Capitolo 4

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Il sole punta alto nel cielo, regnando in quel enorme estesa di azzurro.

Il vento mi accarezza i capelli, e in questo momento finalmente riesco a chiudere con tutti i pensieri che costantemente mi girano in testa.

Alla fine, dopo che Chad mi ha mostrato la sua R1 laccata in rosso, anche se la mia parte ragionevole continuava a dirmi di stare attenta alle tentazioni, e di non cedere, il solo pensiero di tornare in quello stato di libertà e spensieratezza che solo una moto può darmi, mi ha come drogata, e quindi eccomi qui, dietro a Chad, con il panorama della città che non dorme mai a susseguirsi davanti ai miei occhi.

Questo ragazzo è la prima persona che ho conosciuto qui a New York, tutto quello che ho fatto in questi due giorni che sono qui, non lo avrei mai fatto a Parigi, per il semplice fatto che il muro che mi circonda è letteralmente indistruttibile, perciò non riesco a capire perché ho lasciato che una persona cosi poco conosciuta scoprisse qualcosa di me.

Sono molto felice di aver incontrato qualcuno della mia scuola, e vorrei riuscire ad essere più amichevole e aperta, non solo con Chad, ma anche con tutte le altre persone che di sicuro incontrerò, e penso che per riuscire a cambiare me stessa, questo sia il primo passo da fare.

Il viaggio è stato incredibilmente eccitante, e appena tocco terra, quasi non cado.

"Ehi, attenta, se no dovrò tenerti tra le mie braccia" dice Chad sorridendo.

"Non c'è ne bisogno" rispondo voltandomi verso la immensa struttura che poggia davanti ai miei occhi.

Avevo visto un paio di foto su internet, ma dal vivo, come tutto il resto, è tutta un'altra cosa.

"È enorme" dico quasi in un sussurro mentre continuo ad ammirare la scuola.

"Già, è la stessa reazione che ho io praticamente ogni giorno, visto che ancora mi perdo tra quei corridoio" e quasi riesce a strapparmi una risata.

Controllando per la centesima volta il cellulare, noto che mancano cinque minuti al colloquio, perciò mi sbrigo ad entrare.

"Melice" sento Chad chiamarmi.

Mi giro e lo vedo lì con le braccia conserte ad osservarmi divertito.

"Lo sai dov'è l'ufficio della preside?"

Assimilo la sua domanda, e girandomi un'altra volta verso l'entrata, ammetto che ha ragione, e detesto doverlo dire, ma sono sicura che appena varcata la soglia della scuola, mi perderei all'istante.

Sbuffo e gli faccio capire senza parole che ha ragione lui.

Sorride e insieme entriamo.

"Scusa ma, perché sei qui se prima stavi lavorando?" gli chiedo visto che mi è appena venuto questo dubbio, non capisco perché se prima era intento a prendere un ordinazione, ora sia qui con me davanti alla Columbia.

"Oggi è il mio ultimo giorno, visto che comincia la scuola, durante l'estate lavoro, e poi lo lascio per seguire gli studi, quindi ho deciso di finire il lavoro nel momento in cui tu sei uscita dal bar" spiega come se fosse una cosa ovvia.

Annuisco ancora un po' incerta e lo seguo verso quella che immagino sia la segreteria.

"Attenta, la preside è una stronza immensa, ti riempirà di domande le cui tue risposte devono essere impeccabile" dice e l'ansia inizia a farsi strada dentro di me.

Riesco solo a continuare ad annuire, visto che sto già pensando a tutto ciò che potrebbe andare male.

Riesco sempre a tenere testa alle persone che cercano in tutti i modi di farmi fallire, ma questo era qualcosa che mi veniva impeccabile in Francia, qui non ho idea di come sia la mentalità della gente, ed è il non sapere che mi fa andare in panico.

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