Capitolo 9

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«Non se ne parla Ermes» Con un coltello aveva tagliato leggermente il suo collo, lacrime e sangue scorrevano velocemente gettandosi sui suoi vestiti.

Dio Camulos vuoi guerra con i miei stessi fratelli? Vuoi questo? Hai permesso che io fossi preso come schiavo, insieme alla mia gente, cosa vuoi ancora? Pensai. Avevo gli occhi chiusi, dovevo riflettere su cosa fare e non fare.
Se il Dio Camulos mi ha messo davanti a questa situazione, significa che devo combattere, non ho altra scelta.

«Vuoi il ciondolo? Ti faccio vedere com'è, poi dimmi se lo vuoi ancora» Gli dissi.
Tenevo un coltello sempre con me, con la mano sinistra lo toccavo per assicurarmi della sua costante presenza.

«Si, fammelo vedere» Disse l'uomo sogghignando. I suoi denti erano sporchi, come la sua barba incolta e unta, i suoi occhi grigi, incorniciati da folte sopracciglia bianche, esprimevano desiderio e vendetta allo stesso tempo.

Delicatamente avevo preso il ciondolo al collo di Adele per mostrarglielo,  le accarezzavo la guancia con l'altra mano, sia per asciugarle le lacrime, sia per rassicurarla.
L'uomo accecato dal ciondolo, ornato di incisioni, non si era accorto che con la mano sinistra avevo preso il coltello, così avevo approfittato della sua distrazione per impugnarlo e pugnalarlo dritto nel petto.
I suoi occhi mi guardavano, diversamente da come mi avevano osservato qualche minuto prima, erano aperti, spalancati, ma erano vuoti, spenti, senza anima.

«Che la dea Hel possa accoglierti e proteggerti, che tu possa vivere felicemente nel regno di Helheim fratello mio.» gli dissi reggendo il suo peso.

Adele si era accovacciata, era spaventata e impaurita.

«Ti curo subito, non toccarti va bene? È un taglietto piccolo quello che ti ha fatto.» le dissi prendendole la mano.

Adele mi guardava, i suoi occhi verdi ora erano scuri e le sue guance erano molto rosse.
Io volevo solo curarla, certo mi serviva soprattutto per rientrare in Inghilterra, ma iniziavo a volerle bene, dopotutto non posso farle del male, non lo sopporterei per come sono fatto.

«Mi parli delle tue divinità Ermes? Sono così diverse dalle nostre?» mi chiese mentre io la stavo curando.

«Certo. Ora ti verso dell'acqua per pulirti dal sangue» avevo preso una brocca d'acqua per lavarle il collo. «Sai esiste un meraviglioso ponte arcobaleno, si chiama Bifröst, il quale permette di arrivare ad Asgard o Asgaror, lo chiamiamo in entrambi i modi. Asgard è la dimora degli Dei, i quali ci osservano e ci guidano.» le dissi prima di essere interrotto da Themis.

«Ermes cosa è successo, santissimi Dei!» aveva preso il corpo dell'uomo che avevo ucciso con freddezza, lo avevo disteso per terra e gli avevo chiuso gli occhi, nel mentre curavo Adele distraendola con i miei discorsi assurdi.

«L'ho ucciso Themis, voleva la ragazza e sai che non posso permetterlo, aveva strane idee in mente.» gli avevo appena mentito, ma non doveva sapere la verità.
Adele guardava l'uscita, forse non voleva assistere ad un'atra lite come quella di prima.

«Ermes, non puoi fare quello che vuoi, cosa ti è successo? L'hai ucciso per una donna Romana? Cosa ti rappresentano le nostre donne allora?» Gridò infuriato.
Mi toccava più volte il petto, ma restavo fermo e immobile, non mi avrebbe spinto questa volta come quando ero più piccolo.
Themis quando era arrabbiato lo faceva spesso: mi colpiva sul petto con le braccia distese e io arretravo fino a cadere, ero più debole di lui.

«Ermes rispondi, non guardarmi soltanto! È colpa tua se sei così, se sei qua e se Jane è incinta, svegliati!» Gridò con tutto il fiato che aveva.

Jane incinta? Tutti i suoi discorsi sul matrimonio e ora che non ci sono è incinta, non ci credo.. pensai.
Con un braccio mi liberai delle sue mani e mi allontanai, fissando il vuoto, presumo.

«Vado a fare la pipì, mi scappa» disse Adele, interrompendo i miei pensieri.

«Senti fratello..» Disse Themis venendo incontro, ma Adele era la mia priorità in questo momento. Non poteva uscire qua da sola.

«Lasciami in pace Themis!» gridai uscendo dalla tenda.
Avevo preso il pugnale ancora sporco di sangue e la mia mantella, dovevo starle più vicino in questo campo, non avevo altra scelta.
Notai solo un cavallo: il mio, il quale sbuffava, infastidito forse.
Il suo non c'era più, era scappata.

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