Prologo

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La pioggia scrosciante inondava il terreno e lo rendeva viscido e melmoso. I ciottoli del vialetto si muovevano avanti e indietro e risuonavano al tocco delle gocce e al passaggio delle persone che, tutte coperte per il freddo lancinante e armate d'ombrello e stivali per affrontare il tempaccio, si accingevano a recarsi al centro della radura erbosa. Il paesaggio non poteva essere più spettrale di così: sotto la pioggia che crepitava sulla parte superiore degli ombrelli, il verde si estendeva per acri e acri di terreno, con due strade maestre e diversi sentieri ciottolati che collegavano le aree del campo. Tutto era disposto metodicamente: ogni lapide era associata ad un angolo, raggiungibile da un sentiero, dotata di determinati fiori. E se qualche parente non avesse portato dei fiori sulla tomba di un qualche defunto, ci avrebbe pensato il custode. Non per nulla, il cimitero Hataway era la più costosa dimora che si poteva desiderare per i propri cari. Al centro della scena, una quarantina di persone erano disposte in cerchio attorno ad una bara aperta. Al suo interno, il corpo di una donna, perfettamente conservato dalle tecniche della medicina moderna, era riparato dalla pioggia da un tendone beige che ricopriva il feretro per la sua totalità, rendendo difficile ai presenti scorgere il volto della defunta. Era tradizione della famiglia Carlyle recitare il funerale a bara aperta, non per uno strano desiderio nel vedere i morti, né tantomeno per la sensazione piacevole che, ad alcuni di loro, provocava il vedere un corpo dilaniato. La tradizione era intrisa di antiche dicerie sulla famiglia secondo le quali il morto poteva espiare i suoi peccati solo permettendo alla propria anima di fuoriuscire dalla bara durante il rito. Dylan era sempre stato diffidente nei confronti delle tradizioni della propria famiglia, e, in quel momento, lo era doppiamente. Non voleva che l'anima della madre si disperdesse nell'aria fredda di quella serata d'autunno, in cui la temperatura a stento toccava i cinque gradi. Un brivido gli percorse la schiena e una lacrima gli sfuggì dagli occhi. Immediatamente una ragazza si avvicinò a lui e gli strinse la mano, confortandolo. Lui l'abbracciò stretta. Il Sacerdote prese a recitare la messa, rinvigorendo ogni parola con l'atteggiamento classico dei Preti cattolici. Condusse il rito quasi ammonendo i presenti, e non confortandoli. No, perché tutti sapevano cosa era accaduto a Janine Carlyle. Suo marito, Byron, l'aveva uccisa a sangue freddo. Almeno, così diceva la gente. Tutti lo pensavano. Byron era un mostro, il vero assassino. La polizia avrebbe dovuto arrestarlo, si sentiva dire. Ma la verità era che la polizia non aveva prove e Byron, a guardarlo in quel momento, non sembrava l'assassino che tutti professavano essere. L'uomo era posatamente in piedi e in disparte, senza ombrello, lasciava che la pioggia lenisse il suo sicuramente costoso abito nero. La faccia era un susseguirsi di emozioni: dall'ansia alla tristezza, passando per la solitudine e l'angoscia. Non si capiva se fossero le lacrime a rigargli il viso, o solo la pioggia incessante. Dylan si avvicinò lentamente al padre, stringendogli la spalla, ma lui si ritrasse, visibilmente imbarazzato. A fare da cornice alla scena, una ragazza di circa vent'anni piangeva riversa sulla bara della madre, mentre il Sacerdote la guardava male perché il lamentoso suono che produceva interrompeva continuamente il sermone. Dalla sua posizione, Lane poteva vedere tutto ciò. In disparte rispetto agli altri, stava osservando il funerale di una donna che a stento conosceva. Accanto a lui c'erano i suoi due amici: Jack e Miranda. Il primo emise un suono di sconforto. L'altro si voltò e lo fulminò con lo sguardo, ammonendolo di stare in silenzio onde evitare di essere cacciati malamente. Non appena la cerimonia si concluse, tutti andarono da Dylan per comunicare le proprie condoglianze, non potendo riservare il medesimo trattamento alla sorella, ancora riversa sul corpo della madre. La ragazza di Dylan presenziava la scena come fosse pronta a prendere il posto della defunta, stringendo la mano all'addolorato diciottenne e dimostrandosi forte per lui. Nessuno offrì le condoglianze a Byron Carlyle. Tutti lo credevano l'assassino, tutti sostenevano fosse colpevole. Era scorretto non dargli nemmeno il beneficio del dubbio, così Lane fece, come al solito, di testa sua e si allontanò dagli amici per dirigersi dal marito di Janine. Lui, visibilmente sorpreso di vedere qualcuno avvicinarglisi, sorrise al suo arrivo. Il sorriso era di una persona che, tradita dal mondo, si trovava sola e accusata ingiustamente. Gli porse la mano:
«Le mie più sentite condoglianze, Signor Carlyle,» disse, tenendo l'ombrello con la sinistra per non bagnarsi. Lui rispose alla stretta annuendo e ringraziando con un filo di voce, quasi a voler essere sicuro di non sognare. Il dolore sul volto del pover'uomo era evidente. Con un tuffo al cuore per il dispiacere nel riscontrare l'orrenda situazione che stava vivendo quella persona, annuì e si allontanò per tornare da Jack e Miranda, che lo guardarono stupiti e spaventati.
«Sei pazzo? Non dovevi parlare con lui,» disse la ragazza, apprensiva come al solito. Miranda Humphreys era una donna decisamente carina: portava i capelli rossi in una lunga coda di cavallo, aveva gli occhi color nocciola e un volto a forma di cuore costellato di tante piccole lentiggini. Era abbastanza alta e attraente, cosa che Lane poteva oggettivamente affermare nonostante la sua omosessualità.
«Per me non è stato lui,» sostenne con convinzione l'altro.
«Non puoi dirlo,» ribatté Jack, quasi urlando e attirando l'attenzione di alcuni presenti. Jack Fitz era un ragazzo estremamente fragile. Era dolce, ma schermava le proprie emozioni e le mascherava con un animo cattivo o spiritoso, a seconda delle situazioni. Era alto quasi un metro e ottanta, aveva dei capelli biondi che gli si arruffavano sempre in testa e gli occhi color miele. Si erano conosciuti su un'applicazione di incontri, arrivando a stringere un forte legame di amicizia. Non li accumunava soltanto il fatto di essere gay, ma anche una sorta di complicità che, però, non li aveva mai portati a pensare di poter avere una relazione. Lane fece cenno di andare via e si voltò, scontrandosi con un corpo ben più grosso del suo e rischiando pericolosamente di franare sul terriccio zuppo. Una mano lo afferrò al volo e lo aiutò a rimanere in piedi. Alzò lo sguardo e vide Dylan Carlyle dinnanzi a lui.
«Attento,» gli disse, con quella sua voce sensuale ma triste. Si riscosse subito e gli strinse la mano.
«Le ehm... le mie più sentite condoglianze, Dylan.» Lane era sicuro di essere arrossito, perché Jack lo guardava ridendo. Abbassò lo sguardo, imbarazzato e tolse la propria mano dalla stretta. Dylan lo ringraziò con garbo, così si voltò per andarsene. Vide Jack e Miranda dirigersi all'uscita quindi li seguì. Stava per raggiungerli quando mise le mani in tasca e non trovò il cellulare. Dannazione. Gli doveva essere caduto al momento dell'incontro-scontro col figo in lutto. Fece cenno ai due amici di attenderlo e si voltò, correndo indietro e inzuppandosi totalmente nonostante avesse l'ombrello in mano. Al punto dello scontro, tastò il terreno e trovò il cellulare intatto, grazie a Dio. Si voltò e fece per andarsene, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Davanti al feretro, c'erano Dylan e Gary Pougle, il suo migliore amico. Sembrava stessero discutendo, così la sua curiosità lo obbligò ad origliare. Era vicino ma non sentiva, per cui si sporse fino a toccare la bara. Notò che guardavano nella sua direzione, così si abbassò repentinamente, infilandosi sotto al rialzo del pesante involucro in cui dimorava il corpo della signora Carlyle. Porca merda, non sarebbe mai uscito vivo da lì. E se avessero spostato la bara? Lo avrebbero visto tutti. Avrebbero pensato che fosse un necrofilo. Dannazione, che situazione di merda. Un urlo lo riportò alla realtà.
«Non devi dirle nulla,» sentì sbraitare Gary, che non sembrava volersi contenere, nonostante fosse vicino ad un defunto.
«Lei deve sapere,» sostenne Dylan, con convinzione, per poi fare cenno all'altro di stare in silenzio, ma questi non l'ascoltò.
«Sei pazzo? Come pensi che reagirebbe a sapere che abbiamo...» fece per dire Gary, quando Dylan gli tappò letteralmente la bocca con la mano.
«Sei un cretino! Cosa cazzo urli? Vuoi farti sentire da tutti? Andiamo nella mia auto,» decise Dylan. L'altro alzò gli occhi al cielo e lo guardò con disprezzo.
«Chi ci deve sentire, che qua c'è solo il cadavere di tua madre?» Chiese, mentre i due si allontanavano dalla zona d'ascolto di Lane, che non colse il termine della conversazione. Scivolò fuori dall'angusto nascondiglio, attento a non farsi vedere mentre si rialzava da terra. Il suo abito scuro era in buona parte sporco di fango e bagnato dall'acqua. Corse via, verso l'auto di Jack, che lo vide salire e sbraitò.
«Finalmente, dove cazzo eri?» Domandò, Lane lo zittì. Aveva una strana sensazione addosso, come se avesse quasi sentito la confessione, da parte di Dylan e Gary, dell'omicidio della madre del primo.
«Andiamocene da qui,» ordinò. Jack accese l'auto e partì, mentre Miranda lo guardava con un sopracciglio alzato. Lane aprì la bocca per parlare proprio mentre stavano passando davanti all'auto di Dylan. Lo vide, mentre entrava e si sedeva al lato guidatore. Il giovane lo fissò per qualche secondo, che a Lane parve un'eternità. Nei suoi occhi di ghiaccio lesse una cosa. Lui era l'assassino. E, in qualche modo, aveva capito che Lane lo sospettava. L'aveva forse visto mentre origliava? Se così, perché non l'aveva immediatamente smascherato? Dylan si portò l'indice destro davanti al naso e gli fece un occhiolino, ammonendolo di fare silenzio su quanto sapeva. Così sarebbe cominciato il suo ultimo anno di liceo. Lane Derrick aveva diciotto anni e, da quel momento, era complice in un omicidio.

The Last YearDove le storie prendono vita. Scoprilo ora