oro dei capelli di Stella e il suo odore di ragazza, appena percepito quella volta che,
in chiesa, si erano seduti abbastanza vicini da permettergli di gustarne la fragranza, sostituirono, ai suoi
sensi, i colori e i profumi del bosco.
Laggiù, poco distante, la gente moriva.
Stella aveva lasciato l'azienda dello zio e si stava dirigendo verso casa, con il fedele Paperino che teneva il
passo e zampettava gaio come un ballerino in gran forma. Il sole aveva iniziato a scaldare l'aria e il cielo era
una tela blu cobalto, su cui nessun pittore aveva ancora avuto l'ispirazione per dipingere una nuvola.
Ma l'allegria per una giornata di festa, cominciata con una salubre corsetta, corredata da una salutare uscita
per il suo cane e da una visita a quel tipo brutale ma simpatico di suo zio, era guastata da un pensiero che le
stava girando per la testa. Riguardava proprio l'azienda di Tommaso e in particolar modo il
comportamento di quell'operaio che, a detta dello zio, non ne voleva sapere di continuare la sua fatica
domenicale e si era dato alla fuga dalla finestra del bagno.
Qualcosa non tornava. Eppure, a pensarci bene, ci poteva anche stare. Ma c'era comunque qualcosa che le
sfuggiva e non riusciva a capire cosa.
La sua abitazione distava cinquecento metri buoni; Stella incontrò ora le prime case, salutò un ometto
seduto davanti alla porta d'ingresso e quello le rispose alzando semplicemente la mano, come fosse
telecomandato, mentre il resto del corpo rimase immobile: cappello storto sul capo, occhiali da sole,
maglietta e bermuda, sandali d'epoca e bastone col manico ricurvo appoggiato al muro come un fedele
compagno di viaggio.
La mente fervida della nostra parrucchiera intanto rimuginava. Un falco sorvolò il cielo sopra Colleborghino con la sua proverbiale eleganza, mentre un gallo cantava in qualche vicino pollaio,
fregandosene se l'alba era passata da un pezzo. Alla sua sinistra si stagliava l'insegna scolorita del bar
Angelo, cui di notte si sostituiva quella al neon, posta in verticale, cui mancavano, però, le prime due lettere
(vecchie lampadine fulminate ormai da qualche tempo) e diventava quindi bar Gelo, che d'inverno non ci
stonava. Lei dette una sbirciatina all'interno, così per salutare, ma non vide nessuno " come mai non c'è nessuno?
'' pensò.
La sua testa, intanto, cercava di tornare dallo zio e dallo zio al bagno e dal bagno a... '' cosa c'è che non mi torna?
'' Paperino si soffermò per fare i suoi bisogni, attardandosi più del dovuto a scalciare la terra per coprire le
sue deiezioni.
'' Uh, ma che canino ordinato che sei... '' disse la sua padroncina, forse ignara che i cani lo fanno per un
altro motivo. Ora alla sua destra c'era la dimora di Jan '' sarà in casa? '' cercò di sbirciare con la coda
dell'occhio, senza farsi notare, " di rallentare non se ne parla '' disse fra sé. Paperino abbaiò all'indirizzo di una
finestra.
'' Smettila scemo, non mi va di farmi vedere! '' gli disse allacciandogli il guinzaglio e tirandolo via di forza,
ma il cane continuò comunque ad abbaiare e a voltarsi per un bel po', fino a che la strada, girando
leggermente a destra, non gli permise più di vederla.
'' Lo sai che conciata così, sono ancora più brutta, dico! Con la tuta, tutta sudata e per di più di mattina...
dico, ma ti rendi conto della figura, se mi avesse visto? Brutta ciribulla! Allora sì che avrebbe avuto tutti i
motivi per non invitarmi fuori... dico! '' il cagnolino la guardò dal basso verso l'alto, con un effimero senso
di colpa che lo rese triste e imbronciato.
'' Dai su, fa niente, ti perdono! Sei così tenero... '' e gli scoccò un grosso bacio sulla testa pelosa.
Passarono poi davanti alla lavanderia, alla chiesa, alla casa stregata, come tutti solevano definirla, perché era
disabitata da molto tempo e sarebbe potuto essere infestata dagli spiriti. L'intonaco cadeva a pezzi come
croste di pelle in decomposizione, le finestre sembravano occhi neri, fissi e privi di espressione, che
riuscivano a vederti nel fondo dell'anima e, dulcis in fundo, il cartello arancione con la scritta vendesi era lì
da una vita ma '' nessuno vuole comprarla, chissà perché? Evidentemente là dentro abita un fantasma e la gente si tiene alla
larga, tutto qua... ''
La risposta le venne in mente appena ebbe scacciato l'idea del fantasma, come quando si tenta di ricordare
una cosa e più ci sforziamo più questa ci sfugge; allora deviamo il pensiero ad altre situazioni, ci distraiamo
un po' e... tac, la cosa che volevamo ricordare ci viene servita su un piatto d'argento.
'' Il vasto monte di trucioli dietro al bagno... sotto, dico sotto la finestra del bagno. " la mente di Stella
andava a tremila, mentre continuava a camminare allontanandosi con sollievo dalla casa stregata che,
secondo alcuni, metteva i brividi anche di giorno.
'' Cioè, mio zio ha detto che l'operaio è saltato fuori dalla finestra... ma sotto, quando con Paperino ho
gironzolato per la ditta, dico... sotto c'era un cumulo di trucioli che non si poteva evitare, tanto era esteso,
cioè... uno salta dalla finestra, da due metri di altezza, e proprio lì sotto... grande, largo. Inevitabile! Brutta
ciribulla! '' detto ciò ad alta voce, si era fermata a pensare e Paperino la guardava incuriosito.
'' Paperino, l'hai visto anche tu, lo volevi scalare. Quel cumulo era intatto, dico! Non c'erano impronte, né
alcun segno che... qualcuno ci fosse caduto sopra! Eh, non ti sembra strano? '' il cucciolo abbaiò come per
confermare la tesi della padroncina.
'' Mah, forse zio Tommaso è un po' rintontito, secondo me lavora troppo, dico. Può essere andata anche
diversamente. " disse rimettendosi in cammino. Fu dopo trentadue metri, mentre il pensiero del mucchio di trucioli si stava allentando, che Stella e Paperino passarono davanti alla casa di Gervasio. Il muretto, la
recinzione e la siepe alta di fotinia verde e rossa, evitarono alla nostra fragile parrucchiera, la vista del
cadavere di Micky che, riverso, ospitava nella schiena una freccia di balestra. La firma che un padre aveva
erroneamente apposto sul corpo della vittima, appariva come il punto esclamativo con cui un assassino
aveva imposto la sua volontà. Paperino abbaiò all'indirizzo della siepe, dopodiché si allontanarono
entrambi.
Fatti ancora pochi metri, Stella varcò finalmente la soglia di casa sua '' e ora una bella doccia prima di andare a
messa '' pensò. Cominciò a svestirsi, gettò la tuta sul letto, il reggiseno sportivo sul pavimento e gli slip nel
cesto dei panni sporchi, mentre il cane, assetato, andava a bere l'acqua rimasta nella ciotola. Un delicato
profumo di lavanda la accolse quando entrò in bagno; lo specchio rettangolare con la cornice rosa chiaro,
in tinta con le piastrelle, rifletté il suo corpo nudo, leggermente abbronzato. Stella non vi si guardò, ma
prese l'accappatoio blu, personalizzato con una S bianca sul davanti, all'altezza del cuore, lo posò vicino al
box doccia, si tolse le ciabatte, calpestò in punta di piedi il soffice tappetino color indaco ed entrò in quel
parallelepipedo di plastica, con il morbido pensiero di gustarsi il tiepido abbraccio dell'acqua. Chiuse la
doppia porta della doccia e...
Il violento abbaiare di Paperino la fece sussultare, facendole sbattere una mano contro il rubinetto
miscelatore.
'' Che doloreeee. Brutta ciribulla! '' disse infilando le dita nell'incavo dell'ascella e sbuffando non poco. Il
cane continuava ad abbaiare, sempre più forte e deciso.
'' Ma che hai Paperino, dico, ti è partito un embolo? '' abbaiava ancora e ancora, sembrava impazzito.
'' Ma che cavolo urli. Smettilaaaaaaa! '' in quell'istante però, il rantolo del suo cane le apparve come la voce
di un amico che tentava disperatamente di salvarla. Presa dal panico aprì la porta del box. Davanti a lei, a
distanza di braccio, vide il mostro più nero che mai la fantasia le avesse dato modo di immaginare, la sua
mente percorse chilometri di pensieri in un tempo calcolabile attorno al decimo di secondo, finché non si
ritrovò nel bagno dell'azienda di zio Tommaso, con quell'unica via di fuga che era la finestra, mentre adesso,
ahimè, era chiusa nella tana di plastica di una doccia, che sarebbe diventata la sua " tomba? "
Tornò in sé. La mano, che le faceva ancora male, afferrò il microfono della doccia e lo puntò verso il
nemico, l'altra mano aprì il rubinetto e gli occhi si chiudevano per non guardare il fatale errore che avrebbe
sicuramente commesso.
Il getto d'acqua uscì rapido dai trentasei forellini del microfono e investì quel dannato bastardo nel
momento stesso in cui si accingeva ad attaccarla. Paperino continuava ad abbaiare come un forsennato.
Stella percepiva il tempo passare, cinque secondi, sei, dieci. Il braccio sempre teso verso il nemico e l'acqua
che continuava a fuoriuscire dal microfono " sono ancora viva? '' pensò.
Allora cominciò lentamente ad aprire gli occhi, con il timore di vedere quel mostro... con il terrore di
vederselo lì davanti, ancora... magari più incazzato che mai. Aprì gli occhi, completamente, occhi impauriti
e verdi, verdi come quelli di suo padre. L'acqua continuava a sgorgare alla massima potenza, ma ora creava
un arcobaleno di gocce trasparenti che trapassava l'aria profumata di lavanda e si gettava sul pavimento di
piastrelle rosa, formando un lago in espansione. Paperino era mezzo bagnato, aveva smesso di abbaiare,
scodinzolava lentamente e la stava osservando incuriosito.
Il mostro non c'era più. Al suo posto una miriade di coriandoli neri svolazzava nell'aria, come in un
carnevale a rovescio, dove non si festeggiano le colorate sfumature della gioia, ma le più tetre tonalità
dell'angoscia.
Stella chiuse il rubinetto '' mi sono realmente salvata? '' e si accasciò all'interno della doccia; mentre i coriandoli,
che ancora turbinavano nell'aria, diventavano sempre più piccoli. Paperino si avvicinò, mugolando
notevolmente la sua preoccupazione. Amare lacrime di sfogo le scesero sulle guance mentre i coriandoli
divenivano polvere, fino a dissolversi.
Paperino iniziò a coccolarla, leccando il sale di quelle lacrime. Sembrava un amico assetato che le regalava
affetto, o un infermiere a quattro zampe, fatto di pelo, che stesse meticolosamente curando una paziente.
Stella rimase a lungo lì accasciata, come una vittima depredata delle proprie certezze, in apparente stato di
shock.
La campana intanto richiamava i fedeli alla funzione.

Il paese fantasma Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora