Capitolo 2

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«Non ti dispiacerà se chiudo le portiere,» disse Dylan mentre uno schiocco meccanico annunciò la chiusura ermetica delle portiere. Lane deglutì e non rispose, guardando fisso davanti a sé per evitare quanto più possibile di osservare l'altro. Dylan aveva una Peugeot 208 nuova di zecca e sembrava dotata di ogni tipo di comfort, come dopotutto ci aspettava da una persona con le sue possibilità economiche.
«Potresti venire a piedi a scuola. Non abiti lontano,» azzardò il castano. L'altro sorrise si voltò a guardarlo per un secondo, poi riportò gli occhi sulla strada.
«Hai ragione, ma non mi piace camminare da solo, mi annoia. Meglio andare in auto, ascoltare la musica e pensare,» rispose sinceramente Dylan. L'altro annuì e attese, scostandosi ripetutamente la cintura dal petto. Si sentiva soffocare in auto con lui, aveva addosso la prorompente sensazione di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Lane arrivò, per la prima volta nella sua vita, a non vedere l'ora di essere a scuola. I restanti due minuti trascorsero nel più totale silenzio, poi arrivarono all'incrocio dinnanzi alla scuola e il più piccolo si rilassò visibilmente. Ciò che lo sorprese, però, fu che Dylan svoltò a destra anziché procedere diritto verso l'istituto. Lane spalancò gli occhi e si voltò a guardarlo.
«La scuola era di là,» disse, con un tono di voce talmente basso da farlo risultare stupido. Si maledisse per non essere riuscito a controllare il proprio timbro.
«Lo so, ma ho deciso che potevamo fare una piccola deviazione. Non ti dispiace, vero?» Chiese il più grande. Lane deglutì rumorosamente e pregò in silenzio, senza rispondere alla domanda. La macchina sfrecciò lungo la strada perpendicolare alla scuola e si fermò alla fine di essa. Il moro si slacciò e sorrise all'altro, poi estrasse la chiave e le portiere si sbloccarono. Il più piccolo continuava a guardarlo interdetto, così l'altro si accinse a spiegare. «Devo sbrigare una velocissima commissione e arrivo, ci metto due minuti. Tu aspettami in auto.»
«I-io... okay.» Dylan scese e chiuse le portiere dall'esterno, poi si avviò verso un edificio che sembrava essere poco raccomandabile: la facciata era mezza scrostata e i balconi sembravano decadenti, così come il portone in legno. Non appena varcò l'uscio, Lane si riscosse. Doveva assolutamente capire cosa stava succedendo, così su due piedi decise di seguirlo. Si sporse dal lato guidatore e sbloccò le portiere col pulsante apposito, poi aprì la sua, scese e la accostò, accertandosi di non chiuderla completamente per non rimanere fuori. Cautamente, si avvicinò al portone e si fermò dinnanzi ad esso, tentando di udire voci o passi. Dal momento che non sentì nulla, furtivamente entrò nello stabile. Davanti a lui si aprì un giardino interno malandato, con ceppi tagliati e fasci d'erba incolta. Sulla sua destra, appena dietro un corridoio, vi erano le scale che conducevano alle abitazioni. Da lì proveniva un leggerissimo vociare. Si avvicinò molto lentamente e si fermò non appena riuscì a comprendere le parole.
«Avevamo pattuito cento,» sentì dire dalla voce di Dylan.
«E ora ne voglio centocinquanta. Prendere o lasciare,» rispose una sconosciuta voce maschile dal timbro basso.
«Va bene,» rispose Dylan, poi vi furono movimenti e, dal suono, parvero essere dei soldi accartocciati. Subito dopo, altri rumori e poi parole di congedo. Lane sfrecciò via, superò il corridoio e il portone e tornò in auto. Una volta chiusa la portiera e bloccata dal lato guidatore, vide il moro che usciva dall'edificio. Tentò di controllare il fiatone per la corsa e socchiuse gli occhi, appoggiando la testa allo schienale. Dylan entrò nell'abitacolo dell'auto e si sedette al posto di guida, poi sorrise, guardò l'orologio, quindi inserì la chiave e mise in moto.
«Siamo in perfetto orario per la seconda ora. Scusami per l'attesa, ora andiamo a scuola.» Lane accennò un falso sorriso e attese l'arrivo alla FUHS un minuto dopo. Non appena l'auto si fermò in prossimità dell'istituto, il più piccolo scese e attese l'altro. Una volta che entrambi fossero pronti, si avviarono lungo la strada che conduceva all'ingresso. Salirono le scale e varcarono la porta a vetri. Alla loro sinistra, Annabelle del centralino li fermò.
«In ritardo il primo giorno, Dylan?» Chiese la donna. Lane si stupì di come non l'avesse minimamente considerato, parlando solo col capitano della squadra di football.
«Un imprevisto a casa. Ci puoi dare due tagliandi?» Domandò il ragazzo, sorridendole. Lei strappò due fogliettini e li recapitò a Dylan, che li afferrò e si congedò con lei.
«Io non riesco mai a farmeli dare,» confessò Lane, quasi pensando ad alta voce. I tagliandi per il ritardo evitavano di dover giustificare. Erano per eventi straordinari o per i quali non si avevano colpe – come un ritardo dell'autobus o una nevicata forte – ma tutti gli studenti provavano sempre a farseli dare quando decidevano di saltare la prima ora. Dylan scoppiò a ridere e gliene porse uno, sfiorandogli la mano mentre glielo passava. Un brivido corse lungo la schiena del castano.
«Devi saper trattare con Annabelle. Le piacciono i biscotti, i sorrisi e la gentilezza,» spiegò il più grande, mentre procedevano a passo tranquillo verso gli armadietti. Lane sapeva che erano abbastanza vicini: lui aveva il 501, mentre Dylan il 508. Tutte le mattine doveva sempre sorbirsi le scene da Titanic tra il ragazzo e Lisa, la sua fidanzata, cosa che gli faceva venire i conati di vomito al solo pensiero. Etero...
«Probabilmente tu sei una sorta di cocco delle bidelle. In realtà di tutti, tu sei Dylan Carlyle,» disse Lane, aprendo il suo armadietto. L'altro proseguì verso il proprio, scrollando le spalle.
«È ciò per cui ho sempre combattuto. Non sono diventato Dylan Carlyle per caso: mi sono sempre impegnato per essere bravo, popolare, intelligente. In una cittadina come Fairview è tutto,» chiarì il moro, afferrando i propri libri. «Bene, io ho lezione con Mallory, tu cos'hai?»
«Ho tedesco dalla Hecker.» Quel momento di confessioni, che faceva tanto pigiama party, terminò con l'insensato interesse di Dylan per l'orario di Lane. Come mai era così gentile? Perché l'aveva accompagnato in auto?
«Allora ci vediamo in giro, Derrick,» lo salutò il più grande, voltandosi. Lane alzò una mano in risposta.
«Grazie del passaggio, Carlyle, ci vediamo,» rispose, girandosi e imbroccando il corridoio verso l'ala ovest.

«Sai che il cellulare è uno strumento utile? Puoi usarlo ogni tanto. Tipo, che so, quando i tuoi amici si stanno chiedendo se tu sia vivo o morto e ti riempiono di messaggi su Whatsapp,» lo rimproverò Miranda. Lane alzò le braccia in segno di resa.
«Hai ragione, scusa, ma lo sai che non lo guardo molto,» si giustificò il castano, mentre i tre si sedevano al loro solito tavolo in mensa. Non aveva ancora visto Miranda quella mattina, avrebbero avuto solo la prima ora tutti assieme ma Lane non c'era.
«Allora, come mai questo ritardo?» Chiese Jack, aprendo il cesto del suo pranzo ed estraendo un toast con tonno e cipolle che fece venire il ribrezzo a Lane. Il ragazzo si riscosse e si concentrò sulla domanda, imponendosi di non prestare attenzione all'orrendo panino dell'altro.
«Non mi è suonata la sveglia,» confessò poi, quindi abbassò leggermente il capo si avvicinò agli altri. «Ho incontrato Dylan Carlyle sulla strada.»
«Cosa? Oh Signore, ma perché quando tu fai ritardi incontri ragazzi fighi mentre io al massimo mi prendo le strigliate da Christine, la bidella del secondo piano?» Commentò Miranda, facendo sorridere gli altri due.
«Beh? Che è successo? Racconta,» lo esortò poi Jack.
«Mi ha dato un passaggio in auto, niente di particolare.» Non seppe perché omesse il fatto del palazzo malandato e il dialogo col tizio, come non sapeva perché non aveva detto nulla di ciò che aveva sentito al funerale.
«Cazzo, sei salito sull'auto di Dylan Carlyle,» commentò Jack, in estasi. Lane sorrise e si alzò. Non aveva il pranzo perché sua mamma non glielo aveva preparato, quindi si avvicinò al bancone della mensa ed estrasse i soldi. Osservò la grande teca in vetro e notò come le cose più interessanti erano un trancio di pizza da tre dollari e un panino da due. Optò per il primo, attese che fu riscaldato e lo riportò al tavolo. Mentre tornava dai suoi amici, l'occhio gli cadde sul capitano della squadra di football, al tavolo centrale, circondato da persone. Si morse l'interno di una guancia. Quel ragazzo era estremamente intrigante. Popolarità a parte, se aveva ucciso – o partecipato all'omicidio – sua madre, non lo dava a vedere. Come non dava a vedere il fatto che fosse triste per la sua dipartita. Certo, era passato quasi un mese, ma non era mai abbastanza quando si tratta di perdere un genitore. In quel momento, Dylan si voltò e incontrò il suo sguardo. Quegli occhi di ghiaccio sembrarono, per un solo istante, illuminarsi mentre si scontravano con quelli marroni-arancioni del castano. Poi, gli fece un occhiolino e si girò, tornando ai propri amici, mentre Lane rimase lì, pietrificato al centro della mensa.

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