CAPITOLO UNO

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Partiamo dall'inizio.

Kimberly era una ragazza come tutte le altre, piena di brio che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, soprattutto da Jeremy, il nuovo compagno della madre.

"No mamma, smettila di stressarmi" urlai ormai stanca dei continui litigi.

"Jeremy ha ragione" disse seguendomi durante il tragitto cucina-camera mia.

Già sapevo dove voleva arrivare con le sue parole.

Mia madre era una che si preoccupava per tutto, e ad infierire c'era Jeremy, sembrava che si divertisse a mettere zizzania tra noi due...

"Ultimamente sembra che tu abbia dimenticato cosa significhi essere educati" in tutta risposta alzai gli occhi al cielo e mi girai per darle un bacio veloce.

Oggi non volevo assolutamente litigare con lei.

"Non ascoltare tutti ciò che dice Mr. Simpatia mamma, ti ho detto che tornerò presto" le feci un sorriso rassicurante.

Presi la mia giacca di pelle dalla sedia, la borsa e corsi fuori.

"Fa' la brava" mi urlò dal corridoio mentre aprivo la porta di casa per uscire.

"Puoi contarci" risposi.

Finalmente potevo prendermi un po' tempo per me, lontano dalle urla di mia madre e dalle stronzate che sparava il suo compagno.

James -il mio migliore amico- era seduto sul dondolo della mia veranda mentre fumava una sigaretta guardandosi i piedi, i quali ogni volta che il dondolo saliva non toccavano più terra. Era abbastanza pensieroso.

"Ma ciao" gli sorrisi, facendolo ritornare sulla terra. Alzò la testa di colpo e fece un piccolo sorriso mettendosi in piedi avanti a me.

Indossava una giacca di pelle simile alla mia, abbottonata, infatti non riuscii a capire che maglia avesse, ma sicuramente nera o bianca e degli jeans neri strappati con due catene attaccate a due passanti.

"Stai benone" dissi sinceramente girandogli intorno.

"Si anche tu non sei male" mi sorrise.

"Andiamo?" indicò la moto con la testa ed io annuii semplicemente.

Dieci minuti dopo, eravamo al solito parco seduti sotto un albero che definivamo ormai "nostro" che ci riparava abbastanza dal sole, mentre ci scambiavamo ogni tanto i milk-shake al cocco e alla vaniglia.

Le solite cose, che adoravo fare, l'importante era essere con James.

Quando ero con lui, tutti i problemi che c'erano a casa andavano via dalla mia testa per un po'. Svanivano come una delle tante nuvole di nicotina che emanava dalla bocca mentre fumava. Lo ringraziavo per questo.

"Io penso che sia una cazzata, insomma ci riuscirebbe anche mio fratello che ha solo due anni" risi alla sua affermazione.

Avevamo appena guardato un video di un ragazzino che non faceva altro che saltare per fare cinque capriole...

"Ma dai ammettilo che è stato sorprendente. Nessuno riuscirebbe a fare così tante capriole di seguito!" lo guardai sfidandolo e lui mi lanciò un'occhiataccia.

"Ne sei sicura?" domandò alzando un sopracciglio.

" Assolutamente si" dissi.

Poco dopo era steso a terra urlando e piangendo come un bambino a causa della caduta.

"Sei uno sfigato" lo presi in giro e lui mise il broncio.

"Vieni che ti aiuto" gli diedi la mano e lui l'afferrò prima di trascinarmi a terra al suo fianco.

"Ma che bastardo" risi restandogli sdraiata vicino sotto i raggi caldi del sole.

"Allora cosa farai domani, verrai alla festa?" ah già, la festa di Samantha.

Sbuffai strappando un po' d'erba da terra e feci spallucce.

"Se quella testa di cazzo non mette strane idee in testa a mia madre..." dissi riferendomi a Jeremy, soprannominato "Il Coglione".

Lui si girò su un fianco appoggiandosi su un braccio e mi guardò dall'alto, puntando lo sguardo dritto nel mio.

Così le sue lentiggini erano ancora più visibili, gli occhi nocciola puntati nei miei e i capelli biondo cenere creavano un contrasto perfetto con la sua pelle sempre un po' abbronzata e il sorriso perfetto e splendente; se non fosse stato il mio migliore amico dall'età di sei anni, mi sarei sicuramente presa una cotta, ma lo conoscevo troppo bene non sarei riuscita a vederlo in un altro modo se non come un fratello.

"Facciamo che con lui ci parlo io e risolviamo la faccenda" disse serio.

Mi alzai a sedere e lo guardai dritto negli occhi "Lo sai che la mia famiglia non ti sopporta, sai bene che non approvano la nostra amicizia" dissi seria e dispiaciuta.

"Beh, so anche che nonostante le nostre famiglie non si sopportino, noi siamo migliori amici dalle elementari, e ciò non ci ha mai impedito di volerci bene" sorrise e fece sorridere anche me.

"Ci parlo io lo stesso" scossi il capo in segno di negazione.

"Non preoccuparti, troverò un modo per poter venire, altrimenti come farai senza i miei consigli per fare colpo?" ci alzammo e gli saltai sulle spalle, mi fece fare una giravolta e tra le risa mi fece scendere.

"Adesso andiamo a farci un giro" proposi per non parlare più di mamma e del Coglione.

Per tutto il tragitto rimasi in silenzio a cercare, per l'ennesima volta, una ragione per la quale le nostre famiglie si odiassero così tanto.

Quando capitava un incontro al supermercato o al ristornate fingevano sempre di non conoscersi e poi finivano per discutere dopo poco, anche per cose stupide, come il posto in cui parcheggiare o l'ultimo pacco di biscotti rimasto sullo scaffale.

Per loro ogni pretesto era buono per affrontarsi, e ogni volta che mia madre incontrava James lo salutava freddamente.

"Non mi piace quel ragazzo" ripeteva in continuazione, ma non mi ha mai dato una giustificazione alle sue accuse.

Mia madre non mi dava mai nessuna giustificazione e non mi raccontava mai nulla, nemmeno la ragione per la quale non avevo mai avuto un rapporto con mio padre.

Le domande su papà, erano quelle che mi ponevo più frequentemente, ma a cui non riuscivo a dare una risposta precisa, se non quella che non amasse più la mamma ragione per la quale se n'è andato.

Di lui, come ricordo, ho solo una piccola foto dove mi tiene in braccio il giorno del mio primo compleanno, poi il nulla...

"A cosa pensi?" James mi richiamò dai miei pensieri, scendendo dalla moto.

"Sei stata zitta per tutto il tragitto e non è da te" continuò aiutandomi a scendere.

Ero solita perdermi nei miei pensieri, ma mai in compagnia di James, ma quella giornata la moto, il vento nei capelli che fuoriuscivano dal casco e la schiena calda del mio amico mi fecero sentire bene, e mi fecero perdere in me.

Non risposi subito, ma lui capì comunque.

"Un giorno lo incontrerai" mormorò semplicemente per poi cambiare discorso... Quando si trattava di mio padre, chiunque cambiava discorso.

MARIGOLDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora