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Passai una notte insonne.

Insomma, chi era la persona che dovevo incontrare? Che cosa avrebbe fatto?

Qualche attimo dopo intuii che era la stessa con cui Catherine stava litigando al telefono la mattina del mio arrivo a scuola.

Mi colpii la testa esclamando un sonoro «Stupida!», per averci pensato solo allora.

Magari era un parente lontano che (finalmente) si era accorto che eravamo in difficoltà. Ma allora perchè mia sorella ci aveva litigato? Eliminai subito la possibilità.

Un altro professore venuto a rompere chiedendomi di essere trasferita nella loro scuola invece che qui? Probabilmente no.

Ma allora, chi era? Ci avrebbe aiutate?

Pensai di lasciare stare per qualche momento il tutto e di iniziare a cambiarmi. Mi lavai e acchiappai a casaccio un paio di jeans strappati sulle ginocchia e una maglietta degli AC/DC.

Mi massaggiai le tempie per qualche secondo dopo essermi sistemata, e subito dopo sentii bussare alla porta.

Urlai un «Avanti» stanco, alzandomi e strofinandomi il viso per essere anche solo lievemente presentabile.

Fece capolino una testa dai capelli grigi e unti, un signore anziano dall'espressione corrucciata e da profonde rughe intorno agli occhi, come se avesse passato tutta la vita arricciando il naso.

«Charlotte... Smith?» chiese, stringendo ancora di più gli occhi. Forse il poveretto era presbite. Ma forse...

«Sì, che succede?» chiesi appoggiandomi allo stipite della porta con una spalla.

Il vecchio scosse la testa e mi chiese di ripetere.

«CHE SUCCEDE?»

«Deve liberare la stanza. Si ricordi che domani inizia la scuola!»
Tossì due volte e gli chiesi se stesse bene.

«Certo! Non vedi che sono ancora giovane! Su, muoviti che non ho tutto il giorno».

Iniziò a borbottare qualcosa contro i giovani di oggi.

"Ma guarda questo..."

Iniziai a mettere a posto la valigia, mentre il vecchietto se ne andava canticchiando una canzone militare. Bah...

Dieci minuti dopo ero pronta per tornare a casa. Lʼansia si raccoglieva poco a poco in un unico macigno nel petto.

Arrivata in segreteria vidi il vecchietto di prima sistemare delle circolari su di una scrivania piena di fogli e foto di gattini dentro delle tazze.
Bussai al vetro per richiamare lʼattenzione del vecchio, che però sembrava concentrato a ridere vedendo un piccolo persiano in una tazza da tè.

Solo dopo tre bussate il signore si accorse di me.

«Me ne sto per andare» urlai scandendo bene le parole per farmi capire.

Il vecchio annuì e abbassò lo sguardo su di un foglio bianco, scribacchiando qualcosa. Lessi la scritta "Lista Nera" e subito dopo il mio nome.
Quando si dice fortuna..

Uscii velocemente dal cancello e mi ritrovai dopo due settimane fuori da quella scuola.

***

Arrivai a casa un quarto dʼora dopo.

Il taxista, un simpatico signore indiano, aveva imboccato una scorciatoia appena gli avevo detto che dovevo essere in casa il più velocemente possibile.

Aprii la serratura del cancello con mani tremanti.

Come se fossi arrivata per la prima volta in quella casa, iniziai a notarne i particolari più strambi: sembrava un classico palazzo di New York, di quelli che si vedono a palate, solo reduce da una bomba nucleare. Il cancello era scassato e tutto piegato su se stesso, con più ruggine di quanta non ce ne sia in un intera miniera di ferro; la porta a vetri che ti conduceva allʼinterno era tutta scheggiata, e in alcuni punti ci si poteva far del male. Ciliegina sulla torta: al palazzo mancava molto, e dico, molto intonaco, senza considerare i buchi nelle pareti di cartongesso da cui si notavano le tubature uscire, come se stessero tentando di scappare.

Fossi stata un agente immobiliare, o anche solo un muratore, avrei fatto chiudere e ristrutturare il palazzo, ma poiché ci trovavamo nella zona più buia e pericolosa del Queens, sembrava una cosa impossibile da fare.

Rabbrividii: e se la persona arrivata (che stavo continuando a convincermi che ci avrebbe aiutate) se ne fosse andata appena vista la situazione?

Iniziai a salire le scale quasi correndo, trascinandomi dietro la valigia.
Appena arrivai davanti alla porta sentii delle risate, quella di mia sorella e quella che sembrava di un uomo adulto.

Bussai tre volte, il codice che utilizzavamo io e mia sorella per riconoscerci a vicenda.

Ad aprire la porta fu proprio lei, con i capelli raccolti in una crocchia disordinata, una bandana bianca e vestita con una maglietta XXL che le avevo regalato io a sette anni, con su scritto "LA MIA SORELLINA MI HA DETTO CHE SONO BELLA".
Io lʼavevo presa in giro per il fatto che la tenesse ancora ma lei mi aveva detto che ci era affezionata.

Lʼabbracciai forte e le chiesi chi fosse lʼuomo seduto sul divano a due posti bordeaux. Lei scosse la testa e prese la mia valigia, spingendomi in casa.

«Charlie, io vado a mettere a posto la tua valigia, tu parla con Anthony» disse mia sorella, dirigendosi successivamente in camera mia.

Feci qualche passo quando lʼuomo, che prima era di spalle, si alzò e si tolse gli occhiali da sole.

Lo riconobbi subito: i capelli neri erano tagliati a spazzola, sicuramente da un ottimo parrucchiere; gli occhi erano scuri, con lo scintillio classico dei geni.

Ogni ragazzo intelligente come me avrebbe ambito a partecipare ai suoi corsi, famosi in tutto il mondo.

«Salve, Charlie. Hai una faccia... Non mi hai riconosciuto per caso?» disse l'uomo, avvicinandosi e sorridendo.

Io rimasi con la bocca spalancata, tentando di capire al meglio la cosa.

Lui, il mio idolo, la persona che avevo adorato dalla nascita in casa mia!?

«Charlie? Hai capito chi sono?»

Certo che ho capito chi sei.

«Vabbè, te lo dico io».

Non ce ne è bisogno.

«Lʼunico ed inimitabile Anthony Edward Stark. Chiamami pure Tony».

Sorrise.

Iron Man era appena arrivato in casa mia.













CHAOH
capitolo sssuuuper corto e insignificante (per certi versi)
lo so che non mi sono fatta sentire per mooolto tempo
ma
dettagli
amatemi.
PERCHO
ci sentiamo alla prossima
eee CHAOH

The Invisible Girl - A Marvel StoryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora