Capitolo 10

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Ci addormentammo abbracciati. Nessuno avrebbe potuto cancellare dalle nostre memorie quanto accaduto e conquistato in quella stanza. Chiara sembrava una bambina: la testa appoggiata sul mio petto, le braccia abbandonate e le gambe che cingevano i miei fianchi. Di tanto in tanto mi scuotevo da quel sopore per guardarla e per convincermi che non stessi sognando. Sembrava una bambina addormentata con accanto il suo orsacchiotto. Ascoltavo il respiro rilassato, perdendomi dietro quegli occhi socchiusi. Avrei voluto impossessarmi del suo viso, stringerlo tra le mani e continuare con i baci fino a consumarlo; ma avrei finito per svegliarla, riportandola alla realtà. Ed io questo non lo volevo. Che cosa era Chiara per me? Perché mi ero innamorato così tanto di lei? Io? Io che avevo giurato di non volermi più buttare a pesce in nuove avventure, mi ritrovavo all'improvviso avvinghiato a quel la storia, a quella donna. Una donna: già proprio una donna! E che ne era delle precedenti? Non erano forse "donne" anche loro? O forse, non avevo mai avuto il coraggio di misurare la loro maturità, limitandomi ad assaporarne solo la "femminilità". Amavo quella donna. L'amavo per la sua dolcezza, per il suo carattere così fragile eppure così ribelle e volitivo. L' amavo per le delusioni avute, per la forza con cui aveva reagito. Volevo essere colui che le avrebbe regalato quella felicità, che tanto aveva cercato nelle sue vecchie storie amorose di ragazzina. La volevo mia, per sempre. Poco importavano i problemi che avremmo incontrato. Poco importava se Chiara ancora non mi amava. Sì, sapevo che non mi amava. Ma così come mi aveva detto "ti voglio bene!" avrebbe avuto il coraggio, un giorno, di confessare che si era accorta di amarmi: e quel giorno, ne ero più che sicuro, non era lontano dall'arrivare.

I giorni scivolarono rapidamente e la storia con Chiara andava sempre più assumendo contorni decisi e stabili. Ora lei preferiva venire da me, per la pausa del pranzo, piuttosto che mangiare in quel piccolo bar con i colleghi di lavoro. I nostri incontri si erano fatti meno saltuari. Ci vedevamo a colazione tre volte alla settimana ritagliandoci un piccolo spazio tutto per noi. Non era molto, è vero, ma era già importante che lei avesse scelto di riconoscere, quella in via della Scala, come la "nostra" casa. Avevamo appena un'ora per stare insieme; mangiavamo in fretta per allungare i nostri discorsi e le nostre discussioni. Chiara apprezzava molto la mia "cucina" anche se non gradiva il gusto piccante con il quale, nei primi tempi, esageravo sui condimenti. Era diventata la nostra piacevole abitudine, quella di ritrovarci per mangiare insieme. Tra piatti, posate e bicchieri si intrecciavano le nostre confidenze. Avevamo solamente un'ora, ma per noi era già tanto. Non potevamo vederci spesso nelle altre occasioni. La bambina ed il mio lavoro riempivano completamente le nostre giornate limando immancabilmente le possibilità di un incontro. Quell'ora di pausa, ritagliata dal lavoro, era importante ed irrinunciabile per noi. A volte accadeva anche di non toccare cibo, preferendo fare l'amore. Devo dire che proprio in quel tempo in me è maturata la reale convinzione che l'amore sia un toccasana per la dieta, specialmente quando ci obbliga a saltare i pasti!

L' eccitazione ci prendeva improvvisa. Bastava che sfiorassi appena Chiara o che la stringessi a me, per capire il suo "stato volitivo". Non c'era neanche bisogno di chiederci se ne avessimo avuto voglia. Partivamo di colpo, per finire a letto, amandoci con una passione crescente. Lei stessa si stupiva di questo fatto. Chiara, che aveva sempre preferito uomini "maturi" e ben più grandi di età, aveva finito con l'ammettere di essere rimasta sensualmente sconvolta, da un "piccolo trentaduenne", un coetaneo di tanti giovanotti superficiali ed immaturi. Chiara si stava appassionando alla nostra storia e spesso mi confidava la paura di potermi perdere. Paura che un giorno, stanco di lei, avessi preso la decisione di abbandonarla. Paura di perdermi! Perché? Per quale causa, per quale motivo? Forse lei non credeva ancora nel mio amore? O forse non credeva al suo? Quante volte le ripetevo per tranquillizzarla che lei era la donna della mia vita, era lei quella che avevo cercato per tanto tempo. Fino a diventare noioso le spiegavo il mio "innamoramento", il mio desiderio di dividere con lei il resto dei giorni; ma la vedevo titubante, incerta...

I dubbi più forti erano causati dalla bambina. Chiara, pochi mesi dopo, avrebbe ottenuto il divorzio e ciò, di conseguenza, la rendeva una donna libera. Tra l'altro, Camillo si era già preoccupato di scegliersi una nuova compagna, troncando ogni dubbio su un ipotetico ripensamento di tornare a fare vita coniugale. La bambina, sarebbe cresciuta quindi, a rigore di logica, con un papà e due mamme e questa scelta non piaceva troppo a Chiara, alla mamma vera! Vanessa, anche se piccola, aveva sofferto della separazione e spesso chiedeva del papà, domandando perché non tornava a casa o quando sarebbe tornato. Presentargli un "nuovo papà" non era certo educativo per la piccina e tanto meno pensabile per Chiara. La bambina doveva, per forza di cose, rimanere estranea alla nostra storia. Per questo, ogni volta che il discorso sfiorava l'ipotesi "convivenza", Chiara si ombrava, diveniva timorosa per quei pensieri portatori di complicazioni. Capivo le sue scelte e piegavo la mia volontà a non insistere. Era una bella fatica, comunque, a nascondere il desiderio. Mi sembravo come un bambino che aspetta la notte di Natale: vedere tutti quei regali sotto l'albero, affascinato dalla curiosità di cosa potrebbero contenere quei pacchetti colorati e, a malincuore, non poterli scartare se non il giorno dopo. Oltre quella curiosità non potevo spingermi. Chiara non me lo permetteva.

Per favore, non lavarmi la caffettieraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora