Ciao.
Io sono Charlie.
E sì, sono una ragazza.Mi chiamo in realtà Charlotte, ma è un nome che odio e non sopporto. Perciò, Charlie è e Charlie sia.
La mia vita non è mai stata tutta rose e fiori... anzi, quasi mai. Eppure, durante l'estate dei miei sedici anni accadde qualcosa che mi cambiò per sempre.Era il 14 Agosto, una mattina piuttosto nuvolosa. Mi alzai di malavoglia, mentre mia sorella urlava.
Qualche parola su di lei prima di presentarvela: mia sorella si chiama Catherine e ha otto anni in più di me. È alta e bionda, con gli occhi azzurri simili ai miei. È una ragazza intrapendente, gentile e generosa, ma per la maggior parte del tempo è insopportabile.
Siamo state costrette a trasferirci nel Queens questʼestate, quando nostra zia con cui vivevamo è morta in un incidente stradale. Non siamo mai state molto fortunate: nostro padre tradì nostra madre, che, quando avevo cinque anni, si suicidò. Papà non voleva avere a che fare con noi, così nostra zia, sua sorella, ci prese in custodia. Finchè non si ritrovò con la cappotta dell'auto spaccata, e la testa proprio sul volante.
Mi alzai e andai in bagno verso lo specchio. Il mio riflesso era ciò che vedevo tutti i giorni: capelli mossi e rossi, occhi azzurri simili a Catherine, e una miriade di lentiggini; la pelle abbronzata, nonostante i miei tratti delicati e il fisico snello ma non tantissimo che mi distingueva dalle ragazze modelle/anoressiche che giravano in città.
Ero diversa. Mi sentivo diversa.
Andai in cucina raccogliendo la massa informe rossa che avevo in testa con un elastico, nel tentativo di farmi uno chignon per tenere fermi i capelli. Mi sedetti sul cucinotto, prendendo una mela e dando un morso, mentre ascoltavo mia sorella sbraitare al telefono.
«No. No! Ehi, lascia, lasciami parlare! Io non voglio più averci a che fare con te! Basta. Con te ho chiuso, ok!?»
Chiuse la chiamata e lanciò lʼapparecchio sul divano, lasciandosi cadere a sua volta.
«Chi è adesso? Tom? Zack? Harry? Chris? Jordan? Chi è che ti assilla?» chiesi, un poʼ annoiata dalle situazioni sentimentali di mia sorella.
«No, nessuno di loro. È... niente. Lascia stare» disse passandosi una mano sul viso.
Mi strofinai gli occhi con il dorso della mano destra, quando notai che avevo un segno sul polso che sembrava quasi una puntura.
«Allora. Pronta per lʼiscrizione alla nuova scuola?» mi chiese, riportandomi nella realtà.
«Sei sicura che debba andare in quella scuola? Ci vanno solo i geni là»
«Ah, e tu che cosa sei? Charlie, hanno aperto UN CONTO per te, GRATIS!» urlò, passandosi una mano nei suoi lunghi capelli biondi.
«Va bene, calmati, sclerata. Quando dobbiamo andare?»
«Alle 11. Quindi muoviti, pigrona»
Me ne andai dal cucinotto. Guardai la mia stanza da lontano: piccolissima, con un letto singolo, un mini armadio e una scrivania, con sopra i miei nuovi libri e la mia roba da cucito. Nostra zia era veterinaria, e insegnò a me e a mia sorella come cucire. Io mi appassionai e decisi di imparare.
Mi avvicinai al vestito che avevo iniziato a creare, toccandolo leggermente. Dovevo consegnarlo entro due giorni, per fare un poʼ di soldi.
Da quando era morta nostra zia, avevo inziato a vendere abiti fatti a mano, su misura.Era un abito blu, con delle perline bianche sul bordo del collo e sulle maniche. Dovevo darlo ad una ragazza classica figlia di papà, che però mi avrebbe pagato a suon di quattrini. Sbattei gli occhi un paio di volte e iniziai a vestirmi. Un paio di minuti dopo ero pronta per uscire, vestita come al solito a casaccio e con le Doctor Martense ai piedi.
Risi al pensiero di ciò che avrebbero pensato i miei nuovi professori di me: tutti gli altri studenti erano perfetti secchioni, vestiti di tutto punto. Io sono sempre stata una ribelle, con i capelli rossi sempre in disordine e quell'anello dorato alla narice frutto di un'idea del mio quattordicesimo compleanno che mi avrebbe fatto passare per la figlia del diavolo.
Ma quale diavolo e diavolo, ero figlia di un professore dellʼuniversità che se nʼera andato di casa come un diavolo.Scossi la testa, acchiappai lo zaino e lo misi in spalla mentre Catherine entrava, vestita di tutto punto come un avvocato.
«Bene bene. Vedo che ti sei vestita elegante come al solito» scherzò, prima di cadere dai tacchi vertiginosi. Scoppiai e ridere e cinque minuti dopo eravamo sdraiate per terra con le lacrime agli occhi dalle risate.
«Ok. Ok. Bene, basta, meglio se ci alziamo e andiamo, visto che sono già le 10.30. Sbrigati!» disse mia sorella, rimettendosi in piedi.
Uscimmo tra una risata e lʼaltra, e poco tempo dopo eravamo sedute in macchina pronte a partire.
Una canzone di musica soul risuonava nell'abitacolo.Mi feci in avanti per cambiare stazione, avrei preferito una canzone rock, quando Catherine si schiacciò con forza il freno.
Quasi caddi, quasi, e alla mia destra vidi la scuola. Nonostante fosse il 14 Agosto e quindi lʼapertura sarebbe dovuta essere due settimane dopo, cʼerano molti ragazzi nel parco: chi studiava, chi leggeva, chi giocava o chi semplicemente camminava avanti e indietro.«Bene» sussurrai «io vado».
Feci per alzarmi, quando Catherine mi bloccò.«Vedi di non dire cavolate, ok? Sappi che quest'anno cambierà la tua vita. Preparati Charlie».
Tutto d'un tratto era diventata seria, con l'aria di una mamma ansiosa.«In che senso scusa?» balbettai, mentre mi slacciavo la cintura lentamente.
«Non posso dirtelo. In ogni caso, hai preso le tue cose? I vestiti e tutto» chiese.
«Si, Cat! Ho preso tutto. Ora dimmi da cosa devo prepararmi!» urlai, aprendo la portiera.
«Non posso. Credimi, vorrei, ma non posso. Stai attenta però».
Si avvicinò e mi sfiorò la fronte con le labbra come quando ero piccola e mi misurava la febbre.
Solo in quel momento, proprio quando scesi dalla macchina, capii quanto mia sorella fosse stata così importante con me. Mi aveva cresciuta, protetta e consolata. Stimata quando poteva ma sgridata quando doveva. Sostanzialmente, era sempre stata come una madre. Vidi la macchina svoltare l'angolo, verso l'ufficio dove aveva trovato lavoro.
Lʼavrei rivista due settimane dopo, ma già mi mancava.Per questo motivo, presi il telefono e le mandai un sms dove le dicevo che le volevo bene.
E lì, vedendo la mano che digitava il messaggio, mi ricordai della puntura. Mi ero completamente dimenticata di chiederle della puntura che avevo notato sul pulso. Ma ormai era troppo tardi.
Mi girai con lo zaino in spalla e il telefono in mano.
Angolo autrice :33
Ehii
Salveee
WelahhSono finalmente riuscita a finire questo capitolo, senza creare disagi.
Mi scuso tantissimo per l'inattività di tutto questo mese. Non starò qui a inventarmi scuse, molto semplicemente non ho avuto abbastanza fantasia per fare qualcosa di bello. Ho preferito farvi aspettare un pochino che lasciarvi una schifezza che non assomigliava nemmeno lontanamente ad una storia.
Ma, nonostante cioh, vi dico che vedendo Infinity War (*piange sconsolata*) mi è venuta tantiiissima ispirazione. Il nostro Spidey si ritroverà un'amichetta tra poco.
Comunque, questa storia comprende il periodo dopo l'Homecoming. Da Civil War a Infinity War sono passati 2/3 anni, quindi Peter in questa storia (che sta nel mezzo) avrebbe 16/17 anni. Perciò immaginate che sia il quarto anno delle superiori. Ciò vuol dire anche che Liz non c'è (è già andata via) e i "cattivi" dell'Homecoming, non sono gli stessi di questa.
Proverò ad inventarmi qualcosa, ma se mi consigliate mi fare un grande piacere.Detto questo, dopo avervi fatto una capa tanta, vi dico solo di supportare la serie e di votare.
Baci e ragnatele a tuttiiii (?)
ciaooh💁🤙❤️
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The Invisible Girl - A Marvel Story
FanfictionCharlie non ha mai avuto una vita facile. Rimasta orfana, vive con la sorella maggiore in uno sgangherato bilocale del Queens. All'improvviso, la sua vita cambia. All'improvviso, Charlie ha un ruolo fondamentale per la sicurezza dell'umanità. Al...