Capitolo 3

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Due pomeriggi più tardi, Chiara tornò di prepotenza nei miei pensieri. Stavamo montando la puntata in Ampex e tra i tanti volti, compressi dal primo piano televisivo, apparve quello di Chiara, con la stessa indescrivibile tristezza.

-E' la mamma di questa bambina che canta- mi informò il montatore.

-Vanessa De Julis, ha sei anni e frequenta la prima elementare del Montessori!- precisò la segretaria di produzione che assisteva al lavoro. Un sorriso a ventisei pollici si stampò sulle mie labbra. Ora potevo dare un nome a quel volto, potevo tentare di rintracciarla. Ma come? E in che termini? Con quale scusa le avrei telefonato? Cosa le avrei detto? Poco importavano in quel momento le risposte; per me, quella era già una conquista. Certo ero digiuno, da più di due anni, di conversazioni amorose e corteggiamenti e sapevo anche che lei era "soprattutto" una donna sposata. Mi sentivo combattuto se cercarla oppure dimenticare la storia. Il dubbio non faceva altro che alimentare la mia curiosità e il desiderio di rivederla. Un desiderio che mi faceva ritornare bambino, quando ci si emoziona per un regalo inatteso o solamente per aver ritrovato nelle tasche una caramella che credevamo mangiata da tempo. Stranamente, non ricordavo la sua voce. In mente avevo impresso tutto di lei, ma non la voce. La sua figura era muta, proprio come quella vecchia fotografia che mi aveva fatto pensare a lei: può raccontarti mille particolari, ma non potrà mai portarti alla mente i rumori che la circondavano. Chiara era così: fisicamente impressa sulla carta, ma mancavano i rumori di quel giorno e, ciò che era più triste, mancava la sua voce.

-Pronto, parlo con la signora Chiara?- soffiai nella cornetta con tono estremamente distaccato e professionale.

-Si, sono io, chi parla?-

Ora, finalmente ascoltavo la voce e sembrava che quel suo modo di parlare fosse per me familiare, come un tono che avevo sempre udito. La voce si adattava perfettamente al ricordo di lei. Una voce dolce che si coniugava, come il burro con il miele, a quel viso. I suoi capelli, biondi e sottili, tagliati a caschetto, gli occhi vivaci e profondi, la bocca morbida e rossa, non potevano che avere quella voce piena di dolcezza. Era naturale che da tanta dolcezza fisica ne derivasse altrettanta dalla sua voce. Il cuore mi batteva a mille e mi sentivo emozionato come i bimbetti canterini che avevo ascoltato la settimana prima in televisione. In breve, spiegai il motivo per cui l'avevo chiamata: era solamente per ricordarle che la sera stessa sarebbe andata in onda la puntata relativa alla sua bambina. Il discorso scivolò sulle impressioni avute quel sabato pomeriggio, sulle emozioni della piccina nel presentarsi davanti alle telecamere e tante altre banalità che cercavo di condire con il tono curioso di chi vuole presentarsi gonfio di candida ingenuità. Cercavo in tutti i modi di allungare il discorso: volevo che quella nostra telefonata durasse in eterno, per non lasciarla andare più via, come avevo fatto la settimana avanti. La richiamai il pomeriggio seguente! La scusa era ancor più banale: avere dei giudizi e suggerimenti su quanto trasmesso dalla tivù. La mia era soltanto una scusa, ma da quella conversazione, durata centottanta minuti, iniziò la nostra storia.

-Vivo con la bambina e sono separata da un anno e mezzo- mi raccontò, quando il nostro discorso scivolò su argomenti più personali.

Qualcosa di magico sembrava essersi costruito intorno a quel telefono: ci stavamo parlando come vecchi amici che si ritrovano dopo tanto tempo. Incredibile a dirsi! E' forse questa la magia dell'innamoramento: scoprirsi complici senza nemmeno conoscersi. Neanche la differenza di età (Chiara aveva trentasei anni) sembrò essere una cosa importante. Da quel telefono uscirono lentamente le storie dei tradimenti delle rispettive metà, il valore che si dava agli affetti e il significato che per noi aveva un rapporto di coppia, la vita e l'amore. Era strano parlare d'amore senza conoscersi ed era ancor più strano confidarsi dei piccoli segreti senza il bisogno di fingersi diversi da ciò che, realmente eravamo. Fu durante il dialogo che seppi di un esame che avrebbe dovuto sostenere l'indomani per un concorso. La preoccupava la paura di non riuscire. Teneva troppo a quel posto di lavoro e non avrebbe voluto perderlo, per nessuna ragione. Parlava senza quella tipica civetteria che spesso traspare in una donna lusingata dall'approccio di un uomo. L'avevo immaginata diversa da tutte le altre incontrate in precedenza e tale la scoprivo con il passare dei minuti. Sapevo che non avrei più fatto a meno di Chiara e che non avrei rinunciato a questo nostro pacato discutere e confidarsi. Quella notte la sognai. Non era un sogno "erotico", tutt'altro. Sognai di tenerla stretta tra le mie braccia assaporando il calore del suo corpo. Mi parlava delle preoccupazioni che ricorrevano nei suoi pensieri. Non sognai di fare l'amore con Chiara, la tenni stretta ascoltando quei dubbi che aleggiavano nella stanza come bianche farfalle innocenti. Ancora una volta, era il sentimento di protezione che tentava la mente innestandovi teneri germogli d'amore. Sì, lo ammetto, forse è stata la sua fragilità, la tenerezza di essere donna così diversa dalle altre incontrate a farmi innamorare. Innamorarsi... che strano, però! Da quando avevo chiuso la mia storia con Marta, non avevo più pensato all'amore e tanto meno all'innamoramento. Marta aveva rappresentato una bella fetta della mia vita eppure, ora, sembrava da me lontana mille anni. Che cosa era rimasto di quella storia? Possibile che ora non provavo più nulla per lei? Cosa era rimasto dei nostri giorni felici, delle nostre passioni, del nostro fare all'amore, dei piaceri vissuti con lei? Cosa era rimasto di quella lunga convivenza? Avevo vissuto due anni, senza mai domandarmi cosa fosse l'amore e senza mai cercarlo, per poi sciogliermi dai legami del passato solamente per una conversazione telefonica. Mi ritrovavo nel sonno accanto a Chiara con sentimenti di una castità e pudicizia ineguagliabili. Avevo paura di ferirla, farle del male se solo avessi sfiorato con un dito la sua pelle. Non era un sogno di desiderio. Forse era, solamente, una premonizione di quello che domani sarebbe poi accaduto! L'esame andò benissimo e la sera quando le telefonai apprezzai quella nuova euforia che si era impadronita di lei. Era l'euforia di aver conquistato qualcosa di importante. Riconobbi la stessa euforia che mi aveva allagato il cuore il giorno che avevo avuto la certezza di poterla rivedere.

-Non avresti dovuto mandarmi quei fiori! Non ne vedo il motivo- disse Chiara all'improvviso, come se volesse togliersi subito un peso dallo stomaco.

La sua voce non era fredda, ma un po' tremante, quasi che non riuscisse a trovare le parole giuste per far comprendere la sua indisponibilità a un legame. Chiara stava tentando di allontanarmi dalla sua vita, eppure capivo che soffriva ad ammetterlo. Quel mazzo di fiori che le avevo mandato aveva scatenato in lei sentimenti contrastanti.

-Ti sono piaciuti sì o no quei fiori?- sbottai io, troncandole il discorso.

-Ma sì che mi sono piaciuti! Ma è solo che...-

-Quale è il problema?-

-Non dovevi!-

-E perché mai?-

-Perché non dovevi... ecco!-

Mi presi una pausa prima di continuare il duetto.

-Senti, Chiara, ti ho mandato i fiori come un semplice gesto di amicizia. E' vero non avrei dovuto, ma mi sembrava opportuno farlo, proprio in questo momento, così importante per te.-

Mentivo spudoratamente a lei e a me. Quei fiori avevano un significato ben diverso dalla semplice amicizia.

-Non dovevi comunque! Sai, sono rimasta imbarazzata con mia figlia. Da oggi pomeriggio non fa che chiedere chi mi abbia mandato quei fiori. Non voglio che in questo momento ci sia qualcosa che turbi il rapporto tra me e lei.-

Un mio lungo sospiro che sembrava fosse l'infinito.

-Non so quello che mi stia succedendo! Ho scoperto di provare un sentimento che mai avevo conosciuto in me. Potrei dirti che ti amo, che sono innamorato di te, ma rischierei di passare per pazzo. Ecco, mi sembra di conoscerti da una vita, come se tu mi fossi già appartenuta in un tempo lontano. Io non ti posso amare ancora e tanto meno posso parlare d'amore con te, ma sappiamo benissimo entrambi che c'è qualcosa di magico tra di noi, che ancora non riusciamo a definire. Non voglio entrare nella tua vita se non ne hai il piacere che accada. Non voglio obbligarti a nulla. Non ne ho diritto. Ho solo il desiderio di continuare queste nostre conversazioni serali. Non chiedo e non pretendo nulla da te, solo il permesso di sentirti al telefono. I fiori hanno questo significato, Chiara!- La mia fu una reazione pacata e convincente e assolutamente imprevista da lei. Si era preparata per sostenere una battaglia, indossando elmo e corazza pronta a respingere gli assalti dei cavalieri cattivi e, invece, aveva scoperto che il nemico si era arreso già prima di combattere.

Per favore, non lavarmi la caffettieraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora