8. Buonanotte

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Quando lo sento esalare l'ultimo respiro allento la presa della prolunga alla quale ho reciso gli attacchi poco fa e infine lo lascio afflosciare per terra: membra senza vita.
Lo vedo accasciarsi al suolo e penso alla scena di quel film in cui quella ragazza abbandona al freddo Atlantico l'innamorato e lo vede scomparire sotto la superficie dell'acqua gelida.
Adesso è finita.
Recupero da terra il foglio che ho strappato alla presa della macchina da scrivere come un tesoro dalle mani fredde di un uomo che ha dato la vita per proteggerlo.
Gli dò un'ultima occhiata non davvero interessata e, stropicciandolo, lo infilo nella tasca dei pantaloni.
Risalgo le scale della cantina diretto al piano superiore, abbandonando quel bastardo morto alla fame dei topi.
Apro la porta dello scantinato e mi ritrovo nel soggiorno, dove un certo tepore mi accoglie come fosse giustizia e vittoria, come a ringraziarmi di aver smaltito una simile feccia dalla faccia della Terra.
Sto attraversando il salotto quando qualcosa che non avevo notato prima d'ora attira il mio sguardo: una macchina da scrivere e un malloppo di fogli giacciono su un tavolo di mogano sul fondo della stanza.
Un dubbio cieco mi attanaglia le viscere mentre le ultime parole di Kevin
(o era Owen?)
mi scorrono in testa come acqua fredda.
(Una storia ... un romanzo … un personaggio … io sono lo scrittore)
Sono tentato dal non calcolare minimamente il libro che sembra osservarmi dal ripiano di legno.
Sono convinto che il solo fatto di dare un'occhiata a quei fogli sarebbe una vittoria per Kevin
(Owen?).
Il dubbio mi strozza i neuroni formandosi nella mia testa; un po' come quando ti impegni e studi qualcosa, ma quando poi arriva il fatidico momento di esporla sei lì che ti ripeti in preda all'ansia di non sapere niente, e scopri quindi con orrore mentre apri la bocca per parlare di non ricordarti davvero nulla.
Questi sono i pensieri che corrono per la mia testa cercando di ricordarmi il suo nome.
Il terrore mi assale come un guerriero furioso di altri tempi che attacchi un avamposto nemico mentre, quasi senza rendermene conto, mi avvicino al tavolo di mogano per afferrare quei fogli al pari di un religioso che violi una reliquia sacra.
Prendo una manciata di fogli dalla pila posata a destra della macchina da scrittura e mi concentro su quelle lettere nere d'inchiostro.
I miei occhi sgranano progressivamente mentre quelle righe scorrono come un fiume in piena sotto di essi.
Rialzo lo sguardo pochi minuti dopo, notando terrorizzato che quello che c'è scritto su quei fogli sono gli avvenimenti di quella sera; c'è tutto, proprio tutto: l'albergo diroccato, la bambina, Kevin.
Ogni mia emozione, ogni mia sensazione è descritta perfettamente tra quelle righe nere.
Un orrore ancora maggiore mi fa saltare in piedi all'improvviso quando, abbassando lo sguardo sulla mia canotta grigia, vedo che non è più sporca di sangue, bensì di qualcosa di più scuro: inchiostro.
Allungando le mie mani tremanti ancora una volta su ciò che resta del malloppo di fogli prendo dal fondo un lembo di carta che sbuca come un erbaccia in un prato ben curato, è il primo foglio ma anche l'ultimo dato che i fogli sono messi a faccia in giù: un lungo brivido viscido corre urlante per la mia schiena quando trovo proprio ciò che mi aspettavo di trovare.
Sul foglio è riportato il nome completo di Owen, e questo dovrebbe già bastare a mandarmi in crisi, a farmi cogliere da un panico disturbante quanto un prurito persecutorio e continuo, ma quando abbasso lo sguardo leggo anche un titolo: "Lupus in fabula - un racconto noir"
Mi viene da piangere mentre mi rendo conto di due cose essenziali:
io sono il frutto dell'immaginazione del mio Creatore, l'uomo a cui poco fa ho tolto la vita con una prolunga, e tutto ciò rende me e le mie carni un insieme di parole grondanti d'inchiostro e carta;
io sono diventato il narratore di me stesso.
Cerco di mantente la calma mentre mi perdo in concetti più grandi di me stesso e mi rendo conto di aver ucciso un innocente; scoppio a ridere quando un altro pensiero si sovrappone a questo suggerendomi che lui era tutto meno che innocente: lui era il tessitore dei fili della trama della sua storia, e se Veronica è stata uccisa è solo perchè lui ha deciso che doveva essere così.
Non importa quanto tutto ciò sia vero in questo mondo, dato che a quanto pare è solo un racconto: nella mia realtà lei era vera ed è vero il peso che grava sulla mia coscienza e che corrisponde proprio alla sua morte che non sono riuscito ad evitare.
D'altronde la realtà esiste solo per come è filtrata all'interno della testa di chi la vive: chi può stabilire cosa sia vero e cosa no? Chi è l'eletto che possiede il filtro neutro dell'assoluta e incontrastabile verità?
Il fatto che mi sconvolge ad un livello ancora maggiore è la velocità con cui ho accettato di essere un prodotto di fantasia, un cosiddetto personaggio inventato, ma in un certo, terribile, senso è come se lo sapessi già nel profondo.
Mentre barcollo per il salotto posando i piedi su un tappeto decorato con la faccia tra le mani ho un'intuizione irrazionale.
Mi fiondo alla macchina da scrivere, e strappo tutto un gruppo di fogli gettandoli alle mie spalle.
Spasmodicamente vado alla ricerca di qualche nuovo foglio e quando lo trovo mi metto all'opera per cambiare la storia.
Quando ho finito di scrivere le dita mi fanno male, e così la testa.
Mi accorgo solo ora di aver ricominciato a perdere sangue, o meglio inchiostro, e mi sento improvvisamente debole mentre con la punta di due dita ne raccolgo un po' dalla canotta e lo guardo brillare sotto la luce del soggiorno; ma ora la storia è stata cambiata, ora la bambina è stata salvata dalle grinfie di quel pedofilo che prende il nome di Kevin.
Lei si ritroverà nella stanza dell'albergo sicuramente spaventata, ma viva.
Questo è quanto basta a farmi riposare in pace.
Io invece? Qual è il tramonto che ho scelto per me?
Mi ritroverò accanto all'albergo, con la testa sfracellata sullo sterrato e mi sembra di vedere già questo finale, come lo stessi vivendo in quel momento, come per recuperare lo spazio temporale occupato da una fine fasulla di un altro autore: io salto addosso a Kevin prima che lui possa tagliare la gola a Veronica e poi il volo immediatamente successivo giù dalla finestra tra schegge di vetro e stelle della notte e infine l'impatto con il suolo abbracciato a Kevin in attesa del grande sonno.
Ora mi concedo un sorriso mentre perdo di consistenza all'interno del soggiorno.
Da un narratore più imparziale del precedente, e non per questo più reale, viene messa la parola fine a questa storia, e vi viene augurata la buonanotte.
Ewan.

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