Capitolo 5

3.1K 242 27
                                    

«Ho una novità pazzesca,» disse Miranda, invadendo lo spazio vitale di Jack che sbuffò e si sistemò meglio sul letto di Lane. Era un classico sabato pomeriggio a casa Derrick: da ormai due anni si vedevano sempre da Lane, studiavano, sparlavano, giocavano e stavano insieme fino a dopo cena. Il luogo era quello perché Jennifer lavorava al bar pomeriggio e sera, quindi potevano fare quello che volevano – non è che la trasgressività aleggiasse molto tra di loro – senza nessuno a supervisionarli.
«Dicci, Mirandina cara,» rispose Jack, mentre Lane rimase silenzioso. Era così da due settimane, da quando aveva passato quel pomeriggio con Dylan Carlyle. Da quel momento, lui e il ragazzo si erano salutati nei corridoi e, spesso, Dylan gli offriva passaggi. Lo riportava a casa dopo scuola e a volte all'andata si incontravano casualmente e lui lo portava. Nonostante Lane sapesse che era tutta una presa in giro, che stava solo comprando il suo silenzio, non poteva fare a meno di accettare. Ogni giorno sperava in quei passaggi dopo scuola e, in quei momenti con lui in macchina in cui parlavano di qualunque cosa, riusciva quasi a dimenticarsi del fatto che era solo una pedina nella sua grande scacchiera di manipolazione. Aveva raccontato ai propri amici che avevano parlato dell'omicidio della madre di Dylan, del fatto che lui sapesse, ma non aveva accennato al resto: quei discorsi personali, quelle risate, quella felicità e poi la tristezza finale, lo sconforto e le lacrime. Quando era tornato a casa, sua mamma per fortuna non c'era ancora. Era rimasto a piangere per almeno un'ora, sul suo letto, con la sua musica nelle orecchie, salvo poi riscuotersi e ordinarsi di star meglio. Non poteva abbattersi per quel ragazzo, sapeva come funzionava. Si era dato alla Nutella e aveva cercato di superare la cosa, ma la tristezza non voleva saperne di abbandonarlo. Segretamente Lane, come il novanta percento delle donne o dei ragazzi gay di Fairview, aveva sperato in qualcosa con Dylan fin dalle scuole medie. Non poteva definirsi un sentimento, perché il ragazzo aveva ormai imparato a separare etero da gay ed evitare quelle cotte dolorose che, in passato, l'avevano distrutto, però una piccola fiammella di speranza che il ragazzo più bello, gentile, intelligente e simpatico di Fairview lo volesse non si era mai spenta in lui. Così quei momenti con lui l'avevano letteralmente distrutto e doveva raccogliere i cocci e sistemarli quanto prima, o avrebbe buttato via il suo ultimo anno.
«Terra chiama Lane,» disse Miranda, muovendo una mano dinnanzi ai suoi occhi. Lane si riscosse e annuì.
«Scusate ragazzi, ci sono!» Non sembrava molto entusiasta, ma i due si accontentarono. La ragazza allargò le braccia e si preparò a parlare.
«Mio padre, lo Sceriffo della Contea di Multnomah, ha trovato l'assassino della signora Carlyle.» Non appena disse quelle parole, Lane spalancò gli occhi.
«Chi è?» Chiese, col cuore che batteva. Lei scrollò le spalle.
«Non me l'ha voluto dire, so solo che domani lo arresterà.» Un brivido corse lungo la schiena del ragazzo. Finalmente i nodi sarebbero venuti al pettine. Era soltanto preoccupato che l'assassino potesse fare il nome di Dylan. Dopotutto, la complicità in un omicidio poteva anche essere semplicemente stare zitti quando si avevano informazioni importanti. Il resto del pomeriggio lo trascorsero a fare giochi da tavolo e ascoltare musica, mentre la sera si dedicarono alle serie tv. Quando si salutarono, Lane si mise a letto e rimase a fissare il soffitto un'ora, non riuscendo a dormire, quindi ci rinunciò. Si alzò e si vestì sportivamente, con tanto di maglia e pantalone termici e uscì di casa. Il freddo delle 22 lo colpì inesorabilmente, ma lo ignorò e prese a correre. Inizialmente procedette piano, poi accelerò bruscamente per scaldarsi. Nel frattempo pensava alla propria vita, cercando di superare la cosa. L'ultima – e pressoché unica – volta in cui era stato così male per un ragazzo, le cose che l'avevano aiutato erano state le calorie e lo sport. Correva, faceva pesi in palestra, mangiava Nutella e poi ripeteva il circolo. Così facendo, era dimagrito molto e aveva messo su un fisico accettabile che poi aveva mantenuto nel corso degli anni. Svoltò nella via della casa di Dylan e si scontrò con qualcuno, cadendo rovinosamente a terra.
«Mi scusi, non l'avevo vista,» disse una voce che Lane conosceva fin troppo bene. Deglutì e si rialzò, dando le spalle al ragazzo. Questi, però, gli si parò davanti e sorrise ampiamente nel vederlo.
«Lane... quanto tempo,» disse il giovane, tirandosi giù il cappuccio della felpa. Il castano alzò per la prima volta gli occhi e lo vide. Non poteva crederci, doveva essere uno scherzo, oppure il destino gli stava mandando un segnale enorme.
«Ciao, Jeremy,» rispose, in maniera atona. Il ragazzo si passò una mano tra i capelli biondi e lo fissò con quei suoi occhi verdi che avevano, fin da subito, stregato Lane.
«Ti sei fatto male?» Chiese, notando che si teneva il braccio destro. L'altro scrollò le spalle.
«È solo un taglietto, scusami se ti sono arrivato addosso,» disse il castano. L'altro annuì, sorridendo ancora.
«Ho sempre saputo che mi ami, saltarmi addosso così però mi sembra esagerato,» scherzò, ma non c'era nulla da ridere. Lane amava veramente Jeremy. Era stata la sua prima grandissima cotta. Tredici anni a stare con lui, ascoltando i suoi problemi, essendo il suo primissimo confidente e il migliore amico di cui aveva bisogno, guardandolo stare con ragazze che non amava e vedendolo non accorgersi di come Lane fosse innamorato di lui. Ma io sono etero, gli aveva risposto quando, stupidamente, il castano gli aveva confessato il tutto. Fa davvero la differenza? Gli aveva chiesto quindi Lane. Non capiva, potevano essere migliori amici ma non stare insieme. La differenza di sessualità, a suo parere, stava totalmente nella mente delle persone. Lui avrebbe potuto stare insieme a Miranda, se l'avesse amata. O a Jack. Ma no, non c'era quel sentimento, ma tra loro sì. Avevano condiviso così tanti momenti intimi che, ad un certo punto, Lane era convinto di potercela fare, di potergli far capire che gay o etero contava poco, quel che veramente importava era il sentimento. Ma Jeremy aveva preso le distanze, e Lane ne era rimasto distrutto.
«Io devo andare,» decise il castano, superandolo e tornando verso casa. Jeremy lo seguì e lo fermò, guardandolo negli occhi.
«Caspita, ti sei messo in forma. Lane... cos'hai?» Domandò il biondo, diventando improvvisamente serio. L'altro sbuffò, sorridendo ironico.
«Niente che ti riguardi, ora vorrei tornare a casa per medicarmi il braccio,» rispose il castano, cercando di divincolarsi senza produrre risultati.
«Lascia che ti aiuti, vengo con te. Oggi è sabato, tua mamma sarà fuori,» propose lui. Lane spalancò gli occhi, furente.
«Assolutamente no, Jeremy Holden. Non ho intenzione di ripeterlo un'altra volta, quindi ora lasciami immediatamente questa cazzo di maglia o ti giuro che ti prendo a pugni.» L'altro lo lasciò, guardandolo stranito per quell'atteggiamento per niente da lui.
«Noi siamo amici, Lane. Perché mi tratti così?» Lane non ci voleva credere. Scoppiò a ridere sonoramente, poi si leccò le labbra.
«Perché ti tratto così? Tu sei stato il mio migliore amico per anni, ci conosciamo dall'asilo, i nostri genitori andavano in vacanza insieme. Poi ad un certo punto ho cominciato a provare delle cose, e tu hai assecondato ogni mio singolo momento. Da quella volta al lago, a quando eravamo a casa mia, ci siamo baciati, per Dio! E poi mi rifiuti, dando la colpa alla sessualità, che fino a quel momento non ti aveva certo frenato. Mi hai distrutto, Jeremy, hai preso il mio cuore e l'hai gettato a terra, poi l'hai calpestato con così tanta violenza da renderlo in mille pezzi. E ora vieni qui a parlarmi di amicizia? Vaffanculo,» disse, scandendo bene quell'ultimo invito, ma l'altro non ne volle sapere di andarsene. Lo afferrò di nuovo, stavolta per entrambe le spalle, e lo guardò dritto negli occhi.
«Cos'hai, Lane? Non parlo di noi, ciò che hai detto è vero, non dovevo farti sperare. Avevo capito anni fa cosa fossi, però non ho fatto nulla per chiarire le cose, e me ne pento. Ma tu ora stai male, e questo non c'entra con me. Te lo leggo negli occhi, ti conosco troppo bene per non accorgermene,» ribatté, continuando a fissarlo. Lane sentì le lacrime premere per uscire, ma si trattenne e rimase quanto più freddo possibile.
«Sto bene, ora ti prego di lasciarmi andare,» provò, con le ultime forze che aveva. L'altro scosse il capo e strinse ancor di più la presa.
«Hai bisogno di me, Lane. Non ti lascio andare da nessuna parte,» decise. L'autocontrollo del castano vacillò per un secondo.
«No, ti prego, non farlo di nuovo, non trascinarmi ancora nel baratro con te.» Ormai la sua voce era una supplica, non più una pretesa. Jeremy sorrise.
«Ti prometto che non lo farò. Ma ora parlami, Lanny, sono qui per te.» Lane sentì una lacrima rigargli la guancia destra, poi perse totalmente il controllo e scoppiò in un pianto disperato. Jeremy si avvicinò e lo strinse a sé in un abbraccio strettissimo. Lane si lasciò andare, appoggiando la testa sulla sua spalla, e piangendo tutte le lacrime che, fino a quel momento, aveva evitato di espellere.
«Andiamo a casa.»

The Last YearDove le storie prendono vita. Scoprilo ora