7. Antartide

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Avrò scritto all'incirca mezza pagina quando la luce del seminterrato si riaccende e la porta si riapre.
La luce mi fa gelare il sangue che corre nelle vene rendendo il mio cuore l'Antartide.
Mi giro e riesco a vedere che Ewan è in piedi sulla porta, in cima alle scale, e qualcosa come una corda gli pende dalla mano sinistra.
Si precipita giù dalle scale e mi trascina via dalla macchina da scrivere strattonandomi per la maglietta, e quando riesce finalmente a farmi girare verso di sé mi oppone un pugno in piena faccia che mi fa sedere per terra.
Il confronto a livello fisico è totalmente sproporzionato, Ewan vanta quasi due metri di statura, un metro e novantanove centimetri per la precisione, mentre io mi aggiro poco sotto il metro e sessanta; quando realizzo questo fatto mi ricordo all'improvviso quanto fosse importante finire di scrivere quella pagina: per quanto fosse folle l'idea era anche l'unica che avrebbe potuto funzionare.
Noto ora che Ewan è particolarmente attento a ciò che ho scritto, ma quando si gira verso di me è come se avesse un enorme punto interrogativo sulla faccia.
Così egli strappa il foglio dalle fauci della macchina da scrivere e lo agita nell'aria verso di me chiedendomi cosa sia.
La domanda fa sorgere sul mio viso un punto di domanda più grosso del suo, e mi ritrovo a chiedermi come sia possibile che lui non lo sappia.
"Davvero non riesci a capire?" Gli chiedo io.
Ewan mi guarda, guarda il foglio e mi dice:
"Che cosa stavi scrivendo qui? Perché c'è il mio nome?" Chiede con una sfumatura di nervosismo nella voce.
A quel punto tutto mi sembra chiaro come non mai, la mia mente ha finalmente realizzato ciò che sta succedendo.
Ho il dubbio che la mente di Ewan invece ci metterà un po' di più ad accettare ciò che sto per dirgli.
"Vedi, questa è solo una storia, un racconto: e non mi riferisco a ciò che tieni in mano, io sto parlando delle azioni che stai compiendo, i respiri che stai facendo.
Tutto questo è scritto su carta, in un romanzo.
Tu sei un personaggio di mia invenzione, e questo è il finale della mia storia".
Ewan mi guarda con gli occhi sbarrati;
infine scoppia in una grassa risata che va tramutandosi in un ululato da brividi.
Non dovrei sorprendermi di questa reazione, lui non può accettare questa visione della realtà così facilmente: è solo una pedina.
Quando finisce di ridere, ed è stata una risata molto lunga, mi guarda e mi dice:
"Così tu pensi di potertela cavare così? Tu poco fa hai sgozzato una bambina davanti ai miei occhi lurido porco!" Dice Ewan scoprendo le fauci bianchissime.
All'inizio ci metto qualche momento a capire cosa sta dicendo, ma poi capisco e tento di spiegare:
"No Ewan! Cerca di capire! Quello era Kevin, e lui è un altro personaggio! Io sono Owen, sono lo scrittore, il narratore! Questa storia doveva andare così! Doveva finir-" e mi blocco d'improvviso perché solo ora rifletto realmente sul finale del libro.
Ewan scambia la mia interruzione per qualcos'altro, forse qualcosa che gli fa pensare che io stia mentendo, perché all'improvviso avanza verso di me che sono ancora seduto a terra.
Mentre si fa avanti lo vedo srotolare quel pezzo di corda che tiene in mano.
"Sai invece io che cosa penso? Io penso che il tuo nome sia Kevin, e penso che tu volessi che io ti uccidessi, perché ti senti in colpa, figlio di puttana, ti senti in colpa per ciò che hai fatto a quella bimba: così hai voluto che ti trovassi, nonostante ora tu mi stia pregando in modi assurdi per risparmiare la tua schifosa esistenza! Ma non accadrà, non con me, non stanotte: anzi, dopo stanotte non accadrà mai più" e detto ciò Ewan mi fa passare quello che ora riesco a distinguere come un filo elettrico reciso intorno al collo.
Fa un paio di giri al di sotto del mento con il filo, e mentre parla ancora mi fa girare su me stesso finché la mia schiena non è contro le sue tibie: infine comincia a tirare come un cavallo spaventato verso di sé, verso l'alto, e ad un certo punto non sento altro che il mio corpo che viene sollevato.
Lotto con tutto me stesso per liberarmi da quella stretta ma all'improvviso le mie dita scivolano via dal filo elettrico come fosse viscido, come fosse un serpente.
In fondo va bene così, questo è il finale che ho scritto per tutti voi che state leggendo mentre Ewan mi strappa con un filo della corrente i miei ultimi respiri, mentre il mio cervello in allarme constata quanto poco ossigeno sia rimasto.
Mentre le lacrime cominciano a sgorgarmi dai condotti lacrimari tutto il mondo intorno a me si sfuma e si deforma, sembra il processo inverso di quando ho ripreso conoscenza;  e l'ultima cosa che vedo è la macchina da scrivere, ed in cima ad essa un lembo di foglio bianco, quello che avrebbe potuto salvarmi la vita se solo avessi avuto il tempo di riscrivere il finale di questa storia.
Ecco cos'è quel foglio: il dramma di ogni scrittore, ciò che una storia potrebbe essere ma non è.
Se va in un modo non va nell'altro, e non si può mai sapere quale sia quello giusto.
Il mio ultimo pensiero mi suggerisce che ogni storia ha il suo prez-.

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