Capitolo ottavo

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Si tuffò dall'alto del terrazzino della sua camera, lo yo-yo stretto fra le mani, e si involò sui tetti della città, pronta a risalire alla nuova vittima di Papillon. Ladybug non aveva idea di ciò che era accaduto, sebbene avesse il vago, giustificato sospetto che c'entrasse in qualche modo un maniaco dei capelli. Si domandò allora quale ragione avesse avuto per essere stato akumizzato, e mentre provava a vagliare una qualsivoglia ipotesi, scorse fra la folla impaurita la figura bionda di qualcuno che correva nel senso opposto. Senza perdere tempo, l'eroina planò nella sua direzione. «Adrien!» chiamò, spaventata che potesse accadergli qualcosa. Lui fece appena in tempo a voltarsi che Ladybug lo afferrò per la vita; ciò nonostante, il giovane non si fece cogliere impreparato e si tenne saldo a lei fino a che, dopo essere rimasti sospesi a mezz'aria per una manciata di secondi, non si fermarono sulla terrazza de Le Grand Paris, l'hotel della famiglia Bourgeois.

   «Tutto bene?» s'interessò subito di sapere la ragazza, mostrando una certa apprensione per la sua incolumità.

   «Sì, grazie», rispose Adrien, contento che lei fosse arrivata al momento opportuno. Aveva lasciato da poco Nino e si era già immesso sulla via di casa, quando sotto le prime gocce di pioggia aveva iniziato a notare qualcosa di strano fra la gente di Parigi. Si era perciò messo a correre verso il posto da cui sembravano fuggire tutti e, soprattutto, in cerca di un luogo sicuro in cui effettuare la trasformazione in Chat Noir.

   Ladybug sembrò tranquillizzarsi, ma non riusciva ad imporre al proprio cuore di smetterla di martellare in petto: davanti a sé aveva Adrien, colui che asseriva di amarla. Marinette lo sapeva e sapeva che teoricamente nulla era cambiato rispetto a quando si erano visti a scuola, quel giorno; eppure adesso lei indossava la maschera, quella che la faceva apparire una persona diversa agli occhi dell'amico. Prese fiato, imponendosi la calma. «Resta qui.»

   Lui aggrottò la fronte. «Come?»

   «Non muoverti, potrebbe essere pericoloso.»

   «Credi che non lo sappia?»

   «A maggior ragione», continuò allora Ladybug, iniziando di nuovo a roteare lo yo-yo in aria e avvicinandosi al bordo del terrazzo. «Cerca riparo all'interno dell'albergo, sarai al sicuro.»

   Adrien temette di essersi perso qualche passaggio. «Vengo con te, ti aiuto.»

   «Non è un gioco», ribatté l'altra, non capendo il perché di quell'atteggiamento incosciente. Cosa voleva fare? Dimostrarle il proprio coraggio con la speranza che lei ricambiasse il suo amore? Quello già lo faceva, tuttavia non aveva alcuna intenzione di farglielo sapere. «Ci penseremo io e Chat Noir a sistemare le cose.»

   Fu sul punto di lanciare lo yo-yo a mo' di rampino, ma Adrien le bloccò il braccio, costringendola a voltarsi di nuovo nella sua direzione. «Mi prendi in giro?» Ci fu un lungo, silenzioso, confuso scambio di sguardi. «Marinette, sono io!»

   Ladybug sussultò, finendo con il lasciare la presa sulla propria arma, che le piombò dritta in testa, facendole scappare un verso di dolore. «M-Marinette?» farfugliò, cercando di ridere dell'errore del giovane. «Adrien, ti sbagli... Io sono Lad...»

   Le parole le morirono in bocca quando lui aprì la cerniera della borsa che portava a tracolla, lasciandovi uscire un piccolo esserino nero dalle orecchie a punta. «Sai, Adrien», iniziò Plagg, fissando però lei con una certa perplessità, «quanto a cervello siete fatti l'uno per l'altra.»

   Ladybug si lasciò scivolare lo yo-yo dalle dita, la mascella spalancata, gli occhi sbarrati. Era del tutto incapace di dire o fare alcunché, tanto che Adrien sospirò sconsolato. «Diamine, di che cavolo abbiamo parlato, allora, stamattina?!»

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