capitolo sesto

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La libreria era rimasta chiusa giusto un paio di giorni, intorno alla fine di agosto.

Quelle ferie 'forzate' avevano lasciato ad April del tempo libero che lei aveva trascorso per la maggior parte a riflettere e a dedicarsi alle cose importanti, ovvero l'ormai vicino inizio della sua vita universitaria.

Tra i banchi del liceo aveva sempre sognato di poter frequentare Lettere, anche se quella facoltà non era molto popolare tra i suoi compagni, molto più attratti da quelle scientifiche che parevano offrire le migliori sistemazioni lavorative, mentre di libri e di storielle – dicevano – non vi si viveva.

Eppure lei si vedeva perfettamente come redattrice, magari nell'ambito dell'editoria libraria, immersa in quell'odore di carta stampata che fin da piccola adorava respirare, tuffando la testa in mezzo alle pagine di qualche nuovo libro che suo padre le portava in dono per il compleanno. Aveva sempre preferito quelli a qualche giocattolo, perché la facevano viaggiare lontano e fantasticare ed erano molto più divertenti, secondo lei.

Sua madre non la aveva mai assecondata in quella passione: a differenza del padre, romantico e sognatore, era una donna estremamente pratica e concreta e difficilmente si degnava di considerare tutto ciò che non le potesse tornare utile o vantaggioso.

Da bambina le toglieva via i libri di mano, dicendole che la vita era fatta di altro, di lavoro, di fatica e di cose concrete. Lo faceva usando un tono gentile ma fermo che April aveva sempre scambiato per premuroso ma che di amorevole non aveva, in realtà nulla, e col senno di poi si era sentita stupida per non averlo mai capito.

Sua madre l'aveva sempre fatta apparire come un'aliena, semplicemente sbagliata per la vita ordinaria di tutti i giorni e April, nella sua ingenuità, non aveva mai compreso perché non potesse conciliare entrambe le cose, la sua vita quotidiana fatta di aiuti in casa, compiti per la scuola e giochi con le amiche, con quella immaginaria che scorreva tra le righe dei libri che leggeva.

In fondo non era mai stata un soggetto asociale o problematico, andava bene a scuola e aveva la sua cerchia di amicizie.

A 15 anni si era fidanzata con Noah, il suo primo amore, un ragazzo un anno più grande di lei che era figlio dei suoi vicini di casa. Erano stati insieme tutti gli anni del liceo, sembravano una di quelle coppie storiche destinate a durare anche oltre, a sposarsi e vivere felici con una bella casa, un cane e almeno tre figlioletti in giro e invece, tre anni dopo, si erano lasciati.

Secondo Noah, lei non era stata più la stessa dopo l'incidente di suo padre; era cambiata e lui aveva faticato a riconoscerla, ad andarle dietro.

April non aveva mai negato: avrebbe sfidato chiunque a rimanere uguale dopo una perdita del genere, soprattutto quando riguarda una persona a cui sei legata profondamente e che scopri poi essere l'unica ad averti amato e sostenuto in tutte le tue passioni.

Suo padre aveva sempre alimentato e assecondato le sue inclinazioni, nonostante non avesse un titolo importante e colto da poter affiancare al suo nome e facesse un lavoro umile che poco aveva a che vedere con le pagine di un libro.

In lei aveva sempre creduto.

Dopo la sua scomparsa April si era chiusa in se stessa, il dolore le aveva tolto la scintilla di curiosità e gioia che brillava sempre nei suoi occhi, cambiandoli per sempre.

Il suo ragazzo le era stato vicino ma col tempo, quel tragico evento fece venire fuori le crepe di un rapporto all'apparenza perfetto. Sempre più spesso non riuscivano a comprendersi, a comunicare, si perdevano in discussioni inutili e spingevano avanti la loro storia con la debole speranza di uscire da quel periodo nero.

Ovviamente nemmeno Noah aveva appoggiato il suo desiderio di fare Lettere.

Lui si era iscritto a Legge quando April frequentava l'ultimo anno di liceo, suo padre era un avvocato affermato e a suo figlio sarebbe spettato di diritto un posto nello studio legale di famiglia, una volta completati gli studi.

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