LA DONNA | CAPITOLO 03

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Quella sera smisi di suonare solamente quando anche l'ultima coppietta si allontanò da me.
Era tardi e la mattina dopo mi sarei svegliato presto, ma non m'importava. Mi sembrava giusto ringraziare in questo modo quella cittadina che mi aveva accolto calorosamente.

Era passata la mezzanotte quando arrivai a casa e guardai il telefono.
"12 chiamate senza risposta da Mamma"
"5 chiamate senza risposta da Papà"

"Cazzo, mi sono dimenticato di guardare il telefono" dissi a bassa voce.
Feci partire una telefonata rivolta a mia madre che mi rispose immediatamente, senza nemmeno lasciare suonare il telefono due secondi.

"Sei impazzito Nathan? Dove cazzo sei? Hai deciso di farmi morire oggi?" inveì mia madre
"Scusami, non ho guardato il telefono tutto il giorno." risposi solamente
"Dove sei?" chiese lei con un tono decisamente agitato
"Stai tranquilla, non sono poi così lontano. Non ti dirò dove sono, non voglio che veniate qui."
"Nathan, per favore. Ho bisogno di sapere dove sei."
"No, mamma, non te lo dirò."
"Torna a casa, potrai cambiare corso di studi se è quello che desideri, potrai anche smettere di studiare, potrai fare ciò che vuoi della tua vita. Però torna a casa, non voglio che tu stia fuori, da solo, senza di me"
"Mamma, sto bene e non sono assolutamente in pericolo. Tornerò a casa tra qualche tempo, ora voglio stare da solo e cercare la mia strada."
Sentii un sospiro provenire dall'altra parte del telefono "Non so cosa dirti per convincerti a tornare"
"Non dire nulla. Ti prometto che ci sentiremo tutte le sere, così saprai che sto bene. Però non chiedermi di tornare"
"Tu sei impazzito Nathan... Non puoi fare una cosa del genere"
"Mamma, sono stanco e voglio dormire, ci sentiremo domani, va bene?"
"No che non va ben.."
"Mamma! - la interruppi - so badare a me stesso. Ci sentiamo domani" riattaccai il telefono.

Mi stesi a letto. Ero dispiaciuto per i miei genitori; ero consapevole del fatto che loro avessero sempre pensato di farmi del bene con le loro imposizioni; ma in quel momento, l'ultima cosa che volessi, era tornare a casa.

La mattina dopo, mi svegliai intorno alle 08:00, presi la mia chitarra e uscii dal piccolo hotel. Mi recai in edicola per comprare giornali con annunci lavorativi che avrei consultato all'ora di pranzo.
Andai nel posto in cui avevo suonato la sera prima, ed iniziai a cantare. Speravo che la donna con la bambina passasse dal di lì, e che si fermasse altri cinque minuti ad ascoltarmi.
Per qualche strano mistero del cuore, lei era l'unica persona che volessi vedere in quel momento.

When I see your face
There's not a thing that I would change
'Cause you're amazing
Just the way you are

And when you smile
The whole world stops and stares for a while
'Cause girl, you're amazing
Just the way you are

La mattina passò lentamente, io riuscivo solo a cantare canzoni dolci, d'amore.
Non conoscevo il nome di quella donna, non avevo sentito la sua voce o se le sue mani fossero fredde. Però sapevo, in quel momento, di volerla ritrovare.

Quella mattina non passò dal luogo in cui suonavo, e penso che la delusione me la si potesse leggere in qualsiasi punto del viso.

Alla fine della mattinata, misi la chitarra nella sua custodia, presi in mano i giornali e mi recai in un piccolo locale per mangiare qualcosa.
Mi sedetti, senza nemmeno guardarmi attorno e aprii il primo giornale per vedere se qualcosa poteva fare al caso mio.
Ero tanto concentrato nella mia ricerca che quando una voce mi chiese cosa volessi ordinare, risposi senza guardare la mia interlocutrice.
"Pollo alla piastra e un bicchiere di Alhambra, per favore"

Continuai a cercare un'offerta di lavoro soddisfacente, ma in quel momento sembrava che la fortuna non volesse starmi accanto.

Lessi annunci in cui richiedevano meccanici, elettricisti o idraulici. Non avevo nessuna conoscenza in questi ambiti, e dovetti escluderli.
Lessi un annuncio in cui richiedevano un dog-sitter. Sarebbe stato perfetto, se non fossi stato allergico ai cani e tremendamente intimorito da quelle bestiole, così dolci all'apparenza ma in grado persino di uccidere.
Feci un cerchio attorno all'annuncio di un bar; cercavano un cameriere per la sera, e forse avrebbe fatto al caso mio.

Iniziai a pensare che forse partire era stato un errore. Perchè andarsene di casa per sfuggire da una vita imposta, arrivare in un luogo sconosciuto, essere da solo, e cercare un lavoro che probabilmente non farà al caso mio? Forse, rimanere a Manhattan sarebbe stata una scelta più saggia. Lì non potevo fare musica, come in un certo senso non potevo farla qui.
Potevo cantare per strada, ma non potevo rendere la musica un lavoro.

Ero immerso nei miei pensieri quando un piatto e un bicchiere vennero posati di fronte a me.
"Ecco a lei" mi disse un voce femminile molto calda.
"Graz.." stavo solamente ringraziando quando alzando la testa, le parole mi rimasero in gola, vedendo gli occhi che per tutta la mattinata avevo cercato tra la gente.
Sospirai.
"Grazie" riuscii solamente a dire.

Lei mi sorrise e tornò dietro al bancone.
Io la guardavo, mentre mangiavo. Era tremendamente bella, anche mentre lavava i piatti o preparava litri di birra per qualche vecchio alcolizzato.
Le sue gambe erano fasciate in pantaloni di pelle nera aderente, e portava una camicetta bianca in chiffon.
Non riuscivo a non guardarla. Aveva l'effetto di una calamita su di me.

Guardai l'orario, erano le 02:10 pm. L'avevo guardata per troppo tempo. Decisi di uscire a di recarmi al bar dell'annuncio, sperando di avere fortuna.

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