|--Nel testo sono presenti riflessioni del protagonista, distinguibili dal normale testo dalla presenza di un diverso tipo di scrittura e delineati da {}.
Schieramenti presenti nel racconto:
USC (United States Cooperatives) - Stati Uniti ;
MR (Mass Receptors) - Corea del Nord --|Ore 22:00 | Cancelli di Athene
Finalmente sapevo cosa fare, mi sarei diretto ad Octavia e avrei ripristinato i ponti radio tra le varie città alleate. Da quanto sono riuscito ad apprendere, quella città vanta una vasta gamma di strumentazioni all'avanguardia, che permettevano alle forze locali di restare in contatto tra loro e, anche se non sono sicuro di ciò, di decriptare le comunicazioni nemiche. Dopo pochi minuti di cammino raggiunsi finalmente i Cancelli della città, enormi portoni di ferro, rinforzati con ulteriori piastre metalliche. Erano riusciti ad erigere tutto ciò in così poco tempo, è stata una resistenza disperata, soltanto ora capisco quanto la paura della morte possa spingere l'uomo ad evolversi e a cercare un modo per sopravvivere. Ai lati dei portoni vi erano delle torri, una per lato, sulle quali, dei soldati, armati di un fucile di precisione e di un binocolo, controllavano coloro che chiedevano di entrare o uscire dalla città. Rivolsi il mio sguardo alla torre di destra, il cui soldato, posto in cima, mi riconobbe e prontamente aprì i portoni. Non appena egli avviò l'apertura, una sirena d'allarme, collegata evidentemente con il sistema di apertura, iniziò a suonare, accompagnata dall'accensione di molteplici luci di segnalazione rosse. Sembrava che dinanzi a me vi fossero le porte dell'inferno, spalancatesi per accogliere la mia dannata anima. Quando i Cancelli furono finalmente aperti il soldato mi fece segno, indicandomi di procedere.
Ripresi quindi a camminare, attraversando quegli enormi portoni di ferro e speranza. Giunto fuori dalle mura sentii dietro di me chiudersi i portoni e, dopo che le sirene cessarono di suonare, il silenzio mi avvolse, speravo mi avesse abbandonato, ma, evidentemente, così non è stato. La strada per Octavia era lunga, ben venti chilometri da percorrere a piedi, in completa solitudine, circondato solo da cenere e ricordi.Ore 22:20 | Verso Octavia
La strada non era illuminata, non una singola luce illuminava il mio cammino, decisi quindi di prendere la torcia, che avevo riposto nello zaino, prima di fuggire, così da poter vedere almeno dove stessi mettendo i piedi. Ero consapevole che probabilmente ci avrei impiegato ore per arrivare ad Octavia, venti chilometri da percorrere a piedi non sono poi così pochi. Avrei dovuto assolutamente trovare un modo per impiegarci meno tempo, Edwards e tutti gli abitanti di Athene contavano su di me. Continuai a camminare, armato di coraggio, ma allo stesso tempo completamente avvolto dalla paura. Temevo di non essere all'altezza delle speranze riposte in me, ma dovevo continuare, dovevo andare avanti e abbattere ogni ostacolo che mi si fosse presentato dinanzi, lo avrei fatto non solo per salvare le persone a cui tengo, ma per tutti coloro che lì fuori continuano a combattere e cadere in battaglia, ora dopo ora. "Quanto lontano avrei spinto la mia mente e il mio corpo, in questo viaggio?", questo pensiero non faceva che ronzarmi per la testa, non avevo null'altro da fare, se non pensare, per chilometri e chilometri. "Edwards ha parlato di alcuni soldati nemici in grado di librarsi in aria, chissà cosa intendesse dire con ciò, non ho mai sentito parlare di un equipaggiamento militare del genere. Ha anche detto che erano in grado di generare onde di energia dai palmi delle loro mani.." in quel momento mi tornò alla mente il ricordo di quanto accaduto a Selvaste, la mia città natale, solo in quel momento realizzai che probabilmente non ero l'unico nè il primo in grado di compiere tali gesta. "Se solo sapessi controllare questo potere che continuo a reprimere.. magari potrei raggiungere anch'io il loro livello.. o andare oltre.." ero deciso a superare i miei limiti, ma prima di poter essere in grado di farlo avrei dovuto raggiungerli. Riposi il mio zaino su una roccia, decisi di riposarmi per qualche minuto, prima di riprendere il cammino. Il cielo era scuro, un fitto strato di nuvole e ceneri ostacolava la vista della luna, il cielo era completamente nero, così come il sentiero che mi avrebbe condotto ad Octavia. "Non riuscivo a smettere di pensare alla visione avuta poco fa, non sapevo se fosse stato un sogno o se davvero quell'uomo fosse riuscito a mettersi in contatto con me, in qualche modo, diceva di essere mio padre e che noi non siamo come tutti gli altri, che siamo speciali, chissà cosa intendeva dire.. Ricordo che mio padre, purtroppo, venne a mancare quando ancora ero un neonato, caduto sul campo, dissero. Si arruolò non appena divenne maggiorenne, svolgendo il servizio di leva. Mia madre mi ha sempre raccontato che amava il suo lavoro e la sua famiglia e avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerci, non saprò mai cosa gli è realmente accaduto e probabilmente neanche mia madre ne è al corrente". "Mi manchi papà", dissi tra me e me, "Vorrei che fossi qui per proteggere me e la mamma.. lo vorrei tanto. Manchi tanto ad entrambi, anche se non ti ho mai conosciuto veramente". Una lacrima mi attraversò il viso, non riuscì a trattenerla, non è semplice trattenere certi pensieri. Non riuscivo a smettere di fissare a terra, con lo sguardo perso, ero perso nei miei pensieri. "Mancate anche a me, mi dispiace per quello che vi è stato detto e per la sofferenza che vi ha provocato ma, non c'era altro modo.", quella voce, l'avevo già sentita, nella mia visione, poche ore fa. Alzai lo sguardo e a pochi metri da me vidi lo stesso uomo presente nel mio sogno, vidi mio padre. A differenza dell'apparizione in sogno, questa volta, indossava un uniforme militare, probabilmente la stessa che gli preparò mia madre, l'ultima volta che lo vide. "Kyle, so quanto tu e tua madre abbiate sofferto in questi anni, pensando che io fossi scomparso, credimi, vi ho osservato per tutti questi anni, senza poter intervenire, non mi era permesso interferire con le vostre vite", prima che potesse dire altro, lo interruppi dicendo: "Era anche la tua vita. Facevi parte delle nostre vite e ci hai abbandonati. Hai detto che ci hai osservati per tutto questo tempo ma non hai fatto nulla per aiutarci. Dove eri quando mia madre passava intere notti insonni a piangere, pensando a te. Tu non c'eri, papà. Avrai anche visto tuo figlio crescere e tua moglie invecchiare, ma che senso ha avuto tutto ciò? Essere spettatori di una vita che avresti potuto vivere, ma che hai scelto, semplicemente, di restare ad osservare.. in silenzio.", comprendevo la durezza di queste mie parole, ma non avrei saputo in che altro modo esprimermi, nè sapevo se stessi realmente parlando con un essere reale o una sciocca allucinazione. "Non ho preso questa decisione di mia spontanea volontà, purtroppo mi è stato imposto. Come già ti ho detto, Kyle, noi non siamo come tutti gli altri, siamo migliori delle persone con cui hai condiviso la tua vita, abbiamo compiti diversi dai loro, obblighi diversi. Non ho scelto di abbandonare te e tua madre, non approvavo quella scelta, ma ho dovuto farlo. E' giusto che tu sappia la verità, ma, non è questo il momento. Sono fiero del ragazzo che sei diventato, non avere paura di affrontare le tue battaglie, io non ne ho avuta", così continuò. Si voltò, probabilmente era intenzionato ad andare via, ma ruppi il silenzio: "Perchè sei tornato?" e lui rispose, voltando leggermente la testa: "Questa non è una guerra come tutte le altre, non è come sembra e te ne sarai sicuramente reso conto a Selvaste. Non è una guerra di soli uomini, non una guerra di piombo e sangue. Potenti forze sono state scatenate, qualcuno doveva pur affrontarle. Pensavano fossi pronto, ma ho chiesto di tornare per controllare il tuo operato. Continua così, sono compiaciuti del tuo lavoro, anche se non si aspettavano tanto potere". Mi diede una risposta che mi suscitò non pochi interrogativi. Cercai di avvicinarmi e prenderlo per un braccio ma, non appena fui abbastanza vicino da poterlo toccare egli disse: "Ci incontreremo più avanti Kyle, continua così" e scomparì, dinanzi ai miei occhi. Ero di nuovo solo, senza un'idea per percorrere rapidamente la distanza che mi separava da Octavia, avrei dovuto pensare a qualcosa e anche in fretta. {Finalmente qualche frammento del mio passato inizia a ricomporsi, chissà dove mi avrebbe portato questa avventura, se non alla scoperto di me stesso, alla scoperta del mio vero io}
STAI LEGGENDO
L'ultimo giorno
Science FictionKyle era un adolescente come tanti, conduceva una vita semplice. Nei suoi primi anni, aveva perso il padre, lasciando sua madre a crescerlo da sola. Nonostante la mancanza di una figura paterna, Kyle non sembrava risentirne, almeno non lo dimostrava...