Capitolo diciotto: Domande scomode.

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Conoscendomi, avrei dovuto sapere che l'omertà ed il mio essere non sono due cose che vanno troppo d'accordo. In ogni caso, me ne resi conto per l'ennesima volta la mattina successiva al bar, quando riferii della chiamata con Allen alla mia migliore amica mentre facevamo colazione, incapace di tacere a proposito. 

Sapevo che alla fine del mio racconto mi sarei dovuta sorbire migliaia di sproloqui a riguardo ed ore delle sue teorie ed elucubrazioni, che andavano perfezionandosi a seguito di ripetuti silenzi durante le ore di lezione, in cui la mia amica si assentava totalmente, assumendo un'espressione assorta, gli occhi fissi sul nulla. 

Poi scattava come una molla, improvvisamente, facendomi prendere degli accidenti, pronunciando la sua sentenza rinnovata e migliorata. Io semplicemente scuotevo la testa, stanca di ripeterle opposizioni che di certo non avrebbe mai preso in considerazione. 

Al termine delle cinque ore le sembrava di aver formulato un pensiero abbastanza solido e convincente da potermelo esporre nel dettaglio, cosa che fece nell'assoluta riservatezza dell'atrio scolastico pieno di studenti all'una e due minuti, mentre eravamo schiacciate nella calca per uscire dall'edificio. E, come se non fosse già abbastanza, discorreva con il tono più forte di quanto fosse decoroso per divulgare simili informazioni: insomma, non stavamo mica parlando di ignoti lì, in mezzo a quella ressa! 

"Non riesco a non dire il contrario: gli piaci. E non puoi avanzare ogni volta come scusa quella del suo matrimonio! Magari è solo una sbandatella... O magari no.

"MARTINA CONTI! Come cavolo puoi anche solo farti passare per l'anticamera del cervello delle robe simili?!" mi irrigidii sul posto, in evidente difficoltà: proprio non voleva intendere, vedeva malafede anche dove io ritenevo non ve ne fosse traccia. 

"Alessia Leone, ascoltami: ci sono troppi atteggiamenti che non posso ignorare, e se tu sei così ingenua da non accorgertene, è mio assoluto dovere darti una svegliata." incrociò le braccia al petto con fare altero. "Macché dovere e dovere, Marti, non sono ingenua: semplicemente non vedo secondi fini nel suo comportamento. E poi, mica è detto che la sua presunta sbandata sia ricambiata... Ricordati bene chi interessa a me." scacciai quei brutti pensieri come una mosca fastidiosa, con un gesto della mano eseguito con fin troppa enfasi. 

"E se col tempo, invece, maturassi un interesse per AJ?" proprio non voleva escludere nessuna opzione, quella testa dura. "Lo escludo, onestamente." scossi di nuovo la testa con veemenza.

Lei fece un sorrisino malandrino: "Mai dire mai, no?". A quel punto sbuffai, esasperata: "Ma da che parte stai, oh? Lo escludo, e stop. Sai benissimo che parliamo di un uomo coniugato e con bambini. Io non farò mai la sfasciafamiglie, mai. Chiaro?" stavo cominciando realmente a stufarmi: io ed Allen non saremmo mai stati niente, se non buoni amici, e la questione era da chiudersi immediatamente. 

Non avrei mai rovinato la sua famiglia e la sua reputazione, causando un trauma a dei bambini, che si sarebbero ritrovati coi genitori separati ed un padre con accanto una fidanzata che sarebbe potuta essere una loro sorella. No, mai, mai e poi mai. Sapevo cosa volesse dire avere una famiglia sfasciata come un auto dal demolitore, e non avrei mai causato lo stesso destino ad un'altra, per di più una felice come quella di Allen. 

Ormai eravamo arrivate alla stazione degli autobus, e stavamo per andare ognuna verso la sua corsia ad aspettare il mezzo con cui saremmo tornate a casa, ma ovviamente finché Martina non sosteneva che un discorso fosse terminato, quello non lo era e basta. 

"Com'è che ti sento tirare fuori sempre le solite motivazioni, ma non ti sento mai dire 'No, Marti, ma scherzi, Allen mi fa schifo!'? Che effetto ti fa AJ, Ale?" quella era una domanda scomoda per me, e questo la mia migliore amica lo aveva compreso studiandomi attentamente fin da quel benedetto quattro di Maggio: non che fossi totalmente pazza di Allen, anzi. Talvolta il suo personaggio sul ring sapeva darmi sui nervi come pochi, in modo particolare al microfono: la sua sfrontatezza ed il suo credersi costantemente superiore a chiunque mi urtava seriamente il sistema nervoso. Come wrestler, però, se la cavava bene, quello dovevo ammetterlo. Ed anche fisicamente, nonostante non fosse particolarmente alto, e non apprezzassi troppo gli uomini che portavano i capelli lunghi -specie se più dei miei-, dovevo ammettere che non era affatto male. Comunque, il personaggio AJ Styles era totalmente fuori da ogni mio gusto. 

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