Prologo

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«Ragazzino, ti do 5 dollari se la smetti di darmi calci al sedile.»


Il ragazzino lo guardò con aria confusa e riprese ad infastidirlo.

«Credo che non ti abbia capito.» Disse il giapponese seduto sul sedile accanto a lui. «dovrai abituarti a parlare in coreano se vorrai vivere a Seoul.»

«Lo so, ma non mi va di farlo fino a quando non toccheremo terra. E per la cronaca, non è stata una mia scelta salire su questo aereo.»


Tutto iniziò qualche settimana fa..


Non gli era mai piaciuto il liceo. Lo considerava una prigione. Il suo campus era strettamente monitorato da telecamere e ogni mattina appena gli studenti mettevano piede nella proprietà del liceo venivano perquisiti con un metal detector.
Ti facevi beccare con addosso una chiave inglese e un coltello ? nel migliore dei casi ti avrebbero sospeso per 2 settimane. Se ti chiamavi Kim Jongin, davano il tuo nominativo alla polizia e scoprivano che esisteva già un fascicolo con una sfilza di precedenti. Quindi Jongin aveva imparato che la cosa più saggia da fare era tenere i suoi attrezzi da autodifesa nella sua Chevrolet e usarli solo se ce ne sarebbe stato bisogno.


Se c'era una cosa per cui viveva, era correre.
Correre era la sua religione e le auto e i motori il suo codice di vita.
Sentiva di essere al suo posto solo quando stringeva il volante di un auto in corsa.
Era la sua vita, anche se molte volte lo aveva messo nei guai...

Durante la lezione di algebra non fece altro che scarabocchiare qua e la sul quaderno motori e marmitte, con il risultato di farsi buttare fuori dalla Professoressa Williams.

L'ora di pranzo per lui era il momento che odiava di più. Trovare un posto per sedersi e mangiare la sbobba che gli rifilava la mensa in assoluta pace, era come cercare di spingere un auto in salita. La cosa che lo infastidiva, erano le cricche; e quella che odiava di più era quella dei giocatori di football e delle cheerleaders. Un branco di ricconi viziati, figli di papà e reginette, che non si sarebbero sporcati mai le mani per guadagnarsi da vivere, perché potevano avere già tutto quello che gli serviva con uno schiocco di dita.

Jongin invece doveva guadagnarseli i suoi dollari, perché non aveva un padre che lo manteneva; o per meglio dire, aveva smesso di passargli i soldi al suo 18esimo anno d'età. Jongin non aveva una bella opinione di suo padre, pensava che fosse troppo impegnato dall'altra parte del mondo per ricordarsi di avere un figlio in America. Il signor Kim divorziò da sua madre tanti anni fa, quando iniziò a capire che la signora lo tradiva con chiunque, e approfittando di un posto di lavoro libero a Seoul, la lasciò su due piedi.

Jongin pensava che lui non avrebbe mai avuto questo genere di problemi. Perché il suo unico amore erano le auto. Non aveva mai avuto relazioni stabili, solo sveltine e cose prive di significato. La verità era che lui amava più le auto.



Finite le lezioni si diresse nel parcheggio. Non vedeva l'ora di salire e sgommare via da quel posto.

«Bella macchina..» disse Alexis Cox alla sua vecchia Chevrolet Monte Carlo bianca, dicendolo così sensualmente come se stesse facendo un complimento al suo cazzo.

Era seduta sopra alla spalliera nera della viper rosso fuoco del suo ragazzo, il Quarterback della squadra di football, e indossava un top e una minigonna succinta, con una gamba sopra il parabrezza a stendere uno strato di smalto rosso ai piedi.
Per lui fu praticamente un insulto vederla non avere un briciolo di rispetto per quell'auto.

«Fa il suo dovere.» le rispose freddo e con disinteresse aprendo la portiera dell'auto per posare lo zaino.

«Quale dovere ? Consegnare le pizze ?» il suo tono era un misto tra provocazione e la lussuria.

Rush For The FreedomDove le storie prendono vita. Scoprilo ora