Capitolo 4

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Ore 9.40
Rinaldo stava scappando. Un'ombra fatta di aria, nera e infida come il fondo di un pozzo, lo inseguiva a
tutta velocità, strisciando come un serpente dalle fattezze umane sull'asfalto tiepido della strada. Lo aveva
attaccato nel giardino di casa, trovandolo intento a potare la folta siepe di lauro che ne cingeva il perimetro,
delimitandone i confini.
Rinaldo si era salvato per un pelo, brandendo le cesoie come un'arma che non era servita granché, ma che
comunque aveva avuto il privilegio di arrestare il nemico, quel tanto che bastava per darsi alla fuga. E sì che
il nostro giardiniere, sulla quarantina, si teneva bene allenato e, ogni settimana, era solito correre per trenta
chilometri e anche di più, a ritmo sostenuto, in tre uscite differenti, per non parlare della canoa con cui
girava in lungo e in largo il lago Borghino, situato a breve distanza poco sotto il paese.
Ora, impegnato come un atleta che vuole vincere la gara della vita, e impaurito come un bimbo lasciato da
solo nel buio di un luogo dove crede esserci la tana del lupo cattivo, Rinaldo volava per la strada maestra
con l'aiuto d’invisibili ali appiccicate alle caviglie.
L'uomo ebbe il tempo di voltarsi e vedere il nemico " volare? strisciare? " alla costante distanza di quindici,
venti metri a dargliela tutta. Passò davanti alla lavanderia, a una casa color giallo ocra, al bar Angelo, alla
casetta color crema dell'amico Gervasio, alla chiesa che non frequentava. E dopo sorpassò i cigli erbosi, la
casa abbandonata, un garage in vendita che nessuno avrebbe mai comprato. Persone incontrate: zero.
E il nemico sempre dietro, " ma quella cosa respira? " pensò di nuovo; quindi raggiunse la viuzza sterrata che
porta nel bosco, quella presa da Jan un paio d'ore prima, e istintivamente la imboccò. La salita, così cara e
sempre presente nei suoi allenamenti, adesso gli stava facendo perdere terreno, " ma perché ho preso 'sta specie
di via? " pensò di nuovo.
Incontrò i primi castagni, foglie secche per terra " mi rallentano, questa non ci voleva, perché... perché? " il nemico
si stava avvicinando, come se " pattinasse? " su un terreno adatto alla sua andatura, con un unico scopo nella
" testa? quale testa? " un intento omicida.
Rinaldo raggiunse il sentiero, più stretto e difficoltoso, poiché saliva, " e se montassi su un albero? " respinse
immediatamente il pensiero, non gliel’avrebbe mai fatta. Il nemico era a dieci metri " e se lo affrontassi? "
pensò ancora mentre saliva, incespicando nei rametti caduti poiché spezzati dal vento, o dalla neve, o da
uomini che avevano percorso quel tratto sorridendo felici. Rinaldo saliva, incespicando nei sassi che spesso
facevano capolino tra foglie e terriccio, finché...
Cadde.
La vita gli passò davanti come un film a tre dimensioni nel cinema giù in città; vide la moglie, il figlioletto di
quattro anni, vide sua madre accarezzargli la fronte in una sera di febbre alta nel letto dell'infanzia. Vide
l'ombra arrestarsi ad un metro dal suo corpo stanco e dolente, non perché avesse rinunciato ad ucciderlo,
no, era come se fosse impossibilitata a proseguire e sembrava pigiare con tutte le sue forze disumane
contro una specie di membrana invisibile.
Rinaldo, tremante di paura e con una gamba fratturata, rimase fermo in posizione supina, dolorante,
aspettandosi il peggio. Il nemico premeva, ma non riusciva a rompere quella sostanza ignota che lui non
aveva nemmeno percepito, ma che forse lo stava salvando. Il nostro ammirevole padre di famiglia rimase a
stretto contatto col nemico per settanta lunghi secondi, e intravide il pozzo di petrolio in cui si crogiolava
quell'anima malvagia, finché questi non decise di andarsene ritirandosi nel bosco, giù, come un pazzo
travestito da boia che abbandona la sua ossessione. Almeno per il momento.
La finestra della casetta color crema si aprì, un istante dopo il passaggio di Rinaldo, inseguito dall'ombra
omicida. Al centro del riquadro scuro della stanza, comparve la sagoma della moglie di Gervasio e il sole,
riconoscente, le illuminò i riccioli biondi, che ricadevano come una cascata d'oro sulle sue bianche spalle
dolcemente arrotondate.
'' Mamma, mammaaaa... '' gridò il figlio di sei anni dal giardino tra l'abitazione e la strada.
'' Che c'è Micky? '' i suoi occhi verde smeraldo si sgranarono di colpo a causa della palpabile apprensione
del piccolo.
'' C'era uno che correva sulla via, mi è parso... come si chiama... l'amico di papà... ''
'' Ah, Rinaldo, vuoi dire? '' rispose lei appoggiandosi al davanzale, mentre il sole faceva brillare lo smalto
arancione della sua manicure.
'' Sì, sì... esatto, era lui. Lo inseguiva un... non so bene... come te lo spiego? '' ora appariva titubante oltre
che spaventato.
'' Dillo con parole tue. '' la donna pareva una maestra seduta dietro la cattedra, che esortasse il suo alunno
preferito.
'' Ok. Era inseguito da un corpo... un omone, ma non era un uomo, cioè, un... un Barbapapà, ecco! '' le
labbra carnose della madre si aprirono in un bel sorriso, lasciando intravedere la dentatura perfetta.
'' Un Barbapapà nero, nerissimo e cattivo! '' esclamò il bimbo sempre più sicuro.
'' Senti senti che fantasia... però, niente male come inizio di giornata per Rinaldo! '' disse lei divertita.
'' Ti giuro mamma, è così, non me lo sto inventando. '' reclamò lui accigliandosi.
'' Su Micky, non farmi perder tempo e torna a giocare. '' mamma chiuse la finestra e si allontanò. La cascata
di capelli, sapientemente acconciata dalla parrucchiera di Porretta il giorno prima, inviò riflessi dorati,
magnificando la splendida luce di quella domenica mattina.
Micky tornò ai suoi giochi, supereroi di plastica con cui combatteva i mostri che volevano invadere la Terra,
muovendo i loro muscolosi e coloratissimi corpi tra l'erba del pratino all'inglese, una piscina prefabbricata e
i vasi di gerani rossi tanto cari alla mamma.
'' Buongiorno amore. '' il sorriso bello e sensuale del marito la raggiunse in cucina, intenta a preparare la
colazione.
'' Buondì Gervasio. '' disse lei tendendogli le labbra per un bacio senza pretese.
'' E' pronto il caffè? ''
'' Quasi, sta per arrivare, tesoro. '' lo sbuffo di una moka sul gas le dette ragione.
'' Micky è già fuori? '' riprese Gervasio sbadigliando.
'' Si è alzato insieme a me, ha bevuto una tazza di latte ed è corso subito in giardino a giocare. '' Riccioli
Biondi fece spallucce e versò il caffè.
'' Va matto per quei giocattoli. '' concesse il marito sbadigliando di nuovo, prendendo la tazzina piena quasi
fino all'orlo e spostando la tenda rosa messa di guardia per la privacy alla porta d'ingresso.
Unghie pittate sentì il tonfo secco di una tazzina che si frantumava sulle mattonelle in cotto e vide un
liquido nero ancora caldo e non assaggiato spandersi tra mille cocci bianchi, che senz'altro non avrebbe
potuto rimettere insieme.
Gervasio era immobilizzato e con lo sguardo atterrito.
'' Aiuto mamma... papà... '' urlò Micky da fuori.
'' Che cosa? '' anche lei andò a vedere. Un'ombra, un essere nero e indescrivibile, aveva preso di mira il loro
bambino e lo aveva costretto a rifugiarsi con le spalle al muro di cinta, poco più alto di lui ma sormontato
dalla rete metallica che gli rendeva impossibile la fuga.
Lo sconosciuto lo minacciava da vicino, sovrastandolo con la sua mole.
'' Lascia stare il mio bambinoooo! '' gridò la madre disperata, aprendo la porta e mettendosi le mani nell'oro
che aveva sul capo.
'' E'... è... un grosso... Barbapapà... '' sussurrò Gervasio che non credeva ai suoi occhi ed era come
imbambolato.
'' Aiuto papà, fai qualcosa. È cattivo. Mi vuole ammazzare! ''
'' Ci penso io, tu stai ferma qui. '' disse lui rianimandosi e rientrando in casa di corsa, mentre Miss
Colleborghino rifletteva sul da farsi. Gervasio attraversò la cucina calpestando i cocci bianchi della tazzina e
la chiazza di caffè che si stava raffreddando, andò nell'ingresso e da lì nel ripostiglio; recuperò una chiave
nascosta in alto, la inserì nella serratura e aprì un mobiletto a muro. Una balestra da caccia dormiva sul
ripiano di legno, in compagnia di quattro frecce con la punta in acciaio.
'' Vieni qua bella mia. '' Gervasio se la caricò a tracolla, prese due frecce e ritornò in cucina.
Ci mise diciotto secondi. Varcò la soglia, spostò la moglie (che era paralizzata) con un gesto rapido e
brusco, gettò una freccia per terra e con l'altra caricò l'arma. Barbapapà si trovava proprio di fronte al
bimbo e tra un attimo lo avrebbe...
Il padre imbracciò la balestra, tre chili di metallo, cavi d'acciaio, calcio in polimero, arco in fibra, ottica
mimetica. Innescò la freccia, la tirò verso di sé; la carrucola sviluppò una potenza di duecento libbre.
Dopodiché prese di mira un punto centrale nel corpo di quell'oscuro personaggio, laddove presumeva ci
fosse il cuore e, con un mix micidiale di rabbia, precisione ed eleganza, sparò.
L'errore più banale fu quello di credere che l'intruso avesse un corpo, che fosse fatto di carne e ossa, per
intenderci. In realtà, non era così. Non per niente chi lo aveva già visto all'opera lo aveva descritto come
un'ombra. Il secondo errore di Gervasio, forse troppo precipitoso e desideroso di abbattere quel bastardo,
fu quello di non essersi spostato, di non avere scelto una diversa traiettoria di tiro.
Fatto sta che la freccia, tremendamente efficace nella sua azione, compì il tragitto in un decimo di secondo,
attraversò il maledetto Barbapapà e si conficcò nel corpicino del bimbo, che sfortunatamente stava
tentando di scavalcare il muretto e la rete metallica, cui si era disperatamente aggrappato. La freccia non
colpì il cuore inesistente dell'ombra, bensì quello ricco di vita, gioia e sentimento di...
'' Mickyyyyy! '' Miss Colleborghino, gridando come una sirena d'allarme, si tuffò in giardino nella disperata
speranza di salvare suo figlio e inciampò nei vasi di terracotta, rompendone un paio, i cui fiori trovarono
un ultimo conforto nell'erba rasata di recente; l'ombra sembrò voltarsi verso di lei, anche se non aveva
volto. Gervasio era immobile.
L'intruso, che non ingoiava i morti, lasciò perdere il bimbo e si scagliò contro la donna che gli andava
incontro e, con raddoppiata violenza, la ricoprì di angoscia e fece sparire nel suo nero inferno i riccioli
biondi e i colorati ammennicoli del suo corpo.
Gervasio assistette alla scena con orrore crescente, mentre un assurdo figuro con le sembianze di un
cartone animato della sua infanzia, decretava la fine della sua famiglia. Lasciò andare l'amata e inservibile
balestra, che cadde sopra la freccia mai scagliata, vide l'assassino venire verso di lui mentre percepiva il
rimorso per avere maldestramente ucciso suo figlio, lo vide allargare ali inesistenti e abbracciarlo in un
indolore e quanto mai dolce contatto, ammantato di follia; sentì la vita scivolare via nel momento stesso in
cui espiava la sua colpa.
Rimasero sulla scena: una balestra killer, splendidi gerani rossi di cui nessuno si sarebbe mai più preso cura
e giocattoli che nessun'altra infantile fantasia avrebbe mai più fatto vivere.
E il corpo senza vita di Micky.

Ore 9.50
'' Ciao zio. '' disse allegramente la donna con il cagnolino al guinzaglio, che era appena entrata nella sua
azienda. Tommaso alzò il capo smettendo di caricare la legna sul cassone del camion.
" Ciao Stella, qual buon vento? ''
'' Ho corso un pochino, e anche camminato, sai che lui dopo un po' si stanca... '' disse facendo l'occhiolino
allo zio e indicandogli il suo cane.
'' Eh, Paperino. Un giorno, ne sono sicuro, riuscirai a starle dietro. '' disse mentre il dolce cagnolino si
staccò dalla padrona e andò a fargli le feste.
'' Ehi bello, frena l'entusiasmo, che ho da fare '' riprese lui con sorprendente tenerezza, prendendolo in
braccio mentre scodinzolava.
'' Ti vuole bene zio Tommaso. ''
'' Ed io voglio bene a lui, non è vero, campione? '' gli accarezzò la testolina con una grande mano ruvida.
'' Va' dalla tua padroncina. Qui c'è un sacco di cose da fare. '' Paperino scese dall'abbraccio di quell'omone,
annusò un ceppo di quercia lì vicino e si avviò in giro per l'azienda. Stella lo seguì, fece un giro panoramico
anche lei, poi finalmente lo acchiappò.
" Vieni qua tu, dico. Curiosone che non sei altro. " gli disse a mo' di rimprovero, quindi gli legò il
guinzaglio. Tommaso si rimise al lavoro, un operaio stava facendo lo stesso dando ogni tanto una
sbirciatina alla nuova venuta.
'' Tu, vedi di impegnarti! Codesto fottuto camion deve partire entro oggi. '' sbraitò il grande capo rivolgendosi
al suo dipendente senza mezzi termini.
'' Scusi il linguaggio, signorina. '' le sorrise.
'' Ok, fa niente. '' rispose lei arrossendo un po'. Grande capo si rimise a gettare i suoi pezzi di legno nel
cassone, ad una velocità doppia rispetto al suo sottoposto. Passò un po' di tempo, in cui Stella ammoniva il
cagnolino che, sebbene fosse legato, continuava a dar segni d’irrequietezza.
'' Un mio operaio è sparito poco fa... '' riprese Tommaso accendendosi una sigaretta.
'' In che senso, sparito? '' Stella fece una faccia buffa tra il curioso e l'incredulo.
'' Sparito, puff... volatilizzato, ecco. Merda! Oh scusa. '' lo zio riprese a gettare legna con la sigaretta tra le
labbra, poi continuò.
'' Capo, devo andare al bagno, mi fa. Io gli rispondo: va bene, solo fa' presto perché non abbiamo tempo da perdere, e lui:
ok tranquillo, non mi porto dietro il giornale. Sai come siamo fatti noi uomini, quando ci scappa la cacca... oh, scusa di nuovo. '' fece un gesto con la mano come a dire: porta pazienza.
Stella ascoltava, Paperino si era sdraiato in pacifica attesa e l'operaio lavorava.
'' Passano tre minuti, ne passano cinque, e lui non si vede. All'ottavo minuto, dico: quanto ci vuole per
cacare? Acc... scusa ancora, cara. ''
'' Fa niente zio. ''
'' Bene. All'ottavo minuto, dicevo, mi suona in testa l'allarme e vado a vedere cosa sta combinando. '' si era
alterato e ormai non chiedeva più scusa per le sue parolacce.
'' Busso alla porta di quel fottuto bagno: che ci fai l'uovo? Gli grido. Nessuna risposta. Busso più forte,
silenzio. Alla fine, preoccupato e incazzato, butto giù la porta e, sorpresa, il pezzo di merda non c'è! ''
scagliò un ceppo con così tanta rabbia, che questi scavalcò il cassone e andò a finire ben oltre il camion, su
un vasto tappeto di trucioli.
'' Che cosa può essergli accaduto, brutta ciribulla? ''
'' Te lo spiego io, bella. Il furfante ha chiuso quella serratura, è montato sul cesso, che non aveva certo
voglia di utilizzare per i suoi fantomatici bisogni, ed è fuggito dalla finestra; richiudendola, fra l'altro. È
passato dietro, di nascosto, ha preso la via del bosco ed è andato chissà dove. Dovevo immaginarlo, è
sempre stato un fannullone, figuriamoci farlo lavorar di domenica... '' finito il suo monologo, Tommaso
schiacciò con rabbia la cicca per terra.
'' Mi dispiace zio... '' disse Stella imbarazzata.
'' Giuro che domani lo licenzierò, se avrà la faccia tosta di ripresentarsi. '' il discorso era chiuso.
'' Beh, dai, non essere troppo brusco con lui. Mm, ora devo lasciarti, zio, voglio farmi una doccia e poi
andare a messa. ''
'' Vai vai, bella e salutami don Alderico. '' disse Tommaso con poco interesse. Stella si avviò all'uscita, dove
un arrugginito cancello verdastro la attendeva semiaperto, Paperino la seguì scodinzolando e muovendo
simpaticamente testa e zampe in perfetta sincronia.
'' Ah zio, non hai mica visto per caso Jan, stamattina? ''
'' Chi, il bel solitario? No, no. Bimba, cazzo, non è che ti stai innamorando? '' disse facendo l'occhiolino.
'' Dai zio, non dire cazzo... uh! Va bene, dico, mi hai contagiato. '' si tappò la bocca con la mano.
'' Eh sì, con il mio linguaggio scurrile, lo so. Domani sei già guarita. Ascolta figliola, poi ti lascio andare.
Suo padre ha lavorato per me, una ventina d'anni fa, anche di più. Era il più grande lavoratore che abbia
mai conosciuto. Fosse ancora qui, quel camion, sarebbe bello che carico e pronto per partire.'' e così
dicendo scoccò uno sguardo di ammonimento all'indirizzo dell'operaio. La campana suonò le ore dieci.
'' Io vado zio Tommaso, alle undici c'è la messa. ''
'' Salutami don Alderico. '' disse lo zio distrattamente. Poi si rimise al lavoro.
Stella e paperino si avviarono a casa.

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