Capitolo dodici: Un'ipotesi.

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Ed invece evitò me e anche la scuola. 

Scorrendo l'elenco, l'insegnante della prima ora arrivò al suo cognome, e non ricevette risposta.

"Leone, ha notizie di Conti?" la professoressa alzò lo sguardo dal quadernone blu, abbassando gli occhiali dalle spesse lenti sul naso aquilino, e lo puntò su di me con fare indagatore. 

"No, professoressa, mi dispiace ma non so darle notizie della mia compagna." 

'Sarebbe bello sapere dove cazzo sia anche per me' pensai, rilasciando uno sbuffo sonoro ed accasciandomi sulla sedia. 

"Che dice, signorina "sbuffo", invece qualche notizia sul capitolo 8, assegnato per oggi, me la sa dare?" evidentemente aveva notato la mia reazione, e decise che per quel giorno avrebbe scaricato le sue frustrazioni proprio su di me, che mi ero addirittura permessa di sbuffare per una sua domanda! –quando in realtà, sbuffai perché non sapevo assolutamente nulla di Martina e di dove fosse in quel momento e la cosa mi infastidiva non poco. 

"Ma, professoress...!" "Niente ma, Leone, prego, si accomodi qui, vicino alla cattedra, ed esponga per bene ciò che sa, sempre ammesso che sappia qualcosa...

Ed io l'avrei anche sostenuta, quell'interrogazione, se la donna si fosse fermata prima dell'ultima insinuazione, subdola e cattiva, pur sapendo che io raramente mi permettevo di presentarmi a scuola senza aver studiato, e non avesse scaricato ulteriori delle sue frustrazioni da donna di mezz'età su di me. 

Solo che quell'ultima allusione proprio non mi piaceva, e purtroppo per me, per lei e per il mondo intero la sottoscritta è alquanto impulsiva e permalosa, specialmente se sa di avere ragione, e quel giorno avevo già i miei grilli per la testa, figuriamoci dopo quella frase. 

"Con piacere, signora professoressa, ma mi auguro che sia pronta a ricacciarsi in bocca con l'imbuto quell'insinuazione da quattro soldi, dopo che le avrò dimostrato di sapere effettivamente qualcosa, altrimenti sarò costretta a ficcarcel-...

"BUONGIORNO! Scusate il ritardo!" A salvarmi, come sempre da cinque anni a quella parte, ci pensò –seppur involontariamente- proprio la causa delle mie disgrazie di quella mattina: Martina Conti. 

Era entrata tutta trafelata, senza bussare e col fiatone, mandando in fumo il mio tentativo di polemica, e di conseguenza mettendomi in salvo. L'ha sempre fatto, e se non fosse stato per lei, non avrei mai messo a freno la mia lingua lunga, ma lei ci riusciva sempre: le bastava stringermi la mano, darmi un colpetto con la coscia, una gomitata o qualche altra piccola pacca ed avvertirmi. "Alessia...", qualche volta seguito da un "calma..." erano le parole che mi convincevano a desistere dallo scontrarmi con i professori un giorno sì e l'altro pure. 

"Benissimo, Conti, prego, non stia a raggiungere il suo posto: rimanga qui per l'interrogazione, che la sua amica Leone stava proprio per raggiungermi alla cattedra. Non è forse vero, signorina?

"Verissimo, professoressa." Presi la sedia e mi diressi al patibolo con un sorriso in volto falso come Giuda, e pregando nella mia mente che qualunque entità superiore esistesse lassù, me la mandasse buona, perché io, in realtà, quel capitolo l'avevo studiato Mercoledì, credendo di poterlo riprendere in mano il Venerdì mattina -cosa che, trovandomi ancora a Bologna, non avevo fatto.

*

"Io quella lì l'ammazzo." borbottai uscendo dal portone principale del liceo, con a fianco Martina. Ed il fatto che, dopo cinque ore, ce l'avessi ancora con la professoressa che avevo visto l'ultima volta alle nove di quella mattina, la diceva lunga, e questo Martina lo sapeva bene. 

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