Capitolo 11

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Sentivo la necessità di aprire gli occhi, muovermi e sorridere.
Due occhioni grandi, che ricordavano tanto un incantevole prato fiorito, mi stavano guardando.
«Agapou Mou» sussurrò lei.

Guardavo solamente le sue soffici labbra in questo momento, mi ricordavano la sensazione che avevo provato al loro tocco sulla mia pelle: i miei peli chiari si erano drizzati e irrigiditi per il piacere e per l'eccitazione.

«Buongiorno, cosa significa Agap.. quello che hai detto?» Le chiesi sorridendo.
Il mio pollice sfregava dolcemente le sue lentiggini sulla guancia sinistra, volevo godermi questo momento d'intimità, sapevo che una volta usciti da questa tenda le cose sarebbero cambiate.

«Non significa niente, ma mia madre me lo diceva spesso quando mi regalava le sue carezze» mi disse chiudendo gli occhi.

Eravamo sdraiati di lato su due sacchi a pelo molto morbidi, l'uno di fronte all'altro.
Le sue palpebre erano chiuse, doveva pensare a sua madre perché ora sembrava più tesa, il suo viso più adulto e le sue sopracciglia si erano arricciate formando un piccolo arco.
Con il braccio sinistro cercavo di avvicinarla più a me, per stringerla in un caloroso abbraccio, la mia mano le accarezzava la sua schiena glabra, sembrava seta.

«Adele, sei molto più bella quando sorridi, quindi ora mostrami i tuoi denti» le dissi in un sussurro.

Adele aveva aperto gli occhi, sembravano ancora più grandi perché mi guardava in un modo strano, avevo capito che stava per ridere, era la sua classica espressione prima di scoppiare in una calorosa risata.
Sentirla ridere era una gioia per me, mi rendeva davvero felice e positivo, sembrava ancora più bella e più bambina.

«Ora dobbiamo tornare però» Le dissi sorridendo mentre le diedi un leggero schiaffo sul suo fondoschiena.

Ci stavamo incamminando verso mio fratello, dovevo risolvere alcune cose con lui e poi dovevo pensare a cosa fare con Adele, dopotutto eravamo scappati, non potevamo ritornare in città.

Diversi uccelli avevano cambiato direzione, andavano in quella opposta alla nostra.
Non ci avevo dato attenzione, almeno fino a quando uno stormo non fece altrettanto. Qualcosa non andava.

Un rumore proveniva da davanti a noi: erano cavalli che correvano accompagnati da diversi soldati al galoppo.

«Ermes sono soldati Romani, guardali» disse Adele con un tono spaventato.

La loro armatura era grigia, così come i loro scudi e le loro spade.
Venivano nella nostra direzione accompagnati da un ragazzo, il quale strisciava sul campo per la velocità dei cavalli, sembrava uno di noi, uno della Terra del Sud.

«Ermes vieni nascondiamoci! Cosa ci fai fermo» Gridò improvvisamente.

«Dove vuoi nasconderti con due cavalli? Sono sempre più vicini, quell'uomo a terra mi sembra uno di noi Adele.» le dissi senza guardarla negli occhi.

Ci spostammo a piedi velocemente più a est e tenemmo i cavalli per delle corde dietro agli alberi.
Adele si era immobilizzata all'arrivo dei soldati Romani, i quali non si erano accorti della nostra presenza, ma io mi ero reso conto di una cosa che mi aveva fatto perdere la testa: Arthur, il ragazzino rossiccio che aveva preso Adele dalle Terme per catturarla, stava strisciando sul suolo legato per una corda.
Erano lontani da noi, ma ero sicuro che mi aveva visto, sentivo i suoi occhi persi sui miei.
Stava soffrendo e non era più in grado di lottare, le sue vesti rosse sembravano consumate e sporche, il suo viso sembrava chiedere aiuto e i soldati lo stavano trattando come se fosse un rifiuto pronto da gettare nel fiume.

Come è possibile che mio fratello non sia qua? Dove è santissimi Dei.

Il mio istinto mi diceva di andare da lui, anche se Adele mi teneva per un braccio.
I soldati si stavano allontanando velocemente, sembravano diverse chiazze che pian piano si rimpicciolivano.

«Devo andare ad aiutarlo, è contro la mia morale, contro me stesso, non posso non salvarlo.»

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