Capitolo 7

2.8K 233 23
                                    

«Hai diritto di restare in silenzio, tutto ciò che dirai potrà essere usato contro di te in tribunale. Hai diritto a un avvocato, se non puoi permettertelo te ne verrà assegnato uno d'ufficio,» snocciolò lo Sceriffo, mentre ammanettava Dylan e lo guidava verso la porta. Passando davanti al banco di Lane, il prigioniero si fermò e lo guardò con delusione.
«Sei stato tu, vero? Ti credevo un amico, mi sono fidato di te,» disse al castano. Questi era troppo scosso per rispondere, così si limitò a fissarlo mentre veniva portato via dalle forze dell'ordine. Le parole di Dylan avevano fatto molto male a Lane. Il giovane le sentiva ripetersi più volte nella sua mente, e come coltellate lo trafiggevano. Lui non aveva detto nulla, ed era certo che i suoi amici avevano mantenuto il segreto. Dopo qualche secondo di silenzio, il professore si schiarì la gola e ricominciò a spiegare, ma Lane non ascoltò una singola parola, rimase lì, con lo sguardo fisso nel vuoto tutto il tempo, finché Miranda non lo scosse muovendogli la spalla.
«È suonata la campanella, Lane,» disse lei, con voce preoccupata. Jack era al suo fianco, i due si fissarono interdetti. Il castano sorrise debolmente e cominciò a sistemare i quaderni nello zaino, poi si alzò.
«State tranquilli, sto bene, è stato solo un momento,» provò a dire, ma Jack non era evidentemente d'accordo.
«Lane, è stata mezzora. Mezzora in cui ha solo guardato il nulla. Non puoi dire di stare bene, non questa volta. È due settimane che sei così, e ti abbiamo dato tempo, ma ora forse è il caso che ti confidi con noi, non credi? Dopotutto siamo i tuoi amici. Sai che puoi fidarti,» tentò il ragazzo. Lane serrò la mascella e superò il banco, tentando di raggiungere l'uscita. I due lo braccarono immediatamente, poi si pararono tra lui e la porta, impedendogli di varcare la soglia. Il professor Kendriks si alzò e li guardò interdetto.
«Cosa sta succedendo?» Domandò, posando la sua mela sulla cattedra. Lane non si era accorto che c'era anche lui, ma era logico: quella era la sua aula, lui non se ne andava mai.
«Niente, professore, è tutto okay,» rispose il castano, usando le braccia per creare un varco tra i suoi due amici. Li superò, uscendo in corridoio, loro lo seguirono.
«Lane, ti prego,» disse Miranda, scuotendo il capo e guardandolo negli occhi. Lui sospirò, poi la fissò intensamente.
«Scusa, Miranda. E scusa anche tu, Jack. Ma... io non ci riesco. Non riesco a farlo, a parlarne. Io... mi dispiace. Vi voglio bene e vi ringrazio per starmi sempre dietro, ma ora ho bisogno di altro,» confessò Lane. Jack deglutì e lo guardò torvo.
«Hai bisogno di Jeremy, vero?» Domandò. Lane annuì e abbassò lo sguardo a terra. Miranda sorrise e gli diede un abbraccio caldo.
«Lo capiamo, Lane. Lui è il tuo migliore amico da sempre, vi siete appena ritrovati, e noi lo capiamo. Solo... stai attento. Non cascarci di nuovo,» si raccomandò lei. Lui annuì e sorrise, poi abbracciò anche Jack e si diresse agli armadietti. Appena raggiunse il suo, l'occhio gli cadde su quello di Dylan. Era vuoto, non c'era nessuno davanti, nessuno sbaciucchiamento con Lisa, nessuna urlata con i ragazzi della squadra di football, niente. Gli venne un magone talmente grande che pensò potesse scoppiargli il cuore nel petto. Lasciò tutto il materiale nell'armadietto e lo richiuse, poi a grandi passi si diresse al numero 318, quello di Jeremy. Dovette attendere solo qualche minuto perché il ragazzo si presentasse. Non appena lo vide, Jeremy sorrise e si congedò con i suoi compagni.
«Ehi, come stai?» Chiese, aprendo l'armadietto. L'altro scrollò le spalle.
«Hai saputo?» Domandò di rimando, abbassando lo sguardo e serrando la mascella. Il biondo annuì.
«Ne parla tutta la scuola,» rispose, chiudendo l'antina. Lane lo guardò dritto negli occhi verdi e attese qualche secondo, poi parlò.
«Ti va di saltare il resto della giornata?» Provò. L'altro corrugò la fronte, poi si morse un labbro.
«Cosa vuoi fare?»
«Ti prego,» supplicò. Jeremy capì al volo, sorrise e gli strinse la spalla.
«Saluto gli altri e andiamo.»

L'ufficio dello Sceriffo della Contea era uno stabile alto tre piani con una facciata completamente bianca e anonima, fatto salvo per l'insegna con lo stemma dello Sceriffo e quello della Contea affiancati. Jeremy parcheggiò appena fuori dall'edificio, scese dall'auto e pagò il ticket. I due ragazzi, poi, si diressero all'ingresso. La porta a vetri era manuale, così dovettero spalancarla loro. L'interno era esattamente come ci si aspettava che fosse un ufficio dello Sceriffo: un bancone all'ingresso e tante scrivanie disposte a destra e a sinistra di esso. Infondo, una porta chiusa con la targa "Sceriffo Humphreys" incisa sopra, mostrava quale fosse effettivamente la stanza del capo.
«Vorrei vedere Dylan Carlyle,» disse Lane all'uomo in divisa dietro al bancone. Questi fece cenno di attendere e chiamò qualcuno – presumibilmente lo Sceriffo stesso – ponendo la richiesta di Lane. Dopo qualche secondo attaccò e fece un'espressione dispiaciuta.
«Non posso farglielo vedere, ordine dello Sceriffo,» rispose. Il castano sbuffò e guardò Jeremy con aria delusa, poi però scosse il capo e tornò a fissare l'uomo. Non era venuto fin lì, a Portland, per farsi sbattere la porta in faccia.
«Mi faccia almeno parlare con lo Sceriffo. La prego,» tentò. L'agente rialzò il telefono, parlò col capo, poi si rivolse nuovamente al giovane.
«Come ti chiami?» Lui rispose, quindi l'agente lo riferì. Attese qualche secondo, poi annuì, con un sissignore in risposta. «Prego, è l'ultimo ufficio infondo alla stanza.»

Lane e Jeremy attraversarono tutto lo spazio, beccandosi occhiatine o commenti dagli agenti, poi arrivarono a destinazione.
«Ti aspetto qui, Lanny, o entro con te?» Domandò il biondo. L'altro annuì.
«Aspettami qui, per favore,» rispose, poi si fece coraggio e bussò. Una voce profonda mormorò un avanti sommesso, quindi lui spalancò l'uscio e lo richiuse. Sorrise allo Sceriffo e si accomodò.
«Lane, cosa posso fare per te?» Chiese l'uomo. Il castano deglutì rumorosamente.
«La prego, George, mi faccia vedere Dylan. Lei mi conosce da anni, sa che non farei nulla di male. Ma lui mi ha accusato e io voglio dirgli che non c'entro nulla. Perché lei lo sa benissimo che non le ho detto né sapevo nulla,» provò. L'uomo si appoggiò allo schienale e lo guardò corrucciato, evidentemente pensoso. George Humphreys era Vicesceriffo di stanza a Fairview, lo era stato per dodici anni, prima di ottenere la promozione e diventare Sceriffo, quindi operava a Portland nonostante vivesse a Fairview.
«Lane, le regole sono regole. Però se non ti facessi entrare, Miranda non me lo perdonerebbe mai. Per cui ti propongo un accordo: tu gli parli, lo convinci a non richiedere un avvocato e poi mi vieni a spiegare cosa succede e perché ti ha accusato,» provò lo Sceriffo. L'altro ragionò e annuì.
«Però lei spegne le telecamere,» si assicurò il ragazzo. L'uomo sorrise.
«Questo è scontato, ragazzo. Se gli affari interni scoprissero che ti ho fatto entrare, la mia carriera sarebbe finita all'istante.» George si alzò, afferrò un mazzo di chiavi e condusse l'altro fuori dal suo ufficio. Passarono davanti a Jeremy che sorrise al suo amico, poi si sedette ad aspettare. Gli altri due superarono le scrivanie e raggiunsero un corridoio sulla destra. Con la chiave, lo Sceriffo aprì una porta e fece entrare Lane, poi la richiuse e si fermò dinnanzi ad essa. Il castano si guardò attorno. Vi erano almeno dieci celle, più o meno grandi, tutte chiuse e vuote, fatta eccezione per una. Un ragazzo era disteso su un lettino e dava la schiena a Lane. Questi si avvicinò e toccò le sbarre, afferrandole.
«Dylan,» provò a dire. L'altro non si mosse.
«Cosa vuoi?» Chiese, senza voltarsi. Il più piccolo tentò di controllare la propria voce per non apparire come un cagnolino bastonato.
«Parlarti. Dylan, ti giuro che non c'entro nulla con tutto ciò,» provò. Lui si girò e lo guardò in faccia, sedendosi sul lettino.
«Come posso crederti? Eri l'unico a sapere,» gli disse, poi lui scosse il capo e lo guardò con occhi speranzosi.
«No, Dylan, non ero l'unico.» Il moro spalancò gli occhi e sorrise.
«Gary? No, non lo farebbe mai,» rispose, sicuro di sé. Lane deglutì e represse le lacrime, quindi si acquattò quanto più possibile alle sbarre.
«Ti prego, devi credermi. Se fossi stato io ora non sarei qui. E cosa ne avrei tratto? Qualcosa mi avrebbe forse giovato? No, non avevo nulla da vincere da tutto ciò.»
«Okay, mettiamo che ti credo. Cosa puoi fare per aiutarmi?» Disse Dylan, che sembrava quasi convinto dell'innocenza dell'amico.
«Innanzitutto non prendere un avvocato. Ho fatto un patto con lo Sceriffo: niente avvocato, io posso visitarti e poi racconto a lui cosa ci siamo detti. Quindi, prima che il nostro tempo finisca, fermati due secondi a pensare e partorisci un'idea, in modo che io la possa riferire ad Humphreys. Poi, dimmi tutto quello che sai, ogni singola cosa. Non ne farò parola con lui, se vorrai. Ma devi farlo, solo così io potrò aiutarti.» Dylan scosse il capo, con un sorriso amaro dipinto sul volto.
«Aiutarmi come?» Domandò, ormai rassegnato a essere etichettato come colpevole. Sul viso di Lane comparve un ghigno perfido.
«Trovando il chi ti ha mandato qua dentro,» propose. Dylan sembrò pensarci su, poi scrollò le spalle. Non aveva nulla da perdere, dopotutto.
«Facciamolo.»

The Last YearDove le storie prendono vita. Scoprilo ora