chapter sixteen

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La mattina successiva, Finn si ritrovò immerso in una pozza d'acqua.
In realtà, non era neanche troppo sicuro che si trattasse di semplice acqua, e non poté fare a meno di pensare che potesse essere qualcosa di perfino peggiore della pipì.

Non ricordava nessun sogno che potesse aver stuzzicato il suo membro, ma concordò ugualmente che fosse l'opzione più plausibile.
Si alzò rapidamente e buttò sul pavimento il materasso sporco, per poi tapparsi il naso. C'era qualcosa di decisamente fetente, tra quelle lenzuola.

Dopo una breve colazione, si recò nuovamente a Gravel Street per assicurarsi - e questa volta non avrebbe accettato un no come risposta - che Jack e la sua famiglia stessero bene.

Per quanto si possa stare bene dopo aver assistito all'incendio della propria casa.

Sbuffò. Non l'avrebbe mai ammesso a voce alta, ma Jack gli mancava terribilmente.
Il suo viso sorridente non faceva altro che apparirgli tra i suoi pensieri celati; più intimi.

Pensava a quanto gli mancassero le sue maniere spavalde, le sue ridicole battute, i suoi modi di ricordargli quanto si comportasse da stupido, a volte. E si accorse di avere effettivamente bisogno di tutto ciò.

E forse sentiva perfino la necessità di Jack stesso.

Camminò a lunghi passi per raggiungere la via, dove - come ogni mattina - trovò radunate varie persone del vicinato. Per dare supporto ai Grazer, dicevano.

Ma Finn sapeva la verità. Quel mese si sarebbe tenuto il concorso per il quartiere migliore e, dopo la catastrofe accaduta, tutti erano al corrente di essere scesi di numerosi posti nella classifica. Dunque volevano far finta che gliene importasse qualcosa davanti ai media, così da avere qualche speranza di rimediare.

Lo disgustava. Forse la vera gentilezza non esiste e tutto ha un prezzo pensò, una volta raggiunto il malandato portico di casa Schnapp.

La famiglia Schnapp si era offerta volontariamente di ospitare i Grazer fin quando non avessero trovato un altro posto dove alloggiare o, nella peggiore delle ipotesi, trovato i soldi per emigrare altrove.
Finn ricordò di essere già entrato in quell'edificio, per un progetto di storia con Noah.

Noah Schnapp era il minore di quell'ordinaria famiglia, nonché suo compagno di classe da quando egli aveva memoria.

L'aveva sempre trovato simpatico. Con la sua affettuosità e quel ciuffo castano sempre in subbuglio. Svolazzino lo chiamava Gaten, per prenderlo in giro.
Ma la verità era che non sapeva a che altro abbigliarsi, perché Noah era il classico ragazzo perfetto.

Lui e Finn non erano mai stati grandi amici, sebbene avessero trovato degli argomenti in comune fin dalla prima chiacchierata.

In quel momento, fu grato che fosse stato lui ad ospitare Jack.

Ma fu solo un momento.

Bussò un paio di volte alla porta in legno, o forse anche di più; ed ebbe un'improvvisa fitta al cuore.
Gli vennero in mente le parole di Sadie, così dure eppure così caute.

Sei completamente gay, Finn Wolfhard.
Gay.
Gay.
Gay.
Completamente gay.

Aveva già accettato la cosa, tempo addietro. E allora perché, dunque, quel pensiero continuava a fargli sorgere un sentimento di malinconia, fastidio?

Tali domande continuarono a torturarlo fin quando l'antico portone non decise di aprirsi.

Ad aprirlo fu una signora tozza e sulla cinquantina, con un vestito sgargiante che la segnava sulla vita.
Finn ipotizzò che dovesse essere stata una bella ragazza da giovane, sebbene ora il suo viso fosse trascurato e segnato dall'età con rughe possenti.

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