Capitolo 5

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"Dolce o salato?"
"Non puoi farmi domande inerenti al cibo, è come scegliere fra i propri figli". Eravamo a testa in giù, sdraiati sul letto e con le gambe appoggiate al muro, alla mia risposta lui si mise a ridere: era una risata grassa, di quelle che non gli avevo mai sentito fare. Poi continuò con le domande. "Colore preferito?"
"Viola, dall'età di 8 anni. Il tuo?"
"Mi piace tanto il blu, ma anche il nero"
"Cane o gatto?"
"Gallina" rispose lui come se fosse normale. Mi alzai leggermente per guardarlo. "Seriamente?"
"Certo che sono serio, ne abbiamo pure una. Si chiama Highlander, è scampata all'attacco di 4 cani. Ma non sta in casa, la teniamo nei campi qua dietro". Scoppiai in una fragorosa risata.
"Dovresti ridere più spesso" mi disse dopo.
"Vuoi dire che sono depressa? Guarda che io rido" risposi fingendo di essere offesa.
"Voglio dire che vederti sorridere fa star bene pure me. Facciamo merenda? Mamma ha fatto la torta di mele, a meno che non l'abbiano già divorata quelle pesti delle mie sorelline" cambiò rapidamente discorso notando che ero diventata rossa, di nuovo.
"Si mangiamo, ho fame. A proposito, non le ho viste. Non me le presenti?"
"Adesso sono a scuola di danza e penso che quando te ne andrai non saranno ancora tornare. Quando ritorni ti prometto che te le faccio conoscere."
"Va bene".
Ci alzammo dal letto e lo seguii in cucina, nel frattempo aveva acceso la radio. "La conosci?" Mi chiese. "Si, è pure nella mia playlist". Era una canzone movimentata, mi prese le mani e cominciammo a ballare con movimenti buffi, come nelle feste di capodanno.
Dopo aver fatto merenda, andammo in camera sua, prese da un cassetto un foglio bianco e staccò un disegno appeso al muro. "Questi sono i labirinti di cui ti parlavo"
"Sono affascinanti"
"Vieni che ti insegno". Ci mettemmo alla scrivania, impugnai il lapis e lui mise la sua mano sulla mia guidandomi nel disegnare le linee. Dopo aver capito come fare continuai da sola. "GUARDA CHE CAPOLAVORO. VAN GOGH MI FAI UN BAFFO" esclamai dopo aver concluso l'opera. "Complimenti, complimenti. L'allieva ha quasi superato il maestro" disse lui, prendendomi in giro scherzosamente. "Adesso che ti va di fare?" Proseguì. "La sai suonare?" Dissi indicando la batteria. "Yes, e non per vantarmi, ma sono anche abbastanza bravo" affermò con tono fiero. "Voglio assolutamente sentire qualcosa". Si sedette sul panchetto e cominciò a suonare una canzone. Era davvero bravo, sicuro di sé, si vedeva che era quello che amava fare. Forse più che disegnare. "Da quanto suoni?" Gli chiesi sorpresa. "Sei davvero bravo, si sente che è la tua passione"
"Grazie mille, ormai sono 5 anni. Si, quando suono mi scordo di tutto". I suoi occhi brillavano quando parlava della batteria e quando la suonava sembrava non volesse farle del male.
Nel pomeriggio continuammo a parlare del più e del meno. A un certo punto cominciò a leggermi uno dei libri di Einstein di cui mi parlava ma mi addormentai sulla sua spalla.

Il figlio del giostraio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora