Capitolo 18

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Il rumore di una lancetta che scandiva il tempo disturbava il silenzio spettrale di quella stanza avvolta nell'oscurità di una serata buia e tetra. La luna era piena in cielo, ma la sua luce arrivava velata alle finestre della maestosa villa. Un ragazzo era in piedi sul pavimento in legno con le mani nelle tasche dei pantaloni scuri. Indossava un maglioncino grigio con il colletto della camicia bianca che spuntava dall'estremità superiore, i suoi occhi azzurri sembravano tesi, angoscianti. Si passò una mano tra i capelli scuri e deglutì, poi estrasse una scatola di mentine dalla tasca e ne prese una. Continuava a camminare avanti e indietro, in maniera ciclica. Guardò l'orologio del telefono, sbuffando. Era in ritardo di dieci secondi. Undici, dodici, tredici, quattordici...
Un altro giovane apparve infondo alla strada, camminando a passo svelto. Indossava un jeans nero e una camicia del medesimo colore, con sopra una felpa rossa aperta. In pochi secondi giunse al cancello, lo superò senza troppi indugi e si portò dinnanzi all'uscio. Suonò il campanello, quindi attese qualche secondo, guardandosi attorno. La sera era buia e il fresco era tornato ad abbattersi su Fairview. Una brezza poco primaverile soffiava, muovendo le fronde degli alberi e insinuandosi tra le case. La porta si aprì. Il giovane all'esterno sorrise, mordendosi la guancia. Dylan Carlyle era bellissimo quella sera, più del solito.
«Sei in ritardo,» disse il più grande. Lane corrugò la fronte e guardò l'orologio al polso, sorridendo.
«Sarò in ritardo di trenta secondi,» rispose. L'altro lo guardò dal capo ai piedi, quindi spinse la porta e si fece da parte.
«Entra.» La casa di Dylan era uguale a come la ricordava. L'ingresso lungo dava su tre stanze, una delle quali era la cucina, mentre le altre due rispettivamente una sala da pranzo e un salotto. Si diressero in quest'ultima camera, camminando sulle assi in legno di noce del pavimento.
«Tuo padre?» Domandò Lane, preoccupato di trovare Byron da qualche parte.
«Lui è ancora a Portland. Lo Sceriffo vuole incriminarlo, così sta cercando dei buoni avvocati. Dolores è uscita, a quanto pare aveva da fare. Siamo soli stasera,» snocciolò il moro, fermandosi dinnanzi a un tavolo perfettamente apparecchiato. La tovaglia era rossa con un po' di pizzo bianco alle estremità. Sopra di essa vi era una candela alta al centro, con dei fiori sia a destra che a sinistra di essa. Tovaglioli, bicchieri e posate completavano il tutto.
«Non dovevi disturbarti tanto,» disse il più piccolo. L'altro scrollò le spalle e sorrise.
«Tu ora siediti e aspetta,» ordinò. Lane eseguì, accomodandosi ad una delle estremità del tavolo. Dylan si portò in cucina, dove cominciò ad accendere il forno. Doveva solo seguire le semplici indicazioni di Dolores per riscaldare il tutto, nulla di complicato. Si disse che poteva farcela, quindi osservò il piatto con l'arrosto. Dolores glielo avrebbe detto se avesse dovuto travasare il contenuto in una teglia, vero? Scrollò le spalle e mise il piatto in forno, girando la manovella e selezionando la gradazione corretta. Attese qualche minuto, quando del fumo cominciò a uscire.
«Cazzo,» urlò sventolando con uno strofinaccio e spegnendo il forno. Lane apparve in cucina subito dopo.
«È tutto okay? Vuoi che ti aiuto?» Domandò, avvicinandosi. Dylan si voltò e lo fulminò con lo sguardo.
«Faccio io,» decise. L'altro alzò le mani e indietreggiò di qualche passo, rimanendo però sulla porta. Aveva un sorrisino dipinto sul volto che stava facendo innervosire il più grande. Questi aprì il forno e allungò una mano per estrarre l'arrosto, scottandosi al tocco del piatto. Imprecò e corse a lavarsi la mano.
«Forse se avessi usato una teglia sarebbe stato meglio,» commentò il castano. Dylan chiuse il rubinetto e puntò un dito contro di lui.
«Fuori dalla mia cucina,» gridò, facendo ridere Lane.
«Sei sicuro che non vuoi una mano?» Chiese il più piccolo. L'altro indicò nuovamente l'uscita.
«Ho detto che lo so fare da solo.» Lane, sommessamente, si allontanò anche dalla porta, tornando in salotto. Rimase lì a contemplare le pareti tappezzate di quadri e fotografie di famiglia. Una, in particolare, era posta sul camino e raffigurava i quattro membri della famiglia sorridenti e abbracciati. O meglio, Byron, Janine ed Helen erano vicini. Dylan sembrava un po' più distante, quasi fosse scocciato di fare quella foto. Lane lo capiva, anche lui odiava i ritratti di famiglia con tutto il suo cuore.
«Ahia! Cazzo!» Altre urla provenienti dalla cucina fecero sorridere il più piccolo, che rimase, però, immobile. «Okay, hai vinto. Aiutami.»
Appena il castano fu in cucina, trovò l'arrosto per terra e Dylan seduto accanto ad esso sul pavimento. Scoppiò a ridere e si lavò le mani, quindi, armato di presine, depositò il piatto rovente nel lavandino.
«Questo è ormai immangiabile,» commentò. Con la scopa lo radunò in un angolo, poi si diresse alle patate che erano sul piano cottura. Le mise in una teglia, quindi le condì con un po' di prezzemolo e le inserì nel forno. Lo accese ad una gradazione decisamente minore rispetto a quella che aveva scelto Dylan, così si voltò a guardarlo. Si era tolto il maglioncino e aveva le maniche della camicia tirate su. L'altro lo fissò intristito.
«Ho rovinato tutto,» disse, osservando il suo arrosto in un angolo. Lane si sedette accanto a lui, con la schiena poggiata contro i mobili, e riprese a ridere.
«Prima volevi cuocere l'arrosto a duecento gradi, su un piatto, poi l'hai anche fatto cadere,» rispose. L'altro sorrise, per poi cominciare a ridere di gusto anch'egli. «Non hai rovinato tutto.»
«Non possiamo cenare solo con le patate,» fece notare il più grande. Lane posò la mano sulla sua.
«Al massimo ordiniamo una pizza,» lo tranquillizzò. Dylan lo guardò negli occhi e annuì, Lane sospirò e si tirò su, battendo le mani e incoraggiando l'altro. «Su, abbiamo una cena da preparare.»

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