CAPITOLO TRE

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Da lontano non riuscii a vedere molto di lui, ma sapevo con certezza che mi stava fissando, così come facevo io.

Imbarazzata abbassai lo sguardo e puntai gli occhi verso le mie adorate Vans.
Mi sentivo nervosa ed osservata allo stesso momento, ma rimasi comunque ferma senza fare nulla, per un tempo indeterminato...

Cosa mi prendeva? Non era assolutamente da me fissare uno sconosciuto per così tanto tempo, e poi arrossire.

Dopo poco sentii dei passi e quando alzai la vista lo vidi che si dirigeva nella mia direzione.
Mi drizzai sul posto pensando volesse dirmi qualcosa e invece mi camminò vicino senza nemmeno guardarmi.

Notai che aveva un piccolo anellino al naso e i capelli scuri alzati all'insù in modo scombinato.
Le mani, le sue mani, le notai subito.
Erano grandi e le vene pulsavano a causa della forza con cui impugnava un quadernino nero. Avrei dato qualsiasi cosa per sapere cosa ci fosse scritto.
Portava un anello d'argento che brillava sotto la luce del lampione.
Non riuscii però a vedere i suoi occhi e di che colore fossero.
Ma come riuscirci? Impossibile con tutto quel buio.

Dopo un paio di minuti mi decisi di tornare a casa.

Continuai a pensare al suo sguardo mentre percorrevo la strada di ritorno.
Non so per quale ragione, però mi aveva colpita.

Di notte Boston era bellissima, come il sorriso di quel ragazzo che aveva durante la stesura di qualcosa sul suo libretto nero.
Le uniche volte che riuscivo a vederla a quell'ora era quando tornavo a casa un po' brilla, ma non avevo la forza di alzare il capo per la forte nausea causata dall'alcool.

Poche erano le luci accese nelle case, era pur sempre l'una meno un quarto...
Ma formavano ugualmente un atmosfera molto suggestiva.

Iniziai a correre, mi sentivo finalmente libera.
Libera dalle oppressioni, di Jeremy, dalle continue aspettative che non volevano assolutamente deludere di mia madre.
Toccavo il cielo con un dito...

Ma si sa, tutto ha un fine.

Tornata, trovai Jeremy seduto sul divano che leggeva qualcosa aiutandosi con la luce della lampada da comò.
Tentai di camminare il più lentamente possibile per evitare qualsiasi tipo di conversazione, ma fu inevitabile.
"È mezzanotte passata" alzò lo sguardo verso di me, decisi di restare zitta e me ne tornai in camera.

Dopo essermi preparata per andare a dormire lo sentii salire le scale e vidi il suo riflesso attraverso il vetro della grande finestra vicino il mio letto.
"Ne parleremo domani con tua madre, dormi bene".
Non dissi nulla e dopo poco lo sentii chiudere la porta di camera, mi stesi sul letto e mi addormentai.

"A cosa pensi?" Mi chiese James mentre tentavo di togliermi il casco.

Stamattina mi ero svegliata prestissimo, prima di tutti. Non volevo assolutamente incontrare i due che assillano le mie giornate.
"Questa sera verrò alla festa" feci nervosa. Meno rimanevo a casa e meglio era. "Cazzo, questo coso non si toglie" sbuffai battendo un piede a terra per il nervoso.
"Aspetta faccio io" si avvicinò ridendo e slacciandomi il laccio del casco "Credevo che i tuoi ti avessero detto di no. Ecco fatto" mi sorrise posando il casco vicino la sua motocicletta.
"Mia madre ha detto che non potevo a causa di quel Coso" puntualizzai facendolo ridere. "E non dire mai più i tuoi, lui non sarà mai mio padre... Neanche lontanamente".
"Devo dire che ogni giorno lo ammiri sempre di più" scherzò lui divertito.
Sbuffai una risata e posai gli occhi sul cancello d'entrata. Dimenticandomi della milionesima lite avuta mamma.
Si perché stamattina ho cercato di evitare tutto, ma ovviamente non ci sono riuscita..

Il ragazzo della sera precedente si dirigeva verso il portone della scuola e come se fossi sicura del suo arrivo nella mia direzione alzai il capo dal mio quaderno di matematica nello stesso momento in cui girò il volto verso di me, così ci guardammo.
Lo riconobbi grazie a quel quaderno nero, stretto sempre nella mano in cui portava l'anello d'argento.

Verdi.

I suoi occhi erano verdi e bellissimi. Non erano di un verde chiaro, perché quel verde era scontato, e lui era tutto tranne che scontato.
Indossava una felpa rossa e dei semplici jeans e Adidas al piede.
"Hey... sei ancora tra noi? Kim?" il mio migliore amico mi schioccò le dita avanti al viso.
Annuii distrattamente e seguii con gli occhi il percorso del nuovo arrivato.

Per quale ragione arrivare in una scuola quando sta per finire l'anno e a pochi mesi dall'esame?

"Andiamo in classe..." mi fece James, lo seguii silenziosa e cercai di scacciare dalla mente i pensieri.

Un ragazzo nuovo a scuola, bello e misterioso, una vera e propria novità.
Ma per Kimberly non era solo quello, ma una vera e propria incognita, della quale bisognava trovare il numero che la sostituisse.

Ovviamente fu una giornata di merda e presi anche un bel impreparato.
L'unica cosa positiva era il corso di musica che seguivo con James che però vedevo turbato e silenzioso a differenza di come si comportava sempre.

Era solito prendere un po' in giro il professore, quando parlava estasiato di musica e ci raccontava tutti gli aneddoti capitati più o meno quando aveva la nostra età poiché faceva tantissime facce strane, come se ritornasse davvero a quei tempi..
Posai una mia mano su quella del mio migliore amico e lo guardai preoccupata, mi ricambiò con un sorriso ma non disse nulla.

"Avrà sicuramente litigato con suo padre" pensai.
Non aveva un bel rapporto con lui, infatti era sempre a casa della nonna, invece in estate si trasferiva per un po' dallo zio, con cui aveva apparentemente un buon rapporto.

"Quest'estate cosa farai?" dissi sotto voce per non farmi sentire dal professore.
Volevo distrarlo un po' dai pensieri, sapevo quanto potessero far male più della situazione in se.
"Il solito" disse vago fissando il quaderno.
Capii che a quel punto era meglio lasciarlo stare e decisi di seguire la lezione con più attenzione del solito.

Ovviamente, una volta tornata a casa, litigai con mia madre e con Jeremy solo perché avevo lasciato camera mia in disordine.

Solita routine.

MARIGOLDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora