DESTINO | CAPITOLO 04

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"Posso parlare con il titolare, per favore?" chiesi al barista del bar che cercava un cameriere
"Si, certo" mi indicò un uomo sulla sessantina, con i capelli bianchi molto luminosi e dei baffi enormi dello stesso colore.
Mi avvicinai a lui, che stava bevendo un caffè leggendo il giornale.
"Scusi, posso interromperla un secondo?" gli chiesi
"Certo, dica pure" mi sorrise
"Ho letto un annuncio in questo giornale - glielo mostrai- e dice che avreste bisogno di un cameriere. Volevo chiederle se il posto fosse ancora disponibile"
Fece segno di no con la testa, dispiaciuto "Mi spiace ragazzo, il posto è stato assegnato ieri sera e per il momento siamo al completo"
"Ah, va bene, la ringrazio ugualmente per il suo tempo. Arriverci."

Uscii dal bar e iniziai a camminare verso l'hotel. Erano stati due giorni molto pesanti, e la stanchezza iniziava a farsi sentire. La notizia del lavoro mi aveva dato il colpo di grazie.

Iniziai ad aver paura di dover tornare a Manhattan di lì a poco tempo. E non volevo tornare a casa, a Westfields si stava bene. Era il luogo che per anni avevo sognato e che per un gioco della fortuna riuscii a trovare.

Il giorno seguente

La sveglia suonò alle cinque di mattina. Era presto e il sole non era ancora sorto.
Volevo giungere davanti al locale della donna prima di lei. Volevo vederla.

Alle 06:00am mi sedetti in una panchina davanti al locale, presi in mano la chitarra e iniziai a tirarne un pò le corde.
Dopo qualche minuto la vidi da lontano e le mie dita iniziarono a muoversi autonomamente sulle corde. Delle parole iniziarono ad uscire dalla mia bocca, spinte dal cuore e dallo stomaco.
Io non controllavo la mia musica. Lei era la pura espressione del mio io interiore più profondo.

When my world is falling apart
When there's no light
To break up the dark
That's when I, I
I look at you
When the waves are flooding the shore
And I can't find my way home any more
That's when I, I
I look at you

Quando la donna giunse davanti alla porticina di quel locale, troppo piccolo e sudicio per una donna come lei, si girò un attimo nella mia direzione, prima di prendere fuori le chiavi e dare inizio alla giornata lavorativa.

Quando suonavo, mi sentivo sicuro di me, al contrario di come capitava durante il resto del tempo.
Le sorrisi, e lei ricambiò.

Aprì il locale, e vidi che prima di chiudere la porta, mi guardò di sfuggita.

Non le ero indifferente, e ciò mi rendeva felice.

Suonai senza fermarmi un solo secondo per le due ore successive. Alcune persone, passando da lì, mi avevano lasciato qualche spicciolo, e io ne ero molto grato.

La mia giornata era iniziata presto e sentivo la necessità di un caffè che riattivasse i miei neuroni.
Infilai la chitarra nella custodia, presi il coraggio e attraversai la strada per entrare nel locale della donna, ancora senza nome.

Mi sedetti al bancone, e aspettai il mio turno per ordinare.
Vidi la donna girarsi nella mia direzione e camminare verso l'angolino in cui mi ero rintanato.
"Cosa desidera?" mi chiese
La sua voce era calda, come il giorno precedente, e infondeva una sicurezza che partiva dalla punta delle dita dei piedi e giungeva rapidamente alla testa.
Erano bastate due parole, per farmi sentire sicuro, e allo stesso tempo, fragile.
"U-un caffè, per favore" balbettai

La donna iniziò a prepararmi il caffè, e nei due minuti successivi io la guardai intensamente. Indossava una maglia aderente viola intenso e dei jeans neri. Le calzavano perfettamente, mettendo in evidenza il corpo, che sembrava quello di una ragazza più giovane di lei.
Ero curioso di sapere quanti anni avesse.

Quando si muoveva, risultava molto buffa. Era piccolina di statura e tutto, dentro quel bar, sembrava troppo grande rispetto a lei.
Doveva mettersi in punta dei piedi per riuscire a raggiungere il barattolo di caffè macinato e farsi forza con due mani per tirare la leva della macchina del caffè.

Quando il caffè fu pronto, me lo appoggiò davanti sorridendo. "La ringrazio" dissi.
L'unico cliente presente, oltre a me, dopo pochi istanti uscì e io rimasi solo con lei.

"Hai una bella voce" disse lei mentre lavava la tazzina usata dal cliente che era uscito poco prima.
"Grazie. È sempre piacevole ricevere dei complimenti" sorrisi non guardandola direttamente negli occhi.
"E sono complimenti sinceri - sorrise - è piacevole ascoltarti. E l'altra sera la piccolina è rimasta molto affascinata da te"
Sorrisi "Il bello dei bambini è che si stupiscono con poco"
"Non sottovalutarti. Hai un talento."
Sul mio viso si aprì un grande sorriso.

"Sei qui da poco, vero?"
"Si, questo è il terzo giorno"
"Quanto ti fermerai?"
"Non lo so. Seguirò il mio destino e lascerò che decida per me" sorrisi.

Quando finii di bere il caffè, lei prese la tazzina e iniziò a lavarla. Io mi alzai e appoggiai sul bancone i soldi.
"La ringrazio, signora, buona giornata"
"Puoi chiamarmi Bridget" sorrise
"Nathan"

Uscii dal locale, tremante.
Pensai che il suo nome, così fine, rispecchiasse perfettamente la sua persona.

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