Mi riuscì ad alzare, senza l'aiuto di nessuno. Vidi Giulio guardarmi negli occhi e quella bestia in me si risvegliò.
Lo presi per il colletto e lo incatenai al muro. Il dottor Privitera intanto era stato chiamato.
Diedi un pugno, di quelli pesanti, su quel bel faccino che Giulio si ritrovava e si destabilizzò.
Rischiò quasi di cadere a terra, se non fosse stato per mia mamma che lo trattenne per la manica della felpa. Felpa che si era comprato coi miei soldi.
«Cazzo Giorgio calmati!» mi urlò mia mamma. Al contrari di come dimostrava, miaamma diceva un sacco di parolacce.
Mi allontanai da Giulio e mi sedetti sulla scrivania, e passai le mani sul pantalone per asciugare il sudore.
«Che succede, piccolo?» si avvicinò a me e provò ad accarezzarmi.
«Lui ha i miei soldi!» urlai.
«Non è una novità amore, che succede?» il tono di mia madre mi rilassò, tantoché iniziai a calmarmi.
«Io, Giulio... Credevo di essere importante per te. Non pensavo di essere il tuo amico-succhiacazzi.» sbarrò gli occhi e il dottore si venne a sedere di fianco a me.
«Così, l'hai saputo?» mi chiese sempre lui con un tono consapevole.
«Ho sentito ciò che diciavate in ascensore.» indicai i due schermi dietro la mia schiena.
«Giorgio, io, mi dispiace, Ok? Non pensavo di essere così importante.» alzai lo sguardo e gli lanciai un'occhiataccia.
«Ah, sai com'è: non fumo, non bevo, non mi drogo e poi faccio pompini a destra e a manca.» sorrisi piano.
«Giulio, però, no, potevi evitare la storia di Beatrice. Non credi?» abbassò lo sguardo e sentì i miei occhi inumidirsi.
«Scusa. » sussurrò flebile, soltanto.
«Che farai ora, Giorgio?» disse il medico riferendosi a Giulio.
«Io, non lo so. Non c'è qualcuno che lo possa sostituire? Ho ancora bisogno di qualcuno.» ricacciai dentro le lacrime, provando a sorridere.
«No, Giorgio. Sono l'unico che fa questo lavoro. Il resto o sono zoccole o clown per bambini.» volevo infilargli due dita in gola e fargli vomitare le corde vocali. Ma, allo stesso tempo, volevo sentire la sua voce, per sempre.
Non sapevo che fare. Ero sconfortato.
«Giorgio, io ti voglio bene. E posso pure lavorare quest'ultimo mese, senza farmi pagare.» alzò finalmente lo sguardo verso di me e vidi un sincero sorriso.
Lo volevo davvero. Volevo davvero stargli accanto ancora.
«Ma perché continui a parlare?» chiese acida mia mamma. Un pò la amai, e un pò, un pò la odiai.
«Lascialo stare, mà. Io non lo so Giù.»
«Giorgio hai tutto il tempo per pensare, tranquillo.» mi rassicurò il Bontempi. Lo guardai, e poi guardai mia mamma.
«Mamma, tu sapevi tutto?» sgranò gli occhi poi disse:
«Io lo sapevo già da subito. Volevo disdire l'accordo, poi però ho visto che ti faceva stare bene e ho preferito non immischiarmi.» fissai mia madre per qualche secondo, e non protetti odiare la donna che mi aveva dato di tutto, per diciassette anni.
Scesi e l'abbracciai in totale stile ‹C'è posta per te.›.