Capitolo 3

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Ore 8.10
La lunga chioma bionda sventolava allegramente nell'aria profumata di vaniglia della camera, come una
bandiera dorata sottoposta a repentini cambi di vento. Apparteneva a Stella, parrucchiera trentaduenne, che
lavorava nella vicina località di Porretta, ma si era trasferita a Colleborghino da diciotto mesi, perché
tramite un'amica, lì aveva trovato una discreta casetta dall'affitto piuttosto basso. Era la ragazza tanto cara
alla signora Leda, che l'aveva raccomandata a Jan mezz'ora prima.
'' Smettila Paperino, aspetta un attimo e ti do la colazione '' disse al suo piccolo cane meticcio, un incrocio
tra una femmina di Jack Russel Terrier e un maschio di razza ignota, che abbaiava con insistenza al suo
indirizzo.
'' Mm, come corpo non è granché: tette piccole, maniglie dell'amore, anche se l'amore non l’ho e vaaaasti
crateri di cellulite sulle cosce, brutta ciribulla! '' disse guardandosi allo specchio e pizzicandosi la pelle delle
gambe.
'' Paperino, tu che ne pensi? '' disse voltandosi verso il cagnolino con le mani sui fianchi, arricciando il naso.
Per tutta risposta il cane, che aveva circa un anno di età, continuò a scodinzolare, non avendo altro
pensiero che il cibo.
'' D'accordo piccolino, seguimi''. Mentre andava in cucina, il dolce e affamato cane fantasia la sorpassò;
sembrava il concorrente di una gara il cui traguardo era disegnato sulla ciotola rossa accanto al frigorifero.
La padroncina prese dalla mensola una scatoletta su cui era raffigurato il muso felice di un pastore tedesco,
la aprì e gliela versò nella ciotola.
'' Su, mangia, bello, che poi si va a correre ''. Stella faceva spesso footing di mattina.
'' Vedi questa ciccia? '' disse rivolgendosi a Paperino, che stava trangugiando i suoi pezzetti di carne.
'' Con un po' di sana alimentazione e chilometri di corsa lenta, tempo tre mesi e... puff, lascerà il posto ad
una silhouette da fare invidia. '' il cane le inviò uno sguardo veloce forse di approvazione e tornò alle sue
leccornie.
Lei versò del latte in un bicchiere e si preparò un paio di fette biscottate integrali con marmellata di mirtilli.
'' E poi non lo faccio solo per me sai? '' parlava a Paperino senza guardarlo.
'' L'hai visto anche tu quel bell'uomo che si fa chiamare Jan e che abita a un tiro di schioppo da noi. Beh,
per adesso non mi ha degnato di molte attenzioni... che preferisca le more? O le magre magre magrissimeeeeee?
'' si morse piano l'interno delle guance per imitare il viso scavato di una persona magra. Paperino bevve un
sorso d'acqua da un'altra scodella rossa.
'' Comunque sono sicura che non sia sposato. E nemmeno fidanzato! '' disse convinta addentando la prima
fetta.
'' Certo che giù in città avrà mille modi per conoscere una donna, ma quassù... brutta ciribulla, nel paese
meno popolato dell'Appennino. Dico, ci sono solo io! '' Paperino abbaiò due volte, segno che lo aveva
fatto per annuire.
'' Qua ci sono soltanto famiglie e anziani, qualche adolescente, due o tre bambini, cani e gatti, uccellini e
animali del bosco... '' ci fu una pausa in cui entrambi finirono di mangiare. Dopo cinque minuti lei si rianimó.
'' O non gli piaccio, o è gay, o semplicemente è innamorato del suo computer! Un anno, dico un anno che
abita qui, mi saluta frettolosamente e si rintana in casa... '' disse mettendosi i pantaloncini elasticizzati.
'' Mai che mi abbia invitato da qualche parte, o semplicemente a casa sua. Dico, qua i divertimenti non ci
sono, massimo vai al bar o alla messa... '' disse mentre si allacciava le scarpe.
'' Invitarmi giù al lago... no? Saranno cinquecento metri. E in città? Cioè, dico, una pizza, il cinema, un
aperitivo... macché! '' Stella, con un’espressione divertita e lievemente imbronciata, con il labbro inferiore
rivolto all'infuori, allacciò il guinzaglio a Paperino.
'' Andiamo bello mio.'' chiuse la porta e iniziò a correre a passo lento, seguita dal fedele compagno. La
campana della chiesetta suonò il rintocco delle otto e mezzo.

Ore 8.40
Il vecchietto guidava la sua utilitaria a passo d'uomo su per la via che porta a Colleborghino, affrontando
ogni curva con circospezione e il dovuto rispetto del codice stradale. Gli occhiali stavano in equilibrio
precario sul suo grosso naso e un berretto di stoffa marrone gli calcava il cranio, dove ciuffi di capelli grigi
contendevano lo spazio ad ampie zone calve. Le mani stringevano un po' insicure il volante, costantemente
appoggiate sulle ore dieci e dieci. Curva dopo curva, il simpatico nonnino, accortosi di avere in precedenza
sbagliato strada, invece di tornare indietro si era preposto di superare il paesello, continuare per alcuni
chilometri, quindi svoltare a sinistra e imboccare la statale che, dopo alcuni chilometri, lo avrebbe condotto
a Porretta, famoso centro termale dell'Appennino, a ritemprare il suo corpo e donargli una sorta di sollievo,
una parvenza di ringiovanimento.
'' Ah, guarda là che bella ragazza. '' disse a voce troppo alta perché parlasse da solo, incrociando Stella, che
al piccolo trotto faceva jogging con Paperino lungo il ciglio della via. Il nonnino la degnò di uno sguardo
furtivo sopra gli occhiali e proseguì. Adesso la via si era fatta pianeggiante e già s’intravedeva il campanile di
Colleborghino.
'' Oh Signore, devo sbrigarmi. '' disse guardando il suo orologio da polso, che era avanti e segnava le otto e
cinquantaquattro.
Il nostro pluripremiato nonnino, che in sessant'anni di patente non aveva mai preso una multa, né per
divieto di sosta, quantomeno figuriamoci per eccesso di velocità, né mai era rimasto coinvolto in un
incidente, premette il piede sull'acceleratore e superò in un baleno i cinquanta orari.
'' E che cavolo, ho l'appuntamento tra poco, su bella mia... corri! '' e così dicendo assestò un colpo al
volante e di seguito inserì la marcia superiore (la terza).
Fu allora che lo vide.
Fermo sulla soglia di una casa, di fianco alla via, ad una trentina di metri di distanza, un uomo sembrava
paralizzato dalla paura e teneva le braccia davanti a sé, come a difendersi da...
Il nostro vecchietto non distinse bene la cosa che stava terrorizzando il malcapitato. Dalla sua bocca
sdentata uscirono un rantolo e brevi, strozzate parole.
'' Ma... cosa... diavolo... succede? '' Il suo piede continuò a pigiare sul pedale dell'acceleratore, mentre si
girava a sinistra per seguire la scena. E non credette a quello che i suoi stanchi occhi stavano inviando al cervello.
La nera, cupa, incorporea cosa, si avvicinò all'uomo senz'alcuna fretta ma rapida, efficiente e perfetta nella
sua azione, lo guardò sebbene non avesse occhi, lo abbracciò senza le braccia, lo aggredì con una furia che
niente aveva di umano, lo avvolse nel suo nero mantello e, senza peraltro possedere una bocca, sembrò
ingoiarlo. Tutto ciò accadde in pochi, interminabili secondi. L'uomo, che un attimo prima sostava sulla
soglia della sua casa, un attimo dopo era scomparso nel nulla.
L'auto, che pareva priva di controllo, andò a sbattere contro un palo della luce e si fermò con un rumore di
lamiera contorta e vetro che si frantuma. Il nostro umile nonnino, che in quanto a regole la sapeva lunga,
anche se la sua vecchia auto non contemplava l'uso dell'airbag, fu sorretto adeguatamente dalla cintura di
sicurezza e, data la velocità piuttosto contenuta, non si fece un graffio.
'' Signore, come va, si è fatto male? '' quattro occhi sconosciuti lo fissavano sconcertati dal finestrino.
Appartenevano a due coniugi sulla sessantina, le uniche persone testimoni dell'incidente. Il poveretto, che
era rimasto inebetito per un minuto buono, scosse la testa di qua e di là in segno di diniego, gli occhiali gli
penzolavano sul naso e il berretto gli era sceso sulla fronte.
'' Niente, grazie, non è niente, tutto bene... benone, sì... '' disse senza convinzione abbassando il vetro con
la leva manuale e rimettendosi il berretto sul capo.
'' C'era... laggiù... non mi crederete mai. '' aveva allungato il collo in cerca del luogo esatto della " sparizione?
" non lo sapeva bene nemmeno lui.
'' Cosa c'era laggiù? '' la donna seguì lo sguardo impaurito del vecchio.
'' Cara, secondo me il nonno è sotto shock per via della botta. '' le sussurrò il marito all'orecchio, per non
farsi sentire dal guidatore forestiero.
'' Può darsi. '' riprese lei lasciando stare la zona incriminata e rivolgendo di nuovo la sua attenzione
all'interno dell'abitacolo.
'' Laggiù... sì, sì, laggiù... una cosa nera... strana... un... un... un'ombra ecco, così la definirei. '' il vecchietto si
stava rianimando e pareva voler spiegare l'accaduto. I due lo guardavano con curiosità mista a
preoccupazione.
'' Un'ombra, dicevo, si è letteralmente ingoiata un uom... ''
In quel preciso istante, la luce del mattino si oscurò alle spalle dei due, piegati leggermente a ridosso della
portiera; qualcosa di nero li avvolse nella sua tenebra, essi non emisero grida, né parole. Entrambi
scomparvero in un soffio e dopo di loro scomparve pure la cosa che li aveva " catturati? "
La campana suonò nove volte. Dopodiché, il vecchietto si aggiustò gli occhiali, rialzò il finestrino e girò la
chiave del suo macinino con lo sguardo fisso davanti a sé, dove il palo della luce, dalla parte destra del
parabrezza, sembrava il solo, unico testimone, peraltro muto, che non avrebbe mai raccontato ciò che era
successo. Il motore della macchina d'epoca dette un paio di colpi di tosse, poi si accese gagliardo.
Il pluripremiato guidatore ottantenne, che per la prima volta aveva sgarrato, innestò la retromarcia e l'auto
arretrò di un paio di metri abbandonando la dura e disinteressata carezza del palo della luce.
" Ora ritorna quella cosa e... prende anche me. " il pensiero gli gelò il sangue mentre sentiva il cuore pulsargli a
tremila, " anzi, può darsi che prima mi venga un infarto... " questo secondo pensiero allontanò il precedente. Il
vecchietto mise automaticamente la freccia a sinistra, guardò nello specchietto retrovisore, " non c'è nessuno,
posso andare " e accelerò notevolmente con una sgommata, la prima della sua vita, quindi si rimise in strada.
L'auto si allontanò con il fanale destro spaccato, una parte di cofano ammaccata e il paraurti anteriore che
penzolava emettendo lamenti di scintille sull'asfalto.
Il nonnino, nel giro di un'ora, si sarebbe dimenticato tutto.
Lo avrebbe inconsciamente rimosso.
Ore 9.00
'' Salve Delfina, ma l'hai visto quello? '' una donna di mezza età, un po' sovrappeso, era appena entrata nella
piccola lavanderia del paese, proprio mentre il vecchietto se ne stava andando con la sua auto sgangherata.
'' No, di chi parli? '' disse la lavandaia appoggiando sul banco un vestito da sera che aveva appena finito di
piegare.
''Ah, nulla... un pilota fallito. '' fece la cliente, con una nota di disprezzo nel tono della voce e ponendo fine
al discorso con un gesto della mano.
'' Ascolta, amica mia, sono venuta a riprendere i miei abiti e te ne ho portati di nuovi, che vorrei fossero
pronti per giovedì. '' disse mettendo sul banco un ingombrante sacco pieno di stoffe pregiate.
'' Frena cara, scherziamo? Stai parlando con la lavandaia più famosa di Colleborghino Vistalago. ''
'' Sì, certo... l'unica. '' le rispose con un sorrisetto di complicità.
'' Ti faccio notare, mia cara, che io ho clienti che vengono da fuori, Roncatello, Porciano e perfino da
Porretta.'' disse la lavandaia mostrandosi improvvisamente orgogliosa.
'' Dlin dlen... clienti infiniti per la lavandaia perfetta, dlin dlen... '' cantilenò l'amica facendole l'occhiolino.
'' Prendimi in giro quanto ti pare, Iole, ma significa che io lavoro bene! '' disse Delfina, una donnina gracile
e di bassa statura, che appariva più alta e con le spalle più larghe, dacché si era impuntata a difendere il suo
lavoro dalle pur ingenue e amichevoli insinuazioni della cliente.
" Ti faccio notare che un tempo, tale paese era più popolato e c'era un sacco di negozi. Poi la gente ha
cominciato ad abbandonare le proprie case e a trasferirsi nelle città limitrofe, quindi pian piano i negozi
sono andati in fallimento e hanno chiuso i battenti. Ci sono rimasta solo io... '' riprese la lavandaia
orgogliosa.
" Va bene, va bene, non ti scaldare Delfina, facevo solo per dire... dai, incartami i vestiti pronti. In quanto a
questo... puoi farli con comodo '' disse indicando il sacco degli abiti da lavare.
'' Così mi piaci, questo è parlare. Vada per venerdì prossimo, anzi chiamami pure giovedì mattina, nel caso
fossero già pronti. '' e così dicendo la lavandaia vuotò il sacco sul ripiano in legno di noce.
'' A proposito, ma ti funziona il cellulare? Stamattina il mio non ne vuole sapere, non invia chiamate né si
collega a internet; neppure il bellissimo i-phone di Roberta, ah come glielo invidio... '' disse la cliente con
uno sguardo platealmente trasognato.
'' Il mio? È un vecchio modello che va come una scheggia, è sicuro che funzioni; quelli di ultima
generazione sono solo aggeggi in confronto. Vado nel retro a prendere la tua roba. Ah, comunque stamani
non l'ho ancora acceso. '' disse Delfina mentre si avviava nell'altra stanza. Iole, rimasta da sola, si mise a
rovistare nella sua grande borsa alla ricerca di una sigaretta, che avrebbe fumato appena fuori.
L'ombra la trovò così, con la mano destra che stringeva il pacchetto di Marlboro e il pensiero rivolto alla
sera prima, quando aveva fumato nel letto, accanto al marito addormentato, dopo aver fatto l'amore. Lei
ebbe solo il tempo di alzare la testa, vedere la luce svanire in un buio innaturale e muovere le labbra per
proferire un grido di aiuto, che s’interruppe alla lettera " u ". Dopodiché scomparve, lasciando come unica
testimonianza della sua visita al negozio, una grossa borsa con la firma taroccata, stesa sul pavimento, piena di cianfrusaglie; oltre a cinque sigarette, che facevano capolino dal pacchetto.
'' Eccomi qua, guarda come ti ho trat... Iole? Ehi, dove sei? '' la lavandaia credette che fosse uno scherzo,
dato il carattere giocoso della cliente amica.
'' Dai vieni fuori, dove ti sei nascosta? '' fu allora che, allungando il collo oltre il banco di lavoro, vide la
borsa per terra.
'' Iole... Ioleeee... '' chiamò a voce alta, poi raccolse la borsa, andò alla porta d'ingresso e guardò nella via.
'' Niente. '' tornò dentro.
'' Un ladro, oddio! Un ladro a Colleborghino, quando mai si è visto? Un sequestratore, oddio, deve essere
così... caz... oh santa venerata martire, la polizia, presto... presto, devo prendere il mio cellulare. '' fu con
questi pensieri ad ingombrarle la testa, che vide ciò che la turbò profondamente.
L'ombra sembrava fissarla senza occhi, all'angolo opposto della stanza, pareva " sazia? "
'' Sei... stata... tu? '' in quel momento la lavandaia decise che, in un modo o nell'altro, quella cosa era la
responsabile della scomparsa di Iole. Tentò di scappare ma, in preda al panico, inciampò malamente e
cadde riversa picchiando il gomito sul freddo pavimento color cachi, mentre la cosa riprendeva vitalità e si
stava avvicinando.
Delfina si rialzò di scatto, ma l'ombra le aveva sbarrato l'uscita con il proprio corpo, che pareva il cielo di
una notte senza stelle. Il terrore s'impadronì della piccola, fragile e operosa cinquantenne, che cominciò ad
indietreggiare. L'ombra avanzò lentamente, sembrava pregustarsi la scena. Delfina continuò ad
indietreggiare, incespicando in panni sporchi e in contenitori di plastica riutilizzati, contenenti detersivi.
Finché la sua schiena non urtò qualcosa di duro.
Delfina si girò leggermente, un occhio fisso sull'ombra malvagia che la minacciava a cinque metri di
distanza. Dietro di lei, ad ostruirle l'altra possibile via di fuga, si stagliava la grande mole conosciuta di una
grigia lavatrice, un parallelepipedo di metallo con un cerchio trasparente per oblò, lasciato aperto da lei
stessa pochi minuti prima. Il pensiero la colpì come una freccia, mentre gocce di sudore brillavano come
piccoli diamanti sulla faccia scarna sconvolta dalla paura.
L'ombra imperversava un passo dopo l'altro, " senza piedi, né gambe, né mani, né testa... sant'Iddio! "
La lavandaia aprì l'oblò, che stava ad un metro circa da terra, infilò un piede, poi una mano, " guarda davanti
a te, sempre. "
Sentì la presenza di acqua, dolce e familiare liquido sporco che le arrivava allo stinco, mise dentro il culo
striminzito, "guardala, tienila d'occhio, non si muove. "
Si tuffò quindi all'interno, sebbene con difficoltà, inarcando la schiena magra, " sta valutando la situazione. "
Poi, approfittando della sua corporatura minuta, entrò completamente nella lavatrice usata vent'anni per
scopi differenti, afferrò un gancetto e chiuse l'oblò.
L'ombra si avvicinò e parve ingaggiare una sfida con lo sguardo atterrito della lavandaia, che nell'interno
della lavatrice, umido e caldo, non si sentiva comunque al sicuro. Dopo sette infiniti secondi, l'oscuro,
indefinibile personaggio se ne andò, scivolando come un fantasma di pece sulle mattonelle color cachi della
lavanderia.
La campana suonò le ore nove ma Jan, che stava percorrendo il sentiero in salita che porta fino alla cima
della Monte Piramide, non la sentì. D'altronde, per conoscere l'ora, avrebbe potuto benissimo consultare
l'orologio regalatogli dal padre al compimento del quattordicesimo anno, e il cellulare. Il nostro fungaiolo si
fermò e tirò fuori di tasca uno schermo da quattro pollici, premette il tasto di sblocco e vi comparve l'insolita immagine luminosa di svariati teonanacatl su di un tappeto erboso.
'' Non c'è campo, come immaginavo... '' disse sorridendo e rimettendosi il cellulare in tasca. Chiunque si
addentrasse in quei posti, non aveva quasi mai la possibilità di chiamare o di ricevere, fintantoché non
avesse raggiunto la cima, dove il bosco era più rado e si poteva ricevere meglio il segnale dell'antenna più
vicina.
Con lo zaino in spalla, con una bottiglia d'acqua e due panini al prosciutto, il paniere in una mano e un
bastone nell'altra, Jan calpestava con gioia il morbido tappeto del fogliame, con passo svelto e deciso.
Talvolta accarezzava la liscia corteccia grigio chiaro di un faggio, traendone una sensazione di piacevole
conforto. Talvolta alzava lo sguardo al cielo, azzurra tela su cui gli alberi dipingevano il loro vitale intreccio
di rami " bene, ho già raggiunto quota novecento metri " disse fra sé, sbirciando l'altimetro professionale del suo
orologio. Il sole faceva capolino tra gli alberi, consentendo ai suoi primi caldi raggi di penetrarvi attraverso,
così da farli sembrare i fasci di una torcia per giganti. Gli uccellini cinguettavano allegri le loro canzoni
preferite, tra le fronde dalle svariate tonalità di verde.
Jan si fermò, attratto da un aroma conosciuto, che avrebbe definito nobile, di colore verde scuro, tendente
al marrone. Scansò un umidiccio mucchio di foglie con il bastone, poi un altro ancora e, infine, il suo
paziente lavoro di ricerca fu ripagato dalla scoperta di un porcino.
'' Wow, peserà almeno tre etti '' esclamò con evidente soddisfazione.
Fu allora che lo udì.
Un rumore di foglie scosse, come un lieve fruscio, che proveniva " dal sentiero? " gli parve di sentire anche il
rumore lontano di un'auto di passaggio " o me lo sto immaginando? " si alzò con i muscoli del collo contratti,
mise il fungo nel paniere, guardò a sinistra. Niente. Guardò a destra. Niente. L'orologio segnava le ore nove,
dodici minuti, trenta secondi, " novecentodue metri sul livello del mare. Quando raggiungerò la cima, consumerò il mio
pranzo... " pensò.
Jan si rimise in cammino. Ora davanti a lui, il sentiero si biforcava, una pista scendeva e conduceva ad un
altro costone del monte, l'altra saliva. Jan scelse la seconda e, non appena fatti dieci metri, il fruscio di
prima riprese e s’intensificò.
Stavolta non ebbe difficoltà a definirne la provenienza, si voltò a destra, mille zigrinate foglioline verde
smeraldo gli si pararono davanti, scostò i piccoli rami del carpino con rispettosa delicatezza e...
Un corpo scuro come un'ombra stava risalendo il costone e veniva verso di lui, aggrappandosi con tenacia
a tronchi di faggio e a solidi ginepri per non scivolare all'indietro.
Dopo qualche secondo, l'uomo raggiunse il sentiero, ansimante e sudato come un maratoneta all'ultimo
chilometro.
'' Vincenzo... che ci fai quassù? '' disse Jan con una mano sulla fronte e una smorfia divertita. Il ragazzone,
che aveva venticinque anni, si pulì a suo modo le mani, strofinandole energicamente sui jeans neri.
'' Ciao Jan, eh eh, ti ho visto, sai prima, quando hai preso il sentiero, giù al paese... volevo... insomma... ''
'' Venire a cercar funghi insieme a me. '' Jan terminò la frase per lui.
'' Beh... indovinato! Eh eh... '' uno stolido sorriso riempì il faccione di Vincenzo (Vince per gli amici).
'' Se non ti do noia... '' sussurrò Vince facendo il broncio, con un'espressione di timida insicurezza,
temendo che Jan glielo avrebbe negato. Il nostro Giovanni, esperto di computer e amante della solitudine,
che certo non aveva tanta voglia di compagnia, fu comunque impietosito dall’umile richiesta del giovanotto,
che era un po' ritardato, ma sincero e affettuoso.
'' E va bene. " disse sbuffando amichevolmente e aprendo il palmo della mano come ad invitare il nuovo venuto ad aggiungersi a lui.
" Grazie, grazie, eh eh, sei un amico, un graaaande amico, amicone, amicissimo! E vai! ''
Jan si ritrovò a guardare un tipo di cento chili, maglietta nera con evidenti e odorose macchie di sudore,
calzoni neri sporchi di terra, scarpe da ginnastica gialle fosforescenti, saltargli praticamente addosso e
abbracciarlo con l'entusiasmo di un bambino.

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