Capitolo 7

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Ore 12.30
Stella era arrivata all'azienda dello zio.
Smontò veloce dalla bicicletta e corse in direzione del camion che era quasi colmo di legna, gridando a
squarciagola.
'' Aiuto zio, aiuto, devo dirti una cosa... ''
'' Chi cazzo è ora? '' Tommaso, impegnato a caricare, alzò la testa di scatto interrompendo il suo lavoro.
Anche l'operaio vide la nipote del capo, ma continuò a gettare i famigerati ceppi di quercia nel cassone,
figuriamoci se si voleva prendere una strigliata dal grande capo, ora che aveva quasi finito il suo turno
domenicale.
'' Zio... '' iniziò Stella col fiatone '' zio. Ho visto una cosa incredibile! Anzi no, io ho... dico... cioè, ho ucciso
il killer. '' disse aspettando la reazione di Tommaso, che non tardò ad arrivare.
'' Che avresti fatto? E chi sarebbe codesto fottuto, killero? ''
'' Killer, zio... si dice killer. Ero in casa, mi ha attaccato e mi voleva... mi avrebbe ucciso se non gli avessi
tirato l'acqua addosso! '' riferì lei sempre col respiro pesante. Paperino abbaiò sei o sette volte, ottenendo uno sguardo di approvazione dalla padroncina e uno divertito dallo zio.
'' Con l'acqua? E che killero era se è bastata dell'acqua per farlo fuori? '' i due uomini si guardarono increduli.
'' Era... dico, pareva... un'ombra. O meglio, un gigantesco Barbapapà nero, senza occhi, né testa, né gambe.
''
'' Ah... '' fu il commento incolore dello zio, che ricominciò a lavorare.
'' Sono convinta che abbia ucciso il tuo operaio. Dico! '' disse la nipote, diventando da impaurita a seria.
'' Eh? Ma che dici, quello è uno scansafatiche, altro che vittima. Domani mi sentirà! '' i ceppi di quercia
continuavano a rotolare dentro il cassone con un bel suono ovattato. Stella riprese a spiegare la sua tesi.
'' Secondo me era, e sottolineo era, un illusionista o qualcosa del genere. Un serial killer, ecco. Che uccideva
nei bagni... dico! '' la donna aspettò a braccia conserte l'approvazione dello zio che, invece, sbottò in una
grassa e prolungata risata, accompagnato da quella un po' più sobria dell'operaio.
'' Guarda te... dico, non mi credete, eh? '' Stella s’immusonì. Dopodiché fu l'operaio a parlare, perché
Tommaso si stava ancora sganasciando dal ridere, piegato in due e con le grosse mani appoggiate sulle
ginocchia.
'' Frena, bella. Non vorrai mica farci credere a queste stronzate? Dai su, va' a farti un giro, che qui
dobbiamo lavorare. ''
'' Ah, se è così, me ne vado prima di subito, dico! E tu, zio, hai per caso cambiato idea? ''
'' Ah ah ah... un killero... Barbapapà... nero... un'ombra... in bagno... ah ah ah... '' non c'era verso di fermarlo,
ormai era partito per la tangente.
'' E va bene! Zio, mi hai deluso... andiamo Paperino! " sbraitò lei, tornando furiosa alla bici. Mise il cane nel
cesto, montò in sella e se ne andò stando ritta sui pedali, così da imprimere maggior velocità al suo mezzo e
allontanarsi da lì il più in fretta possibile. Tommaso continuò a ridere per un minuto buono, poi scosse il
capo.
'' Ah, i giovani d'oggi... '' sputò per terra e riprese il suo lavoro.
Stella sapeva cosa fare.
Prima di tutto riprovare a far chiamate col cellulare, cosa che non le riuscì; la linea telefonica era
completamente muta, come se tutte le antenne fossero cadute in terra o, peggio, avessero deciso di
scioperare. Fallito quel tentativo, progettò di tornare a casa, lasciare la bici, prendere la sua auto e scendere
in città per avvisare la polizia, o i carabinieri, di persona.
Successe tutto in un lampo.
Paperino si alzò sulle zampe posteriori e iniziò ad abbaiare forte, mentre con quelle anteriori si reggeva in
precario equilibrio al cordolo del cesto. La padroncina fu colta di sorpresa e cercò di riportare all'ordine il
suo rumoroso cagnolino. Con una mano tentò di farlo sedere affinché non cadesse in avanti, mentre con
l'altra teneva il manubrio; ma la bici cominciò a ondeggiare notevolmente, la ruota anteriore trovò una
piccola buca sull'asfalto e i due caddero sulla strada. Fortunatamente la velocità che teneva, in quel
momento, era piuttosto contenuta, e Stella si fece solo qualche graffio. Paperino pareva fatto di gomma,
rimbalzò sulle zampe e riprese ad abbaiare come prima.
'' Zitto, brutta ciribulla! Mi hai fatto cadere... ohi, che male... che hai da abbaiare così? Dico! '' Stella si voltò
in direzione dello sguardo di Paperino e vide ciò che non avrebbe mai più voluto vedere.
'' Un altro killer... un altro? '' l'ombra malvagia era tre case più in là, davanti ad un cancello, e pareva non
averla vista.
'' Zitto scemo, se ti sente... siamo spacciati! '' Stella non poteva sapere che quegli esseri non avevano
interesse ad uccidere animali e, oltretutto, erano sordi.
'' Oddio, ci ha scoperto... brutta ciribulla! E ora che si fa? '' disse ancora credendo che il killer si fosse
voltato nella loro direzione. Il tono concitato delle sue parole non lasciava adito a ripensamenti. Rimontare
in sella e fuggire? Forse sarebbe stata la soluzione migliore ma, si sa, in certi casi il panico ha il sopravvento
e si possono facilmente compiere scelte sbagliate. La donna si guardò attorno e, tra un uscio sbarrato, una
finestra chiusa, nessuno in vista e nessun viottolo presente in quel tratto, l'unico nascondiglio che trovò era
un buco rettangolare che un tempo remoto ospitava i vetri e i battenti di una finestra al pianterreno e che,
adesso, pareva l'occhio spalancato di un ciclope, e l'unico accesso alla casa stregata (la porta era ancora in
ottime condizioni e perfettamente chiusa a chiave).
Stella prese Paperino in braccio, lo sollevò ancora incavolato e abbaiante e lo posò sul davanzale, che era
all'altezza del suo petto; dopodiché cominciò a issarsi lei stessa con la forza delle braccia e della
disperazione. Mise un piede e poi l'altro sul davanzale, saltò all'interno, tirò dentro anche il cane e sbirciò
fuori. Il killer era fermo nello stesso posto di prima '' forse non mi ha visto... '' pensò col cuore che le batteva a
mille.
Il ragazzo grassottello che giocava al videopoker e che aveva rubato le patatine più qualche spicciolo, prima,
nel bar Angelo, si chiamava Denis. Mentre Stella e il suo amato meticcio si nascondevano nella casa
stregata, Denis stava pranzando con i suoi, in una graziosa villetta ristrutturata recentemente, a pochi passi
da lì, nell'interno del paese che era collegato alla strada tramite viottoli sterrati, che a malapena ci passava
una macchina.
Papà stava mangiando un pezzo di pollo arrosto con patate che la moglie aveva cucinato; mamma
addentava di malavoglia un sedano in pinzimonio su consiglio della dietologa e Denis gustava la succulenta
coscia del suddetto pollo, tenendola stretta con ambo le mani.
'' E lasciami un po' di patate, babbo! '' disse a chi, agguantato il vassoio, se le stava versando tutte nel piatto.
'' Toh, due di numero, che devi dimagrire... '' rispose il padre con un ghigno, lasciandogliene proprio un
paio.
'' E dai caro, non fare così. Il ragazzo s’impegna... '' disse la madre sorridendo al figlio con complicità.
'' Grazie mamma. ''
'' E va bene... toh, sei contento? '' disse il padre dandogliene delle altre, '' e dopo, torta per tutti!
Festeggiamo la tua promozione! '' alzò le braccia in segno di vittoria.
'' Wow... grazie babbo! Ehi, figoooo, questa non me l'aspettavo! ''
'' Sai che ti vuole bene. A suo modo... ma ti vuole bene. '' fece la mamma contenta.
'' A te una mini-fetta, mi raccomando, eh? '' disse il marito rivolgendosi alla moglie e facendo l'occhiolino al
figlio.
'' E dai... che ho già perso tre chili. '' disse lei atteggiandosi come una modella.
'' Che cosa è stato? '' disse Denis smettendo di torturare la coscia di pollo e guardando i suoi genitori.
'' Nulla... '' sussurrò papà con un'alzata di spalle.
'' Vado a vedere. '' disse mamma alzandosi e continuando a masticare il sedano.
La TV era sintonizzata sul telegiornale, dove l'inviato di turno raccontava l'ultimo scandalo nel mondo dei
vip, l'ennesima onda anomala nel mare inquinato del gossip.
'' Che gente... '' commentò papà sollevando un sopracciglio mentre beveva il suo vino rosso.
'' Noooooo! Ti prego... aiutooooo! '' mamma aveva appena fatto la conoscenza di un'ombra assassina, o più
semplicemente del killer travestito da boia, o meglio ancora del cattivo Barbapapà nero.
Ed era poi sparita.
Ovviamente.
Il marito si alzò di scatto, impugnò un coltello piuttosto lungo dal cassetto delle posate e si avviò
nell'ingresso, dove la moglie era...
'' Ti ammazzo bastardo! '' gridò all'insegna dell'intruso, mentre pensava '' che cos'è? ''
Denis prese alcune patate arrosto dal piatto di papà e scappò dalla porta di casa che dava sul retro.
In TV un meteorologo in doppio petto annunciava temporali sull'Appennino, più frequenti durante la
serata.
Il coltello sferrato dal marito contro il corpo dello straniero, lo trapassò come fosse un cumulo di nebbia
nera e sporca di fuliggine, andando a piantarsi nella splendida riproduzione delle Ninfee di Monet,
producendo uno squarcio verticale di ventidue centimetri sulla tela.
Il figlio fuggì correndo attraverso il giardino e aprì il cancelletto che dava su un viottolo sterrato.
Il padre fu sopraffatto dall'oscurità informe e disumana di quello strano killer, cercò la moglie con
un'ultima disperata occhiata nell'ingresso, non la vide, ma gli parve di sentire la sua voce ovattata nell'abisso
immenso e sconosciuto che gli si chiudeva intorno e, in quell’eco lontana percepì l'esistenza di un aldilà
fluttuante e scomparve con la speranza di rivederla.
Suo figlio Denis imboccò il viottolo e corse a più non posso verso la strada, la pancia che gli sballottava su
e giù, il respiro che diventava affannoso, le scarpe da ginnastica che battevano pesantemente sul selciato.
Credeva di essere inseguito, ma il mostro, che non aveva mai veduto, era rimasto in casa, unico spettatore
davanti allo schermo della TV, in cui una giornalista di bell'aspetto gli augurava buona giornata.
Il ragazzo si portò alla bocca le patate che avrebbero dovuto deliziare suo papà e le ingurgitò mentre
correva, masticandole avidamente, come fosse l'ultimo cibo sulla faccia della Terra. Arrivato a destinazione,
si fermò, guardò intorno e dietro di sé per la prima volta da quando era fuggito, poi si accucciò per spostare
un bel po' di foglie e di rametti secchi. Finita questa semplice operazione, sotto le sue mani apparve una
botola di metallo arrugginito, che emise un cigolìo sinistro quando la aprì, rivelando una specie di tunnel
sotterraneo abbastanza grande e piuttosto segreto. Denis entro in quel buio con la dimestichezza di uno
che lo aveva fatto un sacco di volte, richiuse la botola e si avviò verso l'unica destinazione possibile.
La casa stregata.

Ore 13.00
Rinaldo, che qualche ora prima era miracolosamente scampato all'attacco di un killer ignoto, si era ripreso
dallo shock e adesso, un po' confuso, stava tornando in paese, con l'ansia di un padre che teme per la vita
dei figli.
Aveva già fatto di corsa un bel pezzo di sentiero, incespicando in sassi sporgenti, graffiandosi con i rami
degli alberi e le spine dei rovi, pensando incessantemente a che cosa poteva essere successo in quel periodo
in cui era rimasto inebetito, se quel '' pazzo, alieno, assassino, bastardo '', avendo fallito con lui, avesse deciso di
prendersela con la sua famiglia.
A casa lo stavano aspettando : la moglie, il figlioletto di sei anni, le gemelline di diciotto mesi, la nonna inferma malata di Alzheimer e un gatto persiano che, nonostante le nobili origini, rispondeva al nome di
Minù.
'' Corri, svelto, dai, non ti fermare. Come quando hai vinto la medaglia d'oro nei cinquemila, giù a Firenze. Corri Rinaldo,
come Zatopek la locomotiva; non ti fregare di niente, rovi, sassi, buche; salta come una lepre, vai dalla tua famiglia, oh
Signore la mia famiglia! Sara e Jessica, Simone, mamma Carla... Rachele, amore mio... no, no, non posso credere che quel
mostro... no, la mia famiglia, no... "
" Che cosa? '' Rinaldo si arrestò nascondendosi dietro il grosso tronco di un castagno '' un'ombra, laggiù... non
sarà mica... tornato? '' pensò mentre il cuore gli batteva all'impazzata. Sbirciò dal lato destro e, nel punto in
cui gli era parso di vedere qualcosa, c'erano solo verdi foglie di alberi e arbusti di mirtillo.
Si rilassò.
Guardò poi a sinistra... niente, le solite foglie, il ruscello che aveva già incontrato durante la corsa, un
ginepro ricurvo che sembrava soffrire il mal di schiena, il lieve sciabordìo dell'acqua. Il fruscìo del fogliame,
'' fruscìo di foglie sul sentiero? Rumore di... passi? '' pensò.
Dopo qualche secondo lo vide.
Pareva un orso che si aggirava per il bosco; un orso bipede, che calzava scarpe gialle fosforescenti.
Vincenzo stava tornando a casa con in testa un motivo orecchiabile dei Radiohead, il bellissimo viso di
Stella, il dolce ricordo di quella mattina passata con Jan e il pranzo che la mamma stava preparando e che
presto avrebbe colmato la sua fame da lupo.
'' Non vedo l'ora d'incontrarla di nuovo, così le chiedo di uscire insieme, eh eh. Ma dove la porto? Boh, si
decide al momento eh? '' così dicendo non si accorse del boletus aereus che sostava in bella vista davanti a lui
e lo pestò, rompendo quel fragile corpo spugnoso che avrebbe potuto finire nella sua bocca quella sera
stessa, magari fritto.
'' Certo, che figo Jan, sono felice felicissimo di essere diventato suo amico. Non vedo l'ora di vedere il
plastico, eh. '' disse di nuovo mentre un fringuello spiccava il volo dal ramo di un ginepro.
'' E un giorno, poi, ci sposiamo, eh eh. Don Alderico celebrerà il più bel matrimonio del secolo! Eh eh. "
'' Vince... Vince... Vincenzoooo. '' Rinaldo lo raggiunse in uno stato di evidente agitazione.
'' Ciao Rinaldo, che bello vederti qua, eh eh, che fai? '' disse il ragazzone sorridendo dopo un primo
momento in cui era rimasto titubante.
'' Senti Vince... amico mio. Devo tornare subito a casa, la mia famiglia è in pericolo... o credo che lo sia.
Insomma, tu... non hai visto nulla di strano stamani? Tipo... un'ombra, un uomo nero, ecco. '' gli disse
fissandolo come uno psicopatico, mentre il ruscello scrosciava allegro lì accanto.
'' No no, eh... '' Vincenzo provò un po' di paura nell'incrociare quello sguardo pieno di follia.
'' Un mostro che, oddio, m’inseguiva... " Rinaldo aveva il fiatone.
" No nooooo, eh! Io ero con Jan. " rispose Vincenzo fieramente.
" Chi, Giovanni? Tipo strano, quello. Vabbeh, io scendo in paese, la mia famiglia è in pericolo! " e così
dicendo si allontanò di gran carriera, lasciando Vincenzo imbronciato, ritto come un fuso sulla sponda del
ruscello.
" No... no!" gridò Rinaldo tornando subito da lui.
" E' tornato, Vince. Il mostro è tornato. " gli sussurrò con lo sguardo pieno di terrore.
" Eh, ohi ohi, chi è? "
" Il demonio! " Rinaldo era freddo come il ghiaccio, la sua mente vacillava.
" Ma noooooo, eh eh, è di nuovo lui, eh! Il capriolo! " la felicità del ragazzone era al massimo, avendo a suo
parere risolto il problema dell'amico.
In quel momento arrivò.
Rinaldo lo vide strisciare come una vipera silenziosa venuta dall'inferno e, impaurito, indietreggiò
notevolmente andando a sbattere contro il corpo di Vincenzo, il quale inciampò in un sasso e finì a gambe
all'aria nel ruscello, che in quel punto formava un bozzo, alto una quarantina di centimetri e lo inzuppò da
capo a piedi.
" Vieni bastardo, vieni... che cosa hai fatto alla mia famiglia, eh? Che cosa, dimmelo! Parla, figlio di un cane!
" mentre il mostro gli si avvicinava, Rinaldo ebbe la certezza che a casa sua, nessuno era sopravvissuto.
Vincenzo intanto tentava di rialzarsi, ricadendo però goffamente nell'acqua limpida.
" E allora uccidi anche me... " disse Rinaldo tuffandosi letteralmente tra le braccia inesistenti di quell'oscuro
personaggio. Fu come immergersi con la sua canoa nelle acque torbide di un lago, in una notte senza luna.
E remare, non per rimanere in superficie, ma con l'intento di sprofondare. Rinaldo s’inabissò, con il
conforto di aver fatto la stessa fine della sua famiglia.
Vincenzo riuscì finalmente a uscire dall'acqua e, impegnato a salvarsi dall'affogamento (aveva una grande
paura dell'acqua fin da bambino) non si era accorto di nulla.
" Rinaldo... sei andato via? Eh? " disse guardando verso valle, mentre il killer era fermo, immobile, dall'altra
parte, come una bandiera nera in assenza di vento.
Quando il nostro ragazzone, nero anch'egli, ma con le scarpe gialle fosforescenti, inzuppato, fradicio e
gocciolante, si accorse di lui, non provò paura, anzi gli si avvicinò, lo squadrò dall’alto in basso e viceversa
poi, vedendo che quell'essere non gli dava confidenza e che rimaneva muto come un pesce, cercò non si sa
perché di toccarlo con un dito.
" Chi sei? " gli domandò, affondando l'indice nella nebbia sporca del suo corpo.
Il killer, ovviamente, non rispose; anzi indietreggiò, strisciando senza peraltro smuovere il fogliame sul
terreno, fino ad allontanarsi da lì, inoltrandosi nel bosco e facendo perdere le sue tracce. L'acqua non gli
stava certo simpatica, ma se per Vincenzo si trattava più che altro di una fobia, per quegli esseri significava
la morte.
Vincenzo rimase con un palmo di naso, imbambolato e con il dito sollevato in aria, davanti a sé, a indicare
un universo di foglie dalle cento sfumature di verde. Il ruscello scrosciava allegro alle sue spalle.
All'azienda di legna, il cassone del camion era quasi colmo.
'' E con questo... " gridò Tommaso gettando l'ennesimo pezzo di quercia nel cassone '' abbiamo terminato.
Toh! '' fece un gestaccio all'indirizzo del suo mezzo, cui era certamente affezionato, ma non voleva saperne
più di riempirsi, tanto era grosso.
'' Questa ce la siamo sudata, Eberardo. Mattinata del cazzo! '' disse all'operaio che in quel momento si stava
togliendo i guanti da lavoro (il capo non ne aveva bisogno, dato lo spessore e la ruvidezza della sua pelle).
'' Mi spiace per la fottuta levataccia che ti sei dovuto sciroppare, ma sarai ricompensato! '' disse montando
sul cassone con l'agilità di un gatto.
'' E ora ti guiderò fino alla fine del mondo, bello! '' urlò verso il cielo terso a braccia levate, come se avesse
vinto una battaglia. Eberardo si lasciò andare a un sorriso di circostanza, il capo non era nuovo a queste
uscite, ormai c’era abituato.
'' Posso andare allora? '' gli chiese con garbo.
'' Certo, certo. Segna le ore di straordinario, mi raccomando. Ci vedremo domani mattina, ok? E salutami
Velia, che è una donna tanto cara. "
'' Ok, presenterò '' disse l'operaio dirigendosi al bagno.
" E che mi farei volentieri, toh! " pensò Tommaso.
Eberardo entrò in bagno, si lavò le mani e il viso sudato, si specchiò aggiustandosi i capelli e alzò la
tavoletta del wc per pisciare '' sparito nel bagno... anzi fuggito dalla finestra... lo scansafatiche. Mah! '' pensò mentre
orinava. Invece di uscire, poi, guardò la finestra sopra al wc e piegò la testa di lato '' voglio vedere una cosa... ''
pensò salendo sulla tavoletta.
Aprì la finestra e guardò giù; un paio di metri sotto c'era una lieve collinetta alta sì e no mezzo metro, ma
molto estesa '' in effetti, il cumulo di trucioli è intatto, la nipote glielo aveva fatto presente. Mah... '' scese poi dal wc,
facendo attenzione a non cadere '' aspetta un po'... '' disse ancora tra sé tornando su e riflettendo meglio su
quanto poteva essere accaduto al suo collega '' se io provassi a uscire da qui... dovrei saltare, ma... Questo cumulo
maledetto non lo potrei evitare, neanche a prendere la rincorsa, che tra l'altro non si può prendere... '' una goccia di panico
gli bagnò il corpo e un brivido freddo, gli percorse la schiena madida, mentre cominciava a ripensare alla
fantasiosa tesi di Stella, al suo racconto idiota e '' oddio, non è così, perché non può essere così! '' sentì le
palpitazioni del cuore salirgli in gola, come cibo che spingesse per fuoriuscire in forma di vomito.
Guardò la porta del bagno, ritto con i piedi calzanti scarpe antinfortunistiche sulla ceramica del cesso '' il
killer dei bagni... il killer dei bagni... il killero... '' trovò impossibile l'idea che un assassino sarebbe entrato e lo
avesse ucciso in quell'ambiente, eppure aveva paura " non ci penso nemmeno! " disse tra sé osservando la porta
socchiusa del bagno.
Dopodiché prese una decisione : aprì la finestra e saltò fuori, atterrando, dopo un modestissimo volo di
due metri, con tutto il peso del corpo sul largo cumulo di trucioli, che attutì perfettamente il colpo, migliore
di un materasso. Si drizzò in piedi, scese dalla collinetta color nocciola, raggiunse il luogo dove aveva
parcheggiato la sua bicicletta, montò in sella e corse di volata a casa, ad avvertire Velia.
Tommaso, che si trovava nel bugigattolo del suo ufficio a timbrare alcune bolle di accompagnamento, lo
vide pedalare a tutta velocità, infilare il cancello semi-aperto e sparire nella strada.
" Che cos'ha, il fuoco al culo? " commentò accendendosi l'ennesima sigaretta.
Il cumulo dietro il casotto del bagno non aveva più l'aspetto di una dolce collinetta, sembrava che sopra ci
fosse transitata una mandria di bisonti.
Rinaldo ci aveva azzeccato.
La sua amata famiglia era stata sorpresa non da uno, bensì da due assassini contemporaneamente, soltanto
poco tempo dopo che lui era fuggito nel bosco. Una di esse non aveva faticato a far scomparire nel suo
buio innaturale e indefinibile le gemelline e il figlioletto. L'altra si era ritrovata la madre dei piccoli davanti,
armata di un annaffiatoio arancione, capace di portare dodici litri d'acqua, colmo fino all'orlo.
Lei, con tale recipiente, avrebbe potuto dar da bere ai fiori del suo giardino o, per difendersi, avrebbe
potuto versargli addosso l'intero contenuto liquido. Veleno che, come sappiamo, avrebbe ucciso il mostro
frantumandolo in mille pezzi.
Rachele non aveva idea di quale fosse il punto debole di quel bastardo. Se l'era ritrovato davanti, ne aveva
avuto paura ed era fuggita in casa in preda al panico, buttando l'annaffiatoio tra le rose e rompendone
alcune.
'' Rinaldo... aiuto, dove sei... aiutoooo! '' erano state le sue ultime parole, che però non aveva sentito nessuno, tranne la suocera inferma. Quando il mostro l'aveva raggiunta, Rachele, laureata in psichiatria,
aveva creduto di avere davanti uno psicopatico che pensava di essere l'uomo nero. Gli aveva teso la mano
in segno di pace, gli aveva sorriso senza mostrare i denti e gli stava per dire '' stai calmo, va tutto bene, sei tra
amici... '' ma era stata lo stesso ingoiata da quelle fauci aliene.
La madre di Rinaldo, dalla sua sedia a rotelle, aveva seguito la scena e, quando lo psicopatico, o chiunque
cosa fosse, si era avvicinato, non aveva trovato di meglio da fare che tirargli addosso il bicchiere d'acqua
che teneva sempre sul ripiano della sedia. Il killer aveva accusato il colpo, ma poiché la quantità di liquido
velenoso era irrilevante, aveva potuto riprendersi e avvolgerla nell'inferno della sua pazzia.

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