XI.

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L'appartamento era buio ed incredibilmente silenzioso, l'unico rumore proveniva da un rametto di ciliegio che, spostato dal vento, sbatteva contro il vetro della finestra.

Solitamente quel rumore la infastidiva tremendamente, le impediva di concentrarsi a dovere ma, quella sera le cose sembravano andare diversamente.
Erano forse le tre o le quattro, non sapeva dirlo con certezza, l'ultima volta che aveva controllato l'orario era stato poco prima di uscire dall'auto di Taehyung.

Una tela posizionata davanti ai suoi occhi era stata completamente ricoperta di un oscuro rosso che ormai aveva terminato di asciugarsi.
Yen, un pennello dalla punta sottile fra le labbra e la tavolozza dei colori nella mano destra, cercava in tutti i modi di far uscire le immagini di quella sera dalla sua testa per riportarle su quello sfondo dal colore insolito.

Ancora fresca tra i suoi ricordi era l'immagine di Jungkook che l'afferrava saldamente per la vita, facendola volteggiare sul marmo della pista da ballo come il più leggiadro dei petali di un fiore di ciliegio vola, trasportato dal caldo vento di fine maggio.
Il suo cuore sussultava un po' di più man mano che quell'immagine le si ripresentava sotto gli occhi.

Una serie di veloci pennellate, non le servì altro.
Due corpi illuminati da una luce chiara fecero la loro comparsa sullo sfondo rosso, accompagnati da ombre che, insolentemente, li abbracciavano, accompagnandoli in quella danza durante la quale il tempo era stato fermato.

Perché non aveva ritratto Taehyung?
Perché su quella tela, al posto di un uomo dalle spalle larghe e i lineamenti ancora giovanili, non c'era il suo Taehyung?

Il suo inconscio non ci mise lungo tempo per darle una risposta: il suo Taehyung non era stato abbastanza veloce, abbastanza impavido.
Il suo Taehyung forse non la conosceva abbastanza.

Si chiedeva se, dopo il comportamento che aveva tenuto poche ore prima, ora stesse pensando a lei, se stesse pensando a loro.
L'aveva lasciata così: non una parola o un gesto che potesse placare il suo animo inquieto, solo uno sguardo perso nel vuoto, freddo.

Una smorfia di disgusto prese possesso del dolce viso di Yen: se quella era la decisione di Taehyung, sarebbe stata ben accolta, poteva ripagarlo con la stessa moneta.

Posò i colori ed il pennello sul ripiano di fianco al cavalletto, dirigendosi in bagno per togliere i residui di pittura dalle dita affusolate, dopo di che corse in camera sua e accese il vecchio portatile sulla scrivania.

Jeon Jungkook

Il tasto invia venne premuto ed una serie di risultati apparve sotto i suoi occhi.
Aveva addirittura una pagina di Wikipedia a lui dedicata, con tanto di varie curiosità del suo periodo pre-laurea.

La sua ricerca continuò per poco, un'altra decina di minuti al massimo, il tempo di trovare l'indirizzo della sede dell'agenzia.

Guardò fuori dalla finestra: astratti disegni arancioni, rossi, rosa e gialli tingevano il cielo come se esso fosse la più ampia delle tele da disegno, il più bel quadro esistente al mondo era quello lì.

Erano le 6 di mattina e solo in quell'istante la ragazza realizzò di non aver chiuso occhio per più di ventiquattr'ore.
Sospirò, poco importava, in ogni caso.

Si diresse in bagno, pronta per lavar via tutta la brillantina e l'odore di sfarzo che le era rimasto addosso dalla serata precedente.
Rimase sotto il getto d'acqua per un'oretta, minuto più, minuto meno, voleva assicurarsi di tornare in sé: non la donna intontita dai gesti galanti di Taehyung né quello strano essere che, la sera precedente, era stato venduto come un oggetto al miglior acquirente, voleva tornare se stessa.

Si asciugò velocemente, pettinò i capelli con cura, spostando la frangetta di lato perché non le desse fastidio, ora che era diventata troppo lunga e si infilò di fretta i vestiti che aveva preparato precedentemente.

Quando uscì di casa erano appena passate le otto e decise di concedersi, un po' per vera necessità ed un po' per puro e semplice sfizio, almeno una colazione decente, era comunque troppo presto per ciò che aveva in mente di fare.
Trascorse così, nel bar sotto casa, almeno un'altra buona mezz'ora per poi infilarsi in auto, inserire l'indirizzo nel navigatore e incamminarsi verso il palazzo nel distretto di Geumjeong.

La strada fu più breve del previsto, in meno di venti minuti, nonostante il terrificante traffico tipico dell'ora di punta mattutina, si ritrovò davanti ad un imponente edificio in vetro e cemento, una di quelle odiose porte rotanti posta come ingresso principale.

Uomini in giacca e cravatta, uno smartphone in una mano e una valigetta nell'altra, entravano di fretta, qualcuno più nervoso degli altri.
Yen spense il motore dell'auto e ne scese, inspirando profondamente.

Aveva indossato un odioso paio di tacchi anche quella mattina, ma le circostanze lo richiedevano.
La gonna a tubino nera le fasciava le gambe, muovendosi in sincrono con esse.
Più di qualcuno si girò ad osservarla mentre varcava la soglia dell'edificio, sguardi di uomini ammaliar e donne invidiose le scorrevano addosso e lei li lasciò semplicemente lì, dietro di lei, incurante di quelle attenzioni, a suo dire immeritate.

Non si guardò indietro nemmeno per un secondo, percorrendo la hall con noncuranza, fino al bancone in legno e vetro dove una donna, forse poco più grande di lei, le aveva puntato un gelido sguardo indagatore addosso.

"Posso aiutarla in qualche modo, signorina?" chiese, il tono di voce severo e inacidito, esattamente come Yen se l'era immaginato.
"Certo!" sorrise sarcasticamente la giovane dai capelli ramati "può chiamare il CEO e dirgli che Yen è qui per parlargli." rispose, un sopracciglio alzato ed uno sguardo velenoso.

"Signorina, il signor Jeon è impegnato nel reparto marketing, no-" non le diede il tempo di finire la frase, si poggiò sul bancone con i gomiti, ancora con quel sorriso carico di scherno in viso.
"Bene, allora lo chiami e gli dica che lo aspetto nel suo ufficio."
Detto ciò si sollevò e si diresse verso l'ascensore, premendo il bottone che l'avrebbe portata direttamente all'ultimo piano.

Quando le porte si chiusero, fu quello il momento in cui, per un banale attimo, le sicurezze della ragazza iniziarono a vacillare pericolosamente.
Si chiese che diavolo ci facesse lì, che cosa ci fosse andata a fare? Per sentire qualche stupida scusa? Per farsi intortare con un paio di sguardi dolci e gesti troppo spinto?
Quali strani ed assurdi pensieri le erano balzati per la mente?

Sbuffò a se stessa, etichettandosi come una stupida impulsiva e ripromettendosi di lavorare su quel lato del suo carattere.

Tuttavia, quando i suoi pensieri e le sue colpe le stavano vorticando in testa senza pietà, le porte dell'ascensore si aprirono, rivelando una stanza arredata in modo asettico, con un paio di grossi quadri alle pareti e qualche pianta buttata lì per dare un po' di colore al tutto.
Al centro, davanti un'enorme vetrata, la scrivania nera risaltava sul resto, esattamente come l'uomo seduto dietro di essa.

Jungkook, una matita tra le labbra ed un caffè in mano, osservava una serie di noiose scartoffie quando lo squillo dell'ascensore lo richiamò dal suo apparente stato di trance.

"Yen."

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