Un profondo senso di inadeguatezza mi pesava sul suo corpo che non era più mio. Non riuscivo a controllare quello che facevo ormai, arrendendomi senza alcuna speranza di tornare quella di prima. Avevo dimenticato i ricordi di quella che ero, sotto lo sguardo soddisfatto di tutto ciò che mi circondava. Sì, tutto mi scherniva con uno sguardo, con un sussurro, con un ghigno divertito sulla mia sofferenza. Era tutto così opprimente, non riuscivo a respirare, non riuscivo a controllare i miei stessi organi. Avevo tentato di chiamare aiuto, ci avevo provato con tutta me stessa all'inizio, avevo urlato fino a perdere la voce per giorni, ma una sagoma scura mi tappava la bocca, sopprimeva l'urlo straziato in un sorriso, e le persone abboccavano alla menzogna. Io ero felice. Io stavo sorridendo.
No. Non era vero. Volevo uscire da lì, ma lei mi controllava, sapeva già quello che volevo fare ancor prima che lo pensassi. Spesso mi insultava, mi picchiava con pugni impressi in sussurri di una voce che era così familiare, così mia. Era la mia. La sagoma che aveva preso il mio posto infondo, aveva lo stesso colore scuro e opaco dei miei occhi. Aveva le mie stesse espressioni. La mia stessa voce. Eppure non ero io. Era un'altra. Non potevo essere io, giusto? "Tutto bene oggi?" No, non sto bene. Voglio piangere, voglio bruciarmi la gola per le urla, voglio solo un po' di pace, aiutami. "Sì, sto bene." No, non è quello che volevo dire, è tutto sbagliato, così sbagliato. Perché non posso parlare? Perché non posso muovermi? È così ingiusto. Tutto da quel maledetto giorno. Da quel maledetto giorno è andato tutto in rotoli. Tutto. Voglio tornare indietro. Non vorrei mai aver oltrepassato la parete, perché l'ho fatto? Ora ricordo. Le voci. Quelle voci erano così amichevoli, chiacchieravano con me quando nessuno voleva farlo. Spesso giocavano assieme a me nella mia grande camera, abituata a vedermi in solitudine nel mio silenzio. Mi parlavano di un mondo migliore, dove esisteva solo la felicità, e dove ci sono genitori che si preoccupano di te, che ti vogliono bene, che ti amano. Poi ci fu lei: Soyara. Era una bambina della mia età. Aveva l'aspetto piuttosto debole e gracile. Si affaticava spesso, ma non riceveva forze da delle medicine, bensì da qualcos'altro. Purtroppo me ne accorsi troppo tardi e ormai non riuscivo a controllarmi più. I miei muscoli tendevano abbracci che mai avrei voluto dare. I miei genitori, che si lamentavano sempre del mio essere riservata e silenziosa, ora amavano Soyara. Allungava le 'mie' labbra in una lama sottile all'insù, e non ho mai visto i miei genitori meravigliarsi tanto. Col tempo, le riunioni di lavoro di mio padre si fecero stranamente meno frequenti, e offriva sorrisi e calore al mio corpo, che, anche se non riuscivo a muoverlo, mi faceva male. Le mie labbra erano sempre indolenzite per i continui sorrisi. La mia gola bruciava come fuoco per le continue risate. Lo sentivo. Sentivo il dolore lancinante di ogni fibra dei miei muscoli contrarsi quando si allungavano, intrecciandosi con i corpi dei miei genitori, ricevendo un calore che sembrava scottarmi. Soyara era bravissima ad essere me. Aveva imparato subito la routine quotidiana. I giorni in cui si faceva equitazione, i giorni in cui si andava a caccia e quelle dove c'erano le mie amate lezioni di pianoforte. Sapeva suonare molto meglio di me, ma non aveva una buona mira nella caccia. Ma poi, cambiò la routine che tanto amavo, e in fine la distrusse. Cominciò a sporcare la mia voce di insolenza e cattiveria, scatenando il disprezzo di chiunque, anche dei miei genitori, che amavano follemente Soyara. Divenne perfino la loro figlia prediletta, scaturendo più odio di quanto provasse nei miei confronti Terence. Provavo ripugno verso la sua persona come nulla al mondo. Capii il suo odio fin dal primo giorno del nostro incontro. Mi odiava. Ma a Soyara non piaceva farsi mettere i piedi in testa, tantomeno da lui. Capii quanto potesse essere semplice farsi rispettare, quanto fosse semplice diventare più forte, perché io ero così debole. Ero così fragile. Capii solo in quel momento quanto fossi inutile, invisibile. Terence ormai temeva Soyara e la rispettava come fosse una sorella. Aveva tutti ai suoi piedi Soyara, persone che fino a quel momento mi detestavano, mi schernivano. Ora temevano la sola presenza di Soyara. Avevano paura di lei. E io restavo a guardare, ad affascinarmi sul tanto potere di Soyara. Era forte e non si arrendeva mai. Cominciavo a pensare che fosse più adatta lei a questo corpo, e giorno dopo giorno, opposi sempre meno resistenza, sempre meno, sempre meno, sempre meno. Ogni giorno di meno, fino a quando la gola non faceva più male, il mio corpo non bruciava più. E Soyara cominciò a smettere di tapparmi la bocca. Mi osservava quasi con pena, con disdegno. I suoi occhi mi perforavano e mi lanciavano accuse gelide come frecce di ghiaccio. Sì, mi sono arresa, è tuo. Il mio corpo è tuo, tienilo. Ma ora lasciami in pace, uccidimi se vuoi, ma non voglio restare in questo corpo imponente, a guardare, a vivere una vita che potrebbe essere mia, ma che non sono stata abbastanza forte per ottenerla. Non voglio più stare qui. Voglio andare via, in un posto più silenzioso, dove non ci sei.
"Oh, no. No no. Tu starai qui, ad osservarmi mentre distruggo tutto ciò che amavi. Devi osservare ciò che, per colpa tua, non ci sarà più. Devi provare ripugno per te stessa, devi farti venire la sensazione di schifo sentendoti te stessa. Devi soffrire, perché hai lasciato ad una semplice bambola di vivere la tua esistenza. Hai visto quanto era semplice ottenere l'amore degli altri? Hai visto? Quanto potesse essere semplice? E la colpa di chi è? Potrebbe essere mia, ma è questa la mia natura, non posso farci nulla. Tu avresti dovuto ribellarti. Voi vivi, non potete capire quanto bello sia vivere. Sottovalutate la vita, la sfruttate per starvene nella vostra depressione sperando che qualcuno vi salvi. Ma chi è che può salvare qualcuno? Solo se stesso. Se non si è troppo forte, allora non è degno di vivere. Beh, tu non te ne sei accorta, ma non sei mai stata rinchiusa"
"Cosa? Di che diavolo stai parlando? Ho dovuto osservare cosa facevi con il MIO corpo per anni, ed ora mi dici che avrei potuto fare un'altra scelta?"
"Vedi quella bambola di fronte a te? Quella rossa."
"...Sì."
"Non pensi assomigli a qualcuno? Assomiglia molto a te, vero. Perché quella SEI tu. Lo sei diventata da molto tempo fa. Appena presi controllo del tuo corpo. Ma non potevi accorgertene, eri troppo obbligata ad autocommiserarti per una vita che non è più tua, ho ragione, vero?"
"Io, sarei una bambola?"
"Beh, del resto quella che ero io prima di aver incontrato una bambina tanto sciocca da farsi usare. Ora hai preso tu il mio posto, e vivrai la tua intera esistenza nell'agonia del restare immobili nella speranza di trovare qualcuno da sfruttare come corpo. Sei stata sciocca. Invece di rivendicare ciò che ormai non è più tuo, avresti potuto fare ciò che ho fatto io con te, ma ora è troppo tardi. Sciocca, sciocca ragazzina. Oh, non puoi rispondere, non puoi usare quella voce che tanto mi aveva dato fastidio, perché sei una bambola ora.
Sei solo una bambola, governata da dei fili che non puoi manovrare, lo sei sempre stata. Hai sempre finto di combattere. La tua battaglia era già parsa fin dal principio, vero, Soyara?"
